Sequestro preventivo e legittimazione al riesame

Sequestro preventivo e legittimazione al riesame

Sequestro preventivo e legittimazione al riesame la Cassazione annulla l’ordinanza del Tribunale di Reggio Calabria

La Corte di Cassazione si è pronunciata con la  sentenza n. 9243 del 6 marzo 2025 su un’importante questione relativa alla legittimazione dell’ente a proporre istanza di riesame avverso un provvedimento di sequestro preventivo, annullando l’ordinanza del Tribunale di Reggio Calabria che aveva dichiarato inammissibile il ricorso della “società”.

Il caso

Il procedimento trae origine dal sequestro preventivo disposto dal GIP del Tribunale di Reggio Calabria nei confronti della “società”, azienda operante nel settore della raccolta e trasporto di rifiuti, il cui legale rappresentante è indagato per attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti (art. 452-quaterdecies c.p.). L’istanza di riesame, proposta nell’interesse dell’ente, era stata dichiarata inammissibile dal Tribunale poiché il difensore dell’azienda era stato nominato proprio dal legale rappresentante indagato nel procedimento penale.

La decisione della Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, evidenziando come la “società” non fosse destinataria di contestazioni per responsabilità amministrativa ai sensi del D.Lgs. 231/2001 e non avesse ricevuto alcuna informazione di garanzia o altra comunicazione formale in tal senso. La decisione del Tribunale si fondava su un’interpretazione rigida dell’art. 39 del D.Lgs. 231/2001, che vieta al legale rappresentante indagato di nominare il difensore dell’ente, senza tuttavia considerare la mancata conoscenza da parte della società della propria eventuale posizione di soggetto sottoposto a procedimento.

La Cassazione ha ribadito che, in assenza di una formale contestazione della responsabilità amministrativa, l’ente non può subire le conseguenze pregiudizievoli della preclusione prevista dall’art. 39. Ne deriva che la richiesta di riesame doveva essere considerata ammissibile, con la conseguente necessità di un nuovo giudizio di merito da parte del Tribunale.

Posizione del “terzo” e legittimazione dell’ente

Un aspetto centrale della decisione riguarda la possibilità per l’ente, in assenza di una notifica formale di indagine a suo carico, di agire come “terzo” avente diritto alla restituzione dei beni sequestrati. Secondo la Cassazione, se l’ente non ha conoscenza della pendenza di un procedimento ex D.Lgs. 231/2001, esso può legittimamente ritenere di agire come soggetto estraneo ai sensi degli artt. 322 e 322-bis c.p.p.

La pronuncia in esame sottolinea come non sia configurabile un onere per l’ente di indagare autonomamente sulla propria posizione processuale prima di attivare rimedi giurisdizionali. Inoltre, l’autorità giudiziaria ha l’obbligo di dare comunicazione all’ente della pendenza di un procedimento quando lo stesso è destinatario di un provvedimento di sequestro, in conformità agli artt. 34, 40 e 57 del D.Lgs. 231/2001.

La Cassazione ha quindi concluso che l’ente che confidi legittimamente di agire come terzo avente diritto alla restituzione dei beni sequestrati non possa subire l’applicazione del divieto di rappresentanza previsto dall’art. 39 del D.Lgs. 231/2001. In caso contrario, si determinerebbe una violazione del diritto di difesa dell’ente, il quale si vedrebbe privato della possibilità di contestare il sequestro per una circostanza a lui ignota e non imputabile.

Implicazioni della sentenza

La decisione si inserisce in un quadro giurisprudenziale volto a garantire il diritto di difesa delle persone giuridiche, evitando che la mancata comunicazione dell’esistenza di un procedimento a loro carico possa tradursi in una sostanziale limitazione della tutela giurisdizionale.

Questa pronuncia si allinea a precedenti orientamenti della Suprema Corte, che hanno stabilito la necessità di accertare se l’ente fosse effettivamente a conoscenza della propria posizione processuale prima di escluderne la legittimazione ad impugnare. Il principio confermato dalla Cassazione è che l’onere di garantire l’informazione alle parti processuali spetta all’autorità procedente e non può ricadere sull’ente, che altrimenti si troverebbe nella paradossale situazione di dover compiere autonome verifiche investigative per esercitare il proprio diritto di difesa.

