Quali plastiche biodegradabili?
La nostra civiltà dopo aver prodotto materie plastiche “eterne” e oggi tenta di sostituirle con le bioplastiche degradabili.
Verso la metà del secolo scorso si sono affacciati le prime materie plastiche, non biodegradabili o degradabili in tempi lunghissimi.
Gli oggetti in plastica, tipicamente sacchetti bottiglie e imballaggi, fabbricati con questi materiali oltre a generare vari problemi ambientali locali hanno generato anche fenomeni macroscopici come le isole di plastica, che non sono isole solide, ma zone oceaniche dove i rifiuti si concentrano, formando un “vortice di plastica” (Garbage Patch).
La più grande di queste è la Great Pacific Garbage Patch, situata nell’Oceano Pacifico, grande più della Spagna.
Esistono altri accumuli simili in tutti i principali oceani del mondo, incluso il Mar Mediterraneo che ne presenta una, non ancora completamente stabile e persistente, tra l’Isola d’Elba e la Corsica.
Tra i principali responsabili del fenomeno ci sono i prodotti in polietilene (PE), una delle prime e più diffuse materie plastiche a che ha segnato l’inizio dell’era delle materie plastiche derivanti dal petrolio.
In realtà il polietilene (PE) ha sostituto, negli imballaggi, il cellophane, il suo predecessore, che al contrario del PE non solo non deriva dal petrolio, bensì dalla cellulosa, ma è anche completamente e rapidamente biodegradabile.
La differenza tra questa materia plastica e le più moderne bioplastiche di origine vegetale, come quelle derivanti da amido di mais o dall’acido polilattico (PLA) consiste, come appena detto, nell’origine della materia prima che è la cellulosa, la stessa che viene utilizzata per produrre la carta.
Le altre plastiche biodegradabili che sono oggi proposte come innovative derivano, invece, da materie prime molto pregiate: glucosio e amido di mais.
Tali materie prime vengono però sottratte direttamente alle filiere nella catena alimentare, un uso alternativo in grado di generare dei fenomeni distorsivi, già in parte conosciuti, perché, ad esempio, in Argentina l’etanolo, un carburante molto diffuso, è prodotto anch’esso da materie prime come la canna da zucchero e il mais.
Orbene, dato che la produzione di tale biocarburante è in concorrenza con la produzione alimentare e in alcuni casi assicurava una redditività maggiore, in certi periodi ci sono stati dei problemi di reperibilità della farina di mais, problema che potrebbe ripresentarsi nuovamente su scala maggiore.
Infatti, il costo attuale delle materie prime glucosio (usato per produrre il PLA – acido polilattico) e amido di mais, in forte aumento, pare essere sempre più essere condizionato non dall’uso alimentare ma dalla produzione di bioplastiche.
A questo punto, ci potremmo domandare perché non riabilitare il citato e bistrattato cellophane che degrada molto più velocemente delle bioplastiche moderne e deriva da una sostanza, la cellulosa, assolutamente inutilizzabile per l’alimentazione?
Forse solamente perché non è innovativo visto che il principale ostacolo, la differenza di costo, si sta progressivamente riducendo?
In effetti stiamo generalmente e parossisticamente cercando sempre “nuove soluzioni e tecnologie innovative” scartando, spesso senza alcun motivo, quelle più datate come il cellophane, che possono, dovrebbero e meriterebbero di essere, invece, rivalutate alla luce delle considerazioni esposte.

