Amministratori indipendenti: mantenimento dei requisiti

Amministratori indipendenti: mantenimento dei requisiti

Il requisito di indipendenza non è condizione statica, si deve periodicamente verificare perché può subire variazioni nel corso del mandato

Il Codice si premura, in questo ambito, di prevedere un’elencazione esemplificativa e non esaustiva delle cause che sono idonee a compromettere l’indipendenza, lasciando poi all’organo amministrativo, in sede di valutazione dell’indipendenza, ritenere sussistenti ulteriori ipotesi ostative all’indipendenza[1]; ciò, senza comunque pregiudizio per il principio sostanzialistico che permea la struttura del Codice e che consente alle Società di applicare le disposizioni in coerenza con il principio di prevalenza della sostanza sulla forma, fermo il criterio del comply or explain[2].

In tale ambito le Società possono dunque disapplicare a livello generale uno o più dei criteri applicativi indicati nel Codice[3] oppure dare loro applicazione in coerenza con il principio di prevalenza della sostanza sulla forma e, pertanto, escludere in concreto la rilevanza di talune fattispecie a compromettere l’indipendenza dell’amministratore[4].

Le circostanze potenzialmente idonee a compromettere l’indipendenza possono dividersi in cause connesse (i) a rapporti partecipativi, (ii) all’assunzione di incarichi quale amministratore (esecutivo o per un periodo superiore a nove anni), (iii) a rapporti lavorativi/professionali e (iv) a rapporti di natura familiare.

La ratio della previsione della prima tipologia di cause è piuttosto evidente e si esaurisce nella natura stessa del requisito di indipendenza: se l’amministratore indipendente deve essere portatore di autonomia di giudizio è naturale che detta autonomia sia compromessa ove esso sia un azionista significativo della società[5]. In questa fattispecie il soggetto potrà senza dubbio assumere incarichi amministrativi nella società, ma non potrà essere annoverato tra gli amministratori indipendenti poiché sarebbe troppo forte la tensione fra l’interesse alla valorizzazione della partecipazione di cui è titolare e quello di amministrare la società con indipendenza di giudizio.

Simile è anche la ratio delle cause connesse all’assunzione di incarichi di amministratore delegato (della società, di una società da essa controllata avente rilevanza strategica o di una società sottoposta a comune controllo o di un azionista significativo della società) o con incarico di durata maggiore di nove esercizi (anche non consecutivi) nella società — e di rapporti lavorativi/professionali; l’assunzione degli stessi (o il loro mantenimento) potrebbe essere idonea a compromettere l’autonomia di giudizio (per il rischio di perdere gli incarichi e la connessa remunerazione o per l’abitualità di rapporti conseguita). Le ipotesi devono però distinguersi tra loro a seconda che la perdita dell’indipendenza sia connessa alla titolarità di un incarico (amministrativo, lavorativo o di revisione)[6] oppure alla remunerazione ad esso conseguente (anche nell’ambito di una relazione professionale)[7]. Nel primo caso, infatti, le fattispecie rilevano a prescindere dalla significatività, mentre nel secondo solamente ove esse siano significative[8].

E, come già ricordato, il Codice ora prevede espressamente, così recependo la costante indicazione del Comitato nelle proprie relazioni annuali, che l’organo di amministrazione determini preventivamente, con cadenza variabile, ma almeno all’inizio del proprio mandato, «i criteri quantitativi e qualitativi per valutare la significatività» in caso di relazioni commerciali, finanziarie o professionali[9] o di remunerazione (i.e. le ipotesi di cui alle lettere c) e d) della Raccomandazione 7 dell’art. 2)[10]. La disciplina in materia di amministratori indipendenti vuole, quindi, che le regole per la valutazione della significatività siano predeterminate in modo da ridurre la possibilità che le stesse vengano plasmate all’occorrenza.

Infine, a chiusura delle fattispecie tipiche, il Codice prevede che possa essere compromessa l’indipendenza dell’amministratore anche ove esso sia uno stretto familiare[11] di una persona che si trovi in una delle situazioni rilevanti ai sensi del Codice (art. 2,

Raccomandazione 7, lett. h)). La ratio è rinvenibile dal particolare rapporto di presunzione di affectio familiaris che legherebbe l’amministratore con il familiare che versa in una delle situazioni considerate dalla disposizione.