Con questa decisione, la Cassazione riafferma l’importanza di un equilibrio tra l’efficacia delle misure cautelari e la tutela dei diritti delle persone giuridiche coinvolte nei procedimenti penali. Il caso sarà ora riesaminato dal Tribunale di Reggio Calabria, che dovrà valutare nel merito la legittimità del sequestro preventivo nei confronti della “società” e l’eventuale sussistenza del fumus commissi delicti e delle esigenze cautelari.

Allegato Testo integrale della sentenza n. 9243 del 6 marzo 2025

Ritenuto in fatto

  1. Con ordinanza emessa in data 16 agosto 2024, depositata il 13 settembre 2024, il Tribunale di Reggio Calabria, pronunciando in materia di misure cautelari reali, ha dichiarato inammissibile la richiesta di riesame proposta nell’interesse del RAPPRESENTANTE LEGALE, in qualità di indagato, socio e legale rappresentante della “società”, avverso il decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP del Tribunale di Reggio Calabria, nella parte disposta a fini impeditivi in relazione alle quote sociali e all’intero patrimonio aziendale della “società”.

    A carico del rappresentante legale è ipotizzato il reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti ex art. 452-quaterdecies c.p., in concorso con una pluralità di persone, commesso mediante un articolato sistema criminoso, coordinato dai fratelli omissis , operante nel settore della raccolta, gestione, lavorazione e rivendita non autorizzata di carta e cartone. In particolare, l’amministratore, quale legale rappresentante della “società”, con condotta perdurante dal 2013, avrebbe provveduto alla raccolta e al trasporto di rifiuti di diversi centri commerciali verso le piattaforme di recupero, agendo per conto della “società srl” dei fratelli omissis, sebbene questa impresa non fosse autorizzata ad effettuare attività di intermediazione di rifiuti ex art. 183 DLgs. n. 152 del 2006, perché non iscritta nella Categoria 8 dell’Albo Nazionale Gestori Ambientali.

    2. Ha presentato ricorso per cassazione avverso l’ordinanza indicata in epigrafe il rappresentante legale, quale indagato, socio e legale rappresentante della “società”, con atto sottoscritto dall’Avv. [omissis], articolando due motivi di ricorso.

    2.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 39 DLgs. n. 231 del 2001, 125 co. 3, 257 e 324 c.p.p., artt. 24 e 111 Cost. e 6 CEDU, a norma dell’art. 606 co. 1, lett. b), c.p.p., con riguardo alla dichiarazione di inammissibilità dell’istanza di riesame nell’interesse della “società”.

    Si deduce che illegittimamente l’istanza di riesame nell’interesse della “società” è stata dichiarata inammissibile per difetto di una valida costituzione di tale ente a norma del DLgs. n. 231 del 2001.

    Si premette che la dichiarazione di inammissibilità è fondata sul fatto che il difensore dell’ente è stato nominato dal; RAPPRESENTANTE LEGALE, sebbene questi fosse indagato del reato presupposto dell’illecito amministrativo ascritto alla precisata persona giuridica, e, quindi, in violazione del divieto di cui all’art. 39 co. 1, DLgs. n. 231 del 2001.

    Si evidenzia, in fatto, che: a) la “Società ” del RAPPRESENTANTE LEGALE non è destinataria, nell’ordinanza genetica, di contestazioni concernenti la responsabilità amministrativa da reato, a norma del DLgs. n. 231 del 2001, e non ha mai ricevuto alcuna informazione di garanzia ex art. 57 DLgs. n. 231 del 2001, né notificazione di atti di cui agli artt. 161, 349, 369 e 369-bis c.p.p.; b) la “Società ” del RAPPRESENTANTE LEGALE, inoltre, non risulta nemmeno indicata come sottoposta ad indagini nella motivazione dell’ordinanza genetica; c) atti di cui agli artt. 161, 349, 369 e 369-bis c.p.p. sono stati notificati esclusivamente al RAPPRESENTANTE LEGALE, quale indagato, e a Si. Ba., quale terza interessata perché socia accomandante della “Società “.

