Gratuito patrocinio– Autocertificazione – Accertamento limiti reddito

Gratuito patrocinio– Autocertificazione – Accertamento limiti reddito

A norma dell’art. 79, comma 1, lett. b), D.P.R. n.115 del 2002,

l’istanza di ammissione al Gratuito Patrocinio deve contenere «… le generalità dell’interessato e dei componenti la famiglia anagrafica...», nonché “… dichiarazione sostitutiva di certificazione … con specifica determinazione del reddito complessivo valutabile a tali fini determinato secondo le modalità indicate dall’art.6…”. La ratio della norma è quella di valutare, ai sensi dell’art. 76, comma 1, stesso testo normativo, il reddito, quale condizione per l’ammissione al beneficio, «… costituito dalla somma dei redditi conseguiti… da ogni componente della famiglia, compreso l’istante …». Deve, pertanto, ritenersi sussistente un obbligo dell’istante di produrre una certificazione anagrafica o documentazione equipollente e, comunque, di dichiarare la composizione della sua famiglia, quanto meno quale situazione di fatto comportante la presenza di persone con lui conviventi.

Il comma 3 dello stesso articolo 79 recita:

“ … Gli interessati, se il giudice procedente o il consiglio dell’ordine degli avvocati competente a provvedere in via anticipata lo richiedono, sono tenuti, a pena di inammissibilità dell’istanza, a produrre la documentazione necessaria ad accertare la veridicità di quanto in essa indicato.”

La predetta norma  dispone quindi la prova di quanto già autocertificato e pertanto, appare improbabile che si possa integrare tale prova con una ulteriore autocertificazione confermativa.

Di seguito, vi è anche l’art. 127 D.P.R. n. 115 del 2002

ove al IV comma si prevede che: “… La effettività e la permanenza delle condizioni previste per l’ammissione al patrocinio e’ in ogni tempo, anche successivo all’ammissione, verificata su richiesta dell’autorita’ giudiziaria, ovvero su iniziativa dell’ufficio finanziario o della Guardia di finanza.

Quindi, si prevede che il Giudice – in ogni tempo – possa richiedere la verifica di quanto dichiarato in autocertificazione e ciò può avvenire anche su iniziativa della ADE o della GdF. La verifica quindi consiste nell’espletamento di un’attività di conferma di quanto autocertificato.

Sul punto, dopo la riforma del 2016, che ha inserito il Comma 3 bis all’art. 83 del DPR 115/2002, è intervenuta la

Circolare 10 gennaio 2018

– Articolo 83, comma 3-bis del d.P.R. n. 115 del 30 maggio 2002 – Indicazioni operative”, nella quale, al punto 4 si precisa che, in materia di gestione delle istanze di liquidazione il comma 3-bis dell’articolo 83 d.P.R. n. 115 del 2002 abbia una finalità essenzialmente acceleratoria, avendo disegnato un procedimento in cui, in linea di principio, a fronte di una istanza presentata prima della chiusura del processo, il decreto di pagamento è depositato “contestualmente” al deposito del provvedimento decisorio delineando così un modus procedendi che pare poco compatibile con quelle prassi in virtù delle quali, sistematicamente e in tutte le occasioni, a fronte dell’istanza di liquidazione vengono richiesti accertamenti all’ufficio finanziario, rimandando all’esito degli stessi (e dunque anche a distanza di molto tempo) l’adozione del decreto di pagamento.

In buona sostanza si ritiene

che l’esigenza di svolgere i dovuti accertamenti prima dell’emissione del decreto di pagamento appaia debitamente salvaguardata dalle prassi introdotte da alcuni uffici giudiziari in virtù delle quali, tramite protocolli, linee guida o comunicazioni dell’ufficio giudiziario, si richiede ai difensori di depositare, contestualmente all’istanza di pagamento, tutta la documentazione necessaria a consentire al magistrato di verificare la sussistenza dei presupposti per procedere al pagamento quali: dichiarazioni dei redditi sino all’anno di conclusione del procedimento, dichiarazione sostitutiva di atto notorio o altra documentazione reddituale; in mancanza di dichiarazione fiscale: dichiarazione sostitutiva di atto notorio attestante il reddito o la mancanza di reddito; oltre alla documentazione presentata unitamente alla richiesta di ammissione, con provvedimento di ammissione in originale e certificato di stato di famiglia aggiornato.

Così il magistrato è in grado di provvedere al decreto di pagamento contestualmente alla decisione, disponendo le verifiche finanziarie solo per quelle ipotesi in cui la documentazione prodotta risulti carente o contraddittoria.

Di seguito, l’ufficio finanziario

che è titolare di un autonomo potere di indagine, anche successivamente all’ammissione, dovrà verificare la effettività e la permanenza delle condizioni previste per l’ammissione al patrocinio (art. 127) e, all’esito, potrà anche chiedere la revoca del beneficio ove risultasse che esso è stato concesso sulla base di dichiarazioni non veritiere.

La Suprema Corte,

in materia penale, ritiene che “… ai fini dell’ammissibilità al gratuito patrocinio l’autocertificazione dell’istante ha valenza probatoria e il giudice non può entrare nel merito della medesima per valutarne la attendibilità, dovendosi limitare alla verifica dei redditi esposti e concedere in base ad essi il beneficio, il quale potrà essere revocato solo a seguito dell’analisi negativa effettuata dall’intendente di finanza, cui il giudice deve trasmettere copia dell’istanza con l’autocertificazione e la documentazione allegata…” (Cass. Pen. Sent. n. 4719/17; Cass. sez. IV, 10406/2018; Cass. pen., sez. IV pen. sent n. 10512/2021; Sez. Unite, Sent., 12/05/2020, n. 14723).

Se è vero infatti che l’art. 96 II comma DPR 115/2002 consente al giudice di rigettare l’istanza, è anche vero che

devono sussistere fondati motivi per ritenere

che l’interessato non versi nelle condizioni di cui agli art.76 e 92 stesso DPR, desumibili da una serie di indicatori specifici (casellario, tenore di vita, condizioni personali e familiari eventuali attività economiche svolte), ma non può risolversi in un accertamento del tutto discrezionale. In base agli stessi principi emergei dalla normativa statale e ai fini del giudizio sulla condizione di non abbienza, l’obbligo per il giudice di esaminare le prove che confermino o confutino la sostanziale e fattuale percezione e condivisione di redditi tra familiari idonea ad incidere sulla predetta condizione.

Anche la presunzione astrattamente disciplinata dall’art.76,

comma 4-bis, D.P.R. n.115/2002 (V. Corte Cost. n.139 del 14-16 aprile 2010, che dichiara costituzionalmente illegittima la presunzione assoluta di inammissibilità al gratuito patrocinio nel processo penale), pur ammettendo la prova contraria, non modifica il procedimento logico che, secondo la regola dettata dall’art. 2729 cod. civ., il giudice è tenuto a seguire al fine di affermare l’inversione dell’onere della prova in ordine ai presupposti reddituali per l’accesso al patrocinio. Nella giurisprudenza della Suprema Corte è affermato che spetta al ricorrente dimostrare, con allegazioni adeguate, il suo stato di non abbienza e spetta al giudice verificare l’attendibilità di tali allegazioni, avvalendosi di ogni necessario strumento di indagine; tale iter argomentativo presuppone, in ogni caso, la previa corretta individuazione delle presunzioni gravi, precise e concordanti che consentano di ritenere, secondo il prudente apprezzamento del giudice, il superamento dei limiti di reddito prescritti dalla legge.

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