Il già menzionato quadro risulta coerente, nel suo impianto generale, anche con le regole adottate in importanti Paesi intracomunitari ed extracomunitari. Difatti, in tema di circostanze che possono compromettere l’indipendenza, il NYSE Listed Company Manual, ovvero le regole adottate dalla borsa di New York, oltre a prevedere che nelle società quotate (in assenza di un socio che disponga di più del 50% dei voti per la nomina degli amministratori)[12] il consiglio di amministrazione sia composto in maggioranza da amministratori indipendenti, alla Sec. 303A.02 prevede, a livello di principio generale, che gli amministratori indipendenti non debbano avere, direttamente o indirettamente, nessuna “material relationship” con la società quotata; simile con il NYSE Listed Company Manual è la soluzione adottata nel Regno Unito dall’UK Corporate Governance Code che, oltre ad adottare una soluzione in linea con quella del NYSE in tema di maggioranza di amministratori indipendenti (senza però generali deroghe in presenza di controllo), prevede una casistica in materia di circostanze idonee a compromettere l’indipendenza[13] in linea con quella del Codice di Autodisciplina. Degna di menzione è, inoltre, la soluzione adottata dal German Corporate Governance Code ove, pur prevendendo che la maggioranza dei membri del Consiglio di Sorveglianza nominati dagli azionisti (quindi esclusa la componente di nomina dei lavoratori) siano indipendenti, si prevede che detta indipendenza riguardi solo i rapporti con la società e con il consiglio di gestione, mentre almeno due amministratori (se vi sono più di sei membri) devono essere anche indipendenti dal socio di controllo[14], così modulando, conseguentemente, le cause che possono inficiare l’indipendenza[15]

 

Note:

[1] Ad esempio, la precedente versione del Codice di Autodisciplina, nel commento ai principi ed ai criteri applicativi dell’art. 3, chiariva che «la titolarità di una partecipazione azionaria (diretta o indiretta) di entità tale da non determinare il controllo o l’influenza notevole sull’emittente e non assoggettata a un patto parasociale, potrebbe essere ritenuta idonea a pregiudicare, in particolari circostanze, l’indipendenza dell’amministratore».

[2] P. MANZONI, Gli amministratori indipendenti nel nuovo codice di autodisciplina, De Jure

[3] ASSONIME, Report on Corporate Governance in Italy: the implementation of the Italian Corporate Governance Code (2020), dicembre 2020, 19 il criterio disapplicato è quasi sempre quello riguardante la durata in carica ultranovennale e viene giustificato «on the opportunity to safeguard the professional skills of individual directors and their capacity to express an autonomous judgment. Some companies provide additional reasons, mentioning the lack of any commercial, professional, and personal relationship and/or the low weight of the individual director’s remuneration as a percentage of her/his total income, which can hardly be considered an adequate explanation». Cfr. anche la Relazione 2020 sull’evoluzione della corporate governance delle società quotate (65 ss.) ove si evidenzia che «Gli indipendenti “a rischio” pesano in media il 33% della componente indipendente dei relativi consigli di amministrazione; peso che sale al 53% della componente indipendente nei casi in cui la società abbiano due o più indipendenti “a rischio” con un conseguente effetto negativo su tutti gli istituti che attribuiscono un ruolo particolare a tale categoria di amministratori (a partire dai comitati endoconsiliari)».

[4] Relazione Assonime sulla Corporate Governance in Italia: autodisciplina, remunerazioni e comply-or-explain (anno 2020), 3/2021, 43 ove si evidenzia che «La frequenza di tali situazioni è relativamente bassa (e in netta diminuzione, dai 36 casi, pari al 16% del totale, dell’anno passato), ma è comunque circa doppia rispetto ai casi di disapplicazione tout court dei criteri di indipendenza: pare dunque legittimo domandarsi se i casi di applicazione sostanzialista rappresentino “un’eccezione”, come raccomandato dal Comitato per la Corporate Governance. […] Nei casi individuati è sempre presente, oltre al richiamo di carattere generale riferito alla prevalenza della sostanza sulla forma, una giustificazione ulteriore e specificamente riferita ai singoli soggetti»

[5] E cioè «il soggetto che direttamente o indirettamente (attraverso società controllate, fiduciari o interposta persona) controlla la società o è in grado di esercitare su di essa un’influenza notevole o che partecipa, direttamente o indirettamente, a un patto parasociale attraverso il quale uno o più soggetti esercitano il controllo o un’influenza notevole sulla società».

[6] In questa fattispecie rientrano le ipotesi di cui alle lettere b), e), f) e g) della Raccomandazione 7 dell’art. 2 a norma della quali può esservi una compromissione dell’indipendenza «b) se è, o è stato nei precedenti tre esercizi, un amministratore esecutivo o un dipendente: — della società, di una società da essa controllata avente rilevanza strategica o di una società sottoposta a comune controllo; — di un azionista significativo della società; […] e) se è stato amministratore della società per più di nove esercizi, anche non consecutivi, negli ultimi dodici esercizi; f) se riveste la carica di amministratore esecutivo in un’altra società nella quale un amministratore esecutivo della società abbia un incarico di amministratore; g) se è socio o amministratore di una società o di un’entità appartenente alla rete della società incaricata della revisione legale della società». Con riferimento agli incarichi ultra-novennali di cui alla lettera e) si veda la Relazione di Assonime sulla Corporate Governance in Italia: autodisciplina, remunerazioni e comply-or-explain (anno 2020), 3/2021, 104 ove si evidenzia che «La tenure ultra-novennale è uno dei criteri applicativi che il Codice propone per valutare, in concreto, il rischio di perdita dei requisiti di indipendenza. Si tratta, peraltro, di una mera proxy, che necessita di essere applicata “con riguardo più alla sostanza che alla forma”, come raccomandato dal Codice stesso. Lo scorrere del tempo non fa perdere automaticamente i requisiti di indipendenza, ma aumenta il rischio di “cattura” degli indipendenti. Tale rischio può essere valutato in concreto anche alla luce degli ulteriori indizi offerti da eventuali mutamenti di ruolo (e di remunerazione). I dati disponibili consentono agli investitori di formarsi un’opinione precisa in merito alle situazioni osservabili nella prassi e alle valutazioni condotte dai C.d.A.. Fino a qualche anno fa gli indipendenti “a rischio” per durata ultra novennale della carica percepivano, in media, remunerazioni più elevate (nel 2016, 82 mila € contro i 57 mila € degli indipendenti in carica da meno di 9 anni), non legate a compiti aggiuntivi “da Codice” ma a un vero e proprio mutamento di ruolo del consigliere indipendente, che assumeva cariche all’interno dell’emittente o incarichi multipli in altre società del gruppo». Sui rapporti tra indipendenza e incarichi esecutivi si veda Luciano, Amministratori indipendenti e incarichi esecutivi, in Riv. dir. soc., 2012, 369 ss.

[7] Si vedano le lettere c) e d) della Raccomandazione 7 dell’art. 2 a norma delle quali può esservi una compromissione dell’indipendenza «c) se, direttamente o indirettamente (ad esempio attraverso società controllate o delle quali sia amministratore esecutivo, o in quanto partner di uno studio professionale o di una società di consulenza), ha, o ha avuto nei tre esercizi precedenti, una significativa relazione commerciale, finanziaria o professionale: — con la società o le società da essa controllate, o con i relativi amministratori esecutivi o il top management; — con un soggetto che, anche insieme ad altri attraverso un patto parasociale, controlla la società; o, se il controllante è una società o ente, con i relativi amministratori esecutivi o il top management; d) se riceve, o ha ricevuto nei precedenti tre esercizi, da parte della società, di una sua controllata o della società controllante, una significativa remunerazione aggiuntiva rispetto al compenso fisso per la carica e a quello previsto per la partecipazione ai comitati raccomandati dal Codice o previsti dalla normativa vigente». Con riferimento alla fattispecie di cui alla lettera c) della Raccomandazione 7 dell’art. 2 si veda P. MARCHETTI, (nt. 8), 275 in cui si evidenzia come la «percentuale di partecipazione allo studio ed alla società di consulenza, il ritorno economico, la dimensione dell’affare che vede coinvolto l’amministratore non paiono dunque elementi di per sé decisivi (resta da chiarire se solo nel caso di compensi o di affari modesti)».

[8] P. MANZONI, Gli amministratori indipendenti nel nuovo codice di autodisciplina, De Jure

[9] Come previsto dalla Raccomandazione 7 dell’art. 2 del Codice «Nel caso dell’amministratore che è anche partner di uno studio professionale o di una società di consulenza, l’organo di amministrazione valuta la significatività delle relazioni professionali che possono avere un effetto sulla sua posizione e sul suo ruolo all’interno dello studio o della società di consulenza o che comunque attengono a importanti operazioni della società e del gruppo ad essa facente capo, anche indipendentemente dai parametri quantitativi».

[10] Con riferimento alla remunerazione la Relazione di Assonime sulla Corporate Governance in Italia: autodisciplina, remunerazioni e comply-or-explain (anno 2020), 3/2021, 45-46 considera i «consiglieri indipendenti che percepiscono una remunerazione complessiva: i) almeno doppia rispetto a quella degli altri consiglieri non esecutivi; ii) non ricollegabile alla partecipazione a comitati consiliari raccomandati dal Codice di autodisciplina. I casi censiti riguardano, tipicamente, compensi aggiuntivi per cariche da presidente o vicepresidente nell’emittente o in società controllate (non, però, controllanti o soggette a comune controllo, perché le informazioni riportate in bilancio riguardano solo le ramificazioni “verso il basso” della struttura di gruppo)». Tale orientamento quantitativo è anche seguito nella Relazione 2020 sull’evoluzione della corporate governance delle società quotate.

[11] Il Codice non detta una definizione di stretto familiare. Ai fini della normativa in materia di parti correlate, si considerano «stretti familiari di un soggetto quei familiari che ci si attende possano influenzare il, o essere influenzati dal, soggetto interessato nei loro rapporti con la società».

[12] Cfr. la Sec. 303A.00 del NYSE Listed Company Manual ove si prevede che «A listed company of which more than 50% of the voting power for the election of directors is held by an individual, a group or another company is not required to comply with the requirements of Sections 303A.01, 303A.04 or 303A.05. Controlled companies must comply with the remaining provisions of Section 303A»

[13] La Provision 10 dell’UK Corporate Governance Code prevede che le «Circumstances which are likely to impair, or could appear to impair, a non-executive director’s independence include, but are not limited to, whether a director: — is or has been an employee of the company or group within the last five years; — has, or has had within the last three years, a material business relationship with the company, either directly or as a partner, shareholder, director or senior employee of a body that has such a relationship with the company; — has received or receives additional remuneration from the company apart from a director’s fee, participates in the company’s share option or a performance related pay scheme, or is a member of the company’s pension scheme; — has close family ties with any of the company’s advisers, directors or senior employees; — holds cross directorships or has significant links with other directors through involvement in other companies or bodies; — represents a significant shareholder; or — has served on the board for more than nine years from the date of their first appointment».

[14] La Raccomandazione C.9 del German Corporate Governance Code statuisce che «A Supervisory Board member is considered independent from the controlling shareholder if he/she, or a close family member, is neither a controlling shareholder nor a member of the executive governing body of the controlling shareholder, and does not have a personal or business relationship with the controlling shareholder that may cause a substantial — and not merely temporary — conflict of interest».

[15] La Raccomandazione C.7 del German Corporate Governance Code prevede infatti che «When assessing the independence of Supervisory Board members from the company and its Management Board, shareholder representatives shall particularly take into consideration the following aspects; whether the respective Supervisory Board member — or a close family member: — was a member of the company’s Management Board in the two years prior to appointment; — whether he/she currently is maintaining (or has maintained) a material business relationship with the company or one of the entities dependent upon the company (e.g. as customer, supplier, lender or advisor) in the year up to his/her appointment, directly or as a shareholder, or in a leading position of a non-group entity; — whether he/she is a close family member of a Management Board member; or, — whether he/she has been a member of the Supervisory Board for more than twelve years».

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