    Si osserva, poi, che il divieto per l’ente di partecipare al procedimento penale con il proprio rappresentante legale, se questi è indagato per il reato da cui dipende l’illecito amministrativo, non osta al rilascio della procura al difensore prima della costituzione in giudizio, perché l’art. 39 co. 2, lett. b), DLgs. n. 231 del 2001 richiede semplicemente «l’indicazione della procura», senza esigere il rilascio della stessa solo dopo la formale contestazione dell’illecito. Si rappresenta, inoltre, che le Sezioni Unite hanno ritenuto ammissibile la richiesta di riesame avverso decreto di sequestro preventivo presentata dal difensore nominato dal legale rappresentante dell’ente in assenza di un previo atto di formale costituzione della persona giuridica ex art. 39 DLgs. n. 231 del 2001, purché, precedentemente o contestualmente al sequestro, non sia stata notificata l’informazione di garanzia di cui all’art. 57 DLgs. cit. (Sez. U, n. 33041 del 2015). Si rileva, ancora, che l’incompatibilità fissata dall’art. 39 co. 1, DLgs. n. 231 del 2001 presuppone la contestazione all’ente di un illecito amministrativo da reato, perché la persona giuridica solo se è posta a conoscenza della propria qualità di indagata può avere contezza della necessità di attivare le procedure per sostituire il legale rappresentante. Si aggiunge che questa conclusione è coerente con la previsione per cui il pubblico ministero, anche nel procedimento ex DLgs. 231 del 2001, sin dal primo atto a cui il difensore ha diritto di assistere, deve nominare un difensore di ufficio, così da evitare che l’ente rimanga privo di qualunque difesa. Si segnala, infine, che, se si ritenesse sussistente l’incompatibilità prevista dall’art. 39 DLgs. n. 231 del 2001 per il solo fatto della iscrizione dell’ente nel registro delle notizie di reato, indipendentemente dalla conoscenza di tale circostanza da parte della persona giuridica, si attribuirebbe alla stessa l’onere di compiere preventive ricerche presso gli uffici di Procura prima di potersi difendere, e che le conclusioni sostenute nel ricorso hanno trovato pieno accoglimento nella più recente giurisprudenza (si cita Sez. 6, n. 34476 del 23.5.2024).

    2.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 125 e 324 c.p.p., 24 e 111 Cost. e 6 CEDU, a norma dell’art. 606 co. 1, lett. b), c.p.p., con riguardo alla dichiarazione di inammissibilità dell’istanza di riesame in ordine sia al patrimonio aziendale della “Società “, sia alle quote di proprietà dell’indagato medesimo.

    2.2.1. Si deduce, in primo luogo, che illegittimamente sono stati esclusi l’interesse e la legittimazione ad agire dell’attuale ricorrente.

    Si osserva, in proposito, che l’esclusione dell’interesse e della legittimazione ad agire è stata fondata sull’erroneo presupposto della riferibilità della richiesta di riesame al solo patrimonio aziendale della “Società “, e non anche alle quote sociali di detta società, e di proprietà dell’indagato, pure specificamente sottoposte a vincolo in forza del decreto di sequestro preventivo.

    2.2.2. Si deduce, in secondo luogo, che, nell’istanza di riesame e nella memoria difensiva, si erano analiticamente evidenziate le ragioni per escludere la sussistenza del fumus commissi delicti a carico dell’attuale ricorrente in ordine al reato posto a fondamento della misura.

    Si premette che, secondo la contestazione, l’indagato sarebbe concorso nel traffico illecito di rifiuti, perché avrebbe accettato di prelevare e trasportare rifiuti prelevati presso grossi centri commerciali per conto della “Beta srl”, sebbene questa impresa non fosse autorizzata ad effettuare attività di intermediazione di rifiuti, ex art. 183 DLgs. n. 152 del 2006, perché non iscritta nella Categoria 8 dell’Albo Nazionale Gestori Ambientali.

    Si osserva, innanzitutto, che l’attività di raccolta e trasporto di rifiuti, pur se delegata o subconferita non necessita, per poter essere ritenuta legittima, dell’iscrizione del delegante o conferente nella Categoria 8 dell’Albo Nazionale dei Gestori Ambientali, e poi, che, comunque, non vi sono elementi da cui inferire la consapevolezza dell’attuale ricorrente di partecipare ad una attività illecita.

    Si segnala, inoltre, che nell’istanza di riesame si era evidenziato come l’attività svolta dalla “Società “: a) sia stata costituita esclusivamente dal trasporto di carta e cartone; b) sia stata occasionale, perché durata per soli nove mesi, dal gennaio 2020 al 15 ottobre 2020; c) abbia avuto ad oggetto rifiuti il cui trasporto e conferimento è stato regolarmente tracciato, stante l’assenza di specifiche contestazioni in ordine a tale profilo.

    Si sottolinea, quindi, che nella memoria si era rimarcata l’assenza di indicazioni in ordine all’elemento soggettivo del reato, in particolare perché: a) i rifiuti trasportati corrispondevano a quanto indicato nei F.I.R., e le imprese destinatarie dei conferimenti, “Gamma srl” e “Delta srl”, erano in possesso delle relative autorizzazioni; b) secondo quanto indicato dalla circolare n. 841 del 6 luglio 2011 del Comitato Nazionale dell’Albo Nazionale dei Gestori Ambientali, «l’affidamento a terzi delle sole attività di raccolta e trasporto […] non costituisce attività di intermediazione in quanto, ai sensi dell’art 183 co. 1, lett. I), DLgs. 152/06, l’intermediario è l’impresa che “dispone il recupero e lo smaltimento dei rifiuti per conto di terzi e non le operazioni di raccolta e trasporto dei rifiuti stessi”»; c) l’indagato non era a conoscenza dell’attività di recupero e di smaltimento dei rifiuti trasportati dalla sua ditta, la “Società “, svolta successivamente, in un momento ben distinto, da parte della “Beta srl”; d) lo svolgimento di identica attività di raccolta e trasporto di rifiuti non è stato ritenuto, con riferimento ad altre società, nominativamente indicate, circostanza sufficiente per ritenere le stesse indiziate di concorso nel reato di cui all’art. 452-quaterdecies c.p.; d) del tutto inidonee sono le conversazioni intercettate per ritenere l’attuale ricorrente consapevole o partecipe dell’attività di falsificazione dei F.I.R. da parte dei fratelli R., promotori e direttori delle condotte illecite (il riferimento è alle conversazioni n. [omissis] del 7 gennaio 2020 e nn. [omissis] dell’8 gennaio 2020); e) i pregressi rapporti dell’indagato con i fratelli R. per il trasporto di rifiuti da spazzamento di strada e da manutenzione del verde pubblico del Comune di [omissis] nel 2017 erano stati improntati a regolarità e correttezza, in quanto eseguiti sulla base di un subappalto autorizzato dall’ente pubblico territoriale, aventi ad oggetto sfalci e potature, ossia cose escluse dal campo di applicazione della normativa in materia di rifiuti a norma dell’art. 185 DLgs. n. 152 del 2006, all’epoca dei fatti e fino all’entrata in vigore del DLgs. n. 116 del 2020, e affidati da una ditta, la “Beta” di Ro. R., iscritta all’Albo Nazionale dei gestori Ambientali anche per svolgere attività di pulizia e lavaggio di giardini e parchi e di manutenzione del paesaggio; f) l’episodio del 27 gennaio 2017, relativo a sette buste nere contenenti rifiuti soldi urbani, era consistito in un mero trasbordo resosi necessario per il guasto di un autoveicolo della “Società “, ed era avvenuto senza che ne fosse stato informato l’attuale ricorrente.

    2.2.3. Si deduce, in terzo luogo, che, come puntualmente evidenziato nell’istanza di riesame e nella memoria, non sussistono esigenze cautelari e che la misura contrasta con i principi di adeguatezza, proporzionalità e gradualità.

    Si osserva che, nell’istanza di riesame e nella memoria, si era sottolineato che: a) le condotte contestate sono occasionali e risalenti, perché comprese tra il gennaio 2020 ed il 15 ottobre 2020; b) le conversazioni intercettate precedono di tre anni e nove mesi l’adozione del provvedimento di sequestro; c) non vi sono atti di indagine sulla cui base poter ritenere la contraffazione dei F.I.R. riferibile all’attuale ricorrente o a suoi dipendenti; d) i rifiuti trasportati erano rifiuti non pericolosi, in quanto costituiti da carta e cartone; e) “Società ” opera da moltissimi anni nel settore della pulizia per conto di Comuni e non è mai stata coinvolta in indagini penali. Si rileva, poi, che la misura viola i principi di adeguatezza, proporzionalità e gradualità, perché, come segnalato nella memoria, a fronte di poche decine di trasporti di carta e cartone, è stata sequestrata una intera azienda con circa sessanta dipendenti.

    3. Nell’interesse del rappresentante legale, sono stati presentati anche motivi nuovi, con atto sottoscritto dall’Avv. [omissis], articolati in tre punti.

    3.1. Con il primo motivo nuovo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 39, 40 e 57 DLgs. n. 231 del 2001, artt. 178, 179, 321, 324, 365, 369 e 369-bis c.p.p., artt. 24 e 111 Cost. e 6 CEDU, a norma dell’art. 606 co. 1, lett. b), c.p.p., con riguardo alla dichiarazione di inammissibilità dell’istanza di riesame nell’interesse della “Società “.

    Le censure in esso contenute sviluppano quelle esposte nel primo motivo del ricorso.

    3.2. Con il secondo motivo nuovo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 125 e 324 c.p.p., art. 452-quaterdecies c.p., 24 e 111 Cost. e 6 CEDU, a norma dell’art. 606 co. 1, lett. b), c.p.p., con riguardo alla dichiarazione di inammissibilità dell’istanza di riesame relativamente al patrimonio della “Società “.

    Si precisa che le quote della società sono state già restituite, e che permane l’interesse alla restituzione del patrimonio aziendale. Si ripropongono e sviluppano le censure formulate nel secondo motivo del ricorso, nella parte relativa al fumus commissi delicti, e si depositano ulteriori atti a conferma dell’assunto secondo cui l’attività di raccolta e trasporto di rifiuti, pur se delegata o subconferita, non necessita, per poter essere ritenuta legittima, dell’iscrizione del delegante o conferente nella Categoria 8 dell’Albo Nazionale dei Gestori Ambientali.

    3.3. Con il terzo motivo nuovo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 125, 321 e 324 c.p.p., 24 e 111 Cost. e 6 CEDU, a norma dell’art. 606 co. 1, lett. b), c.p.p., avendo riguardo alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari.

    Si ripropongono e sviluppano le censure enunciate nel secondo motivo del ricorso, nella parte relativa al pericuium in mora. Si chiede, anzi, in relazione a questo aspetto, l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata, per l’evidente impossibilità di una utilizzazione illecita ulteriore della “Società “.

Considerato in diritto

  1. Il ricorso è fondato, nei limiti, per le ragioni e con le conseguenze di seguito precisati.
    2. Occorre premettere, per chiarezza, che il ricorso deve essere esaminato solo nella parte in cui contesta la dichiarazione di inammissibilità dell’istanza di riesame proposta dall’attuale ricorrente quale legale rappresentante della “Società ” avverso il decreto di sequestro preventivo a fini impeditivi del patrimonio aziendale della medesima società.
    Invero, non vi è ormai più alcun interesse giuridicamente apprezzabile alla decisione del ricorso nella parte in cui contesta la dichiarazione di inammissibilità dell’istanza di riesame dell’attuale ricorrente avverso il decreto di sequestro preventivo a fini impeditivi delle quote della “Società ” di cui il medesimo è titolare, poiché tali quote, per quanto espressamente indicato nei motivi nuovi, sono state restituite allo stesso ricorrente nelle more del presente giudizio.
    3. Fondate sono le censure enunciate nel primo motivo, le quali contestano la dichiarazione di inammissibilità dell’istanza di riesame presentata del rappresentante legale  nella qualità di legale rappresentante della “Società “.
    3.1. La questione da esaminare è se sia ammissibile l’istanza di riesame presentata dal legale rappresentante di un ente avverso un provvedimento di sequestro relativo ai beni di questo secondo soggetto, quando la persona fisica sia indagata per il reato presupposto dell’illecito amministrativo da reato per il quale si è proceduto ad annotazione nei confronti del soggetto immateriale a norma dell’art. 55 DLgs. n. 231 del 2001, e, però, al momento della presentazione dell’impugnazione, gli stessi non abbiano alcuna conoscenza della pendenza del procedimento ex DLgs. n. 231 del 2001.
    Invero, nella specie, è incontestato che il provvedimento di sequestro – l’ordinanza emessa dal GIP del Tribunale di Reggio Calabria in data 1° luglio 2024, la quale, contestualmente, ha rigettato le richieste di misure cautelari personali e disposto l’applicazione di misure di sequestro preventivo ex art. 321 co. 1 e 2 c.p.p., nonché di sequestro preventivo a fini di confisca per equivalente – non indica tra gli indagati, o comunque tra i soggetti sottoposti a procedimento, la “Società “.
    E anche il verbale di esecuzione del provvedimento di sequestro sui beni della “Società ” non fornisce alcuna indicazione in ordine alla pendenza, a carico della stessa o di altri, di procedimento per illeciti amministrativi da reato ex DLgs. n. 231 del 2001.
    Né risulta che alla “Società ” sia stata comunicata, al momento dell’esecuzione del sequestro impugnato, prima di tale momento, o fino alla presentazione dell’istanza di riesame, alcuna informazione di garanzia a norma dell’art. 57 DLgs. n. 231 del 2001.
    3.2. È doveroso premettere che, come affermato dalle Sezioni Unite, è inammissibile, per difetto di legittimazione rilevabile di ufficio ai sensi dell’art. 591 co. 1, lett. a), c.p.p., la richiesta di riesame di decreto di sequestro preventivo presentata dal difensore dell’ente nominato dal rappresentante che sia imputato o indagato del reato da cui dipende l’illecito amministrativo (Sez. U, n. 33041 del 28.5.2015, Ga., Rv. 264311 – 01; nel medesimo senso, successivamente, tra le tante, Sez. 3, n. 35387 del 13.5.2022, Ca., Rv. 283551 -01, e Sez. 2, n. 51654 del 13.10.2017, Si., Rv. 271360 – 01).
    Questo perché, in tema di responsabilità da reato degli enti, il rappresentante legale indagato o imputato del reato presupposto non può provvedere, a causa di tale condizione di incompatibilità, alla nomina del difensore dell’ente, per il generale e assoluto divieto di rappresentanza posto dall’art. 39 DLgs. n. 231 del 2001 (Sez. U, n. 33041 del 28.5.2015, Ga., Rv. 264310 – 01).
    3.3. Tuttavia, il principio appena indicato, ad avviso del Collegio, non trova applicazione quando l’ente ed il suo legale rappresentante non abbiano notizia della pendenza di un procedimento a carico del soggetto giuridico per l’illecito amministrativo dipendente da reato per il quale sia indagato o imputato il suo legale rappresentante.
    Invero, sembra ragionevole ritenere che l’ente al quale nell’ambito di un procedimento penale sia stato sequestrato un bene, se non abbia alcuna notizia della pendenza di un procedimento a suo carico ex DLgs. n. 231 del 2001, legittimamente assuma di essere nella posizione del “terzo” di cui agli artt. 322 e 322-bis c.p.p.
    Per un verso, infatti, è indiscusso sia che un ente possa essere attinto da un provvedimento di sequestro emesso nell’ambito di un procedimento penale senza essere sottoposto a procedimento per illecito amministrativo dipendente da reato, sia che, in tal caso, lo stesso ente sia legittimato ad agire in persona del suo legale rappresentante quale soggetto («persona») avente diritto alla restituzione dei beni sequestrati, quindi quale “terzo”, secondo la disciplina generale di cui agli artt. 322 e 322-bis c.p.p. (cfr., per tutte, Sez. 2, n. 18419 del 22.3.2024, Gr., Rv. 286321 – 01).
    Sotto altro profilo, poi, non può ritenersi configurabile un onere dell’ente di informarsi di propria iniziativa dell’esistenza di pendenze a suo carico ex DLgs. n. 231 del 2001, prima di attivare rimedi giurisdizionali nell’ambito di un procedimento penale, quando è disposto ed eseguito un sequestro che attinge beni nella sua disponibilità. Non solo è ammissibile, e di certo non irragionevole supporre, che i beni di un ente siano stati sottoposti a sequestro preventivo nell’ambito di un procedimento penale in difetto di annotazioni, e di ipotesi investigative, per illecito amministrativo dipendente da reato. Ma, per di più, l’autorità giudiziaria procedente ha l’obbligo di dare comunicazione all’ente della pendenza del procedimento ex DLgs. n. 231 del 2001 quando lo stesso è destinatario di un provvedimento di sequestro, come si desume, in particolare, dal rinvio effettuato alle disposizioni del codice di procedura penale in quanto compatibili (art. 34 DLgs. cit., da leggere in combinato disposto con l’art. 293 c.p.p.), oltre che, più in generale, