Sequestri penal-tributari al banco di prova delle rateazioni

Sequestri penal-tributari al banco di prova delle rateazioni

La riforma dei reati tributari di cui al D. Lgs. 87/2024 riduce la possibilità di utilizzare la misura cautelare del sequestro

Dopo oltre un ventennio caratterizzato da isolate decretazioni di urgenza volte unicamente a colmare – in maniera disorganica e spesso disordinata – le esigenze di politica economico-criminale del momento, è finalmente arrivata l’ora, attraverso il D. Lgs. 87/2024, di affrontare una riforma organica dei reati tributari. In tale contesto emerge sicuramente la modifica apportata alla disciplina dei sequestri e della confisca.

Il D. Lgs. 87/2024 conferisce al pagamento del debito tributario la natura di strumento per disinnescare la risposta penale al fatto-reato, anche con riguardo alla misura cautelare prodromica all’applicazione della confisca-sanzione.

In un sistema che fa delle rateizzazioni e delle transazioni del debito erariale ormai un modello di gestione del gettito erariale, non sembra incoerente la scelta di escludere – in presenza di una rateizzazione del debito tributario – il ricorso all’adozione del sequestro preventivo finalizzato alla confisca del profitto di reato, come previsto dal nuovo testo del comma 2 dell’art. 12-bis del D. Lgs. 74/2000, modificato dal “terzo intervento” voluto dalla riforma del sistema tributario e della riscossione[1].

La riforma prevede, infatti, che il sequestro non è disposto “se il debito tributario è in corso di estinzione mediante rateizzazione, anche a seguito di procedure conciliative o di accertamento con adesione, sempre che, in detti casi, il contribuente risulti in regola con i rispettivi pagamenti” salvo che non sussista “il concreto pericolo di dispersione della garanzia patrimoniale, desumibile dalle condizioni reddituali, patrimoniali o finanziarie del reo, tenuto conto altresì della gravità del reato”.

Se la coerenza della novella deve essere accolta con favore, perseguendo il fine di evitare un indiscriminato, irragionevole – e talvolta più dannoso che benefico – ricorso allo strumento del sequestro in tutte quelle situazioni in cui vi sia una avviata procedura di definizione con il Fisco, altrettanto non si può affermare con sufficiente serenità in merito ai principi di eguaglianza e capacità contributiva cui ogni cittadino/contribuente dovrebbe rapportarsi.

Vediamo perché.

Nello schema tracciato dalla novella, sebbene l’obbiettivo rimanga quello di colpire e mettere al tappeto il contribuente infedele che froda il Fisco, è altrettanto vero che l’effettivo rischio di apprensione di tutti i suoi beni – attraverso il sequestro diretto e per equivalente – non riguarderà quel soggetto (infedele) più facoltoso che potrà continuare la sua gara con il Fisco senza perdere tutto, bensì quel soggetto in oggettiva difficoltà finanziaria  che, invece, sarà con alta probabilità attinto dalla misura considerato il pericolo di dispersione delle garanzie patrimoniali.

Quindi, nonostante il corretto proposito della norma, la stessa – a parità di opportunità (accesso alla rateazione) – porta comunque con sé il rischio di differenti trattamenti nei confronti di contribuenti infedeli i quali, ancorché prima facie automaticamente non sembrerebbero destinatari della misura del sequestro se positivamente ammessi alla rateizzazione, nel concreto dovranno, invece, confrontarsi con la valutazione che l’Autorità Giudiziaria dovrà necessariamente effettuare in merito al pericolo di perdita della garanzia patrimoniale. Ecco quindi che la norma – apparentemente impeditiva del sequestro in caso di rateizzazioni accordate, in realtà non chiude la porta alla misura cautelare reale.

Quanto, invece, al tema del rapporto tra imposta evasa e profitto del reato nei casi di definizione della pretesa erariale attraverso uno degli strumenti “conciliativi” o “transattivi”, si pongono le seguenti considerazioni.

Con la nuova formulazione dell’art. 1, lett. f), D. Lgs. 74/2000 sembra sdoganata una prerogativa cardine del rapporto tra illecito fiscale e reato tributario, ovverosia l’equivalenza tra imposta evasa e profitto di reato: l’imposta evasa non è più intesa come differenza tra imposta dichiarata ed imposta accertata ma, al pari del profitto del reato, sarà l’imposta definita nell’accordo con il Fisco e il cui pagamento (anche rateale) assume il ruolo di “lascia passare” per fruire dei plurimi benefici penali. Facendo passare, in questo modo, in mano all’Amministrazione Finanziaria la responsabilità di quantificare l’ammontare da corrispondere, con ogni desumibile criticità derivante da tale impostazione sul piano della tutela penale.

Con questa impostazione, con riguardo alla possibilità di richiesta del sequestro la riforma sembra consacrare una nuova rotta: quand’anche in presenza di elementi concreti e fondanti l’ipotesi che un reato sia stato commesso, di fronte ad un soggetto infedele che ha dolosamente violato l’obbligo tributario ma che provvede – anche tardivamente e in misura concordata con l’Agenzia delle Entrata – l’art. 321 c.p.p. privilegia l’esigenza di tutelare non la corretta ma la concreta riscossione dei tributi da parte dell’Erario. Tutto ciò con un rischio che non pare pienamente colto dalla novella: la riforma ha eliminato la previsione espressa[2], in forza della quale, in caso di mancato versamento delle rate concordate con l’Erario, la confisca veniva sempre e comunque disposta; cosa accadrà al contribuente infedele al momento in regola con i pagamenti che dovesse, un giorno, interromperli, liberandosi od occultando il proprio patrimonio eventualmente aggredibile? Come intonava un noto cantautore italiano, lo scopriremo solo vivendo.

 

[1] art. 1, c.1, lett. e) D.lgs. 87/2024

[2] Cfr. previgente formulazione dell’art. 12-bis, comma 2 D. Lgs. 74/2000.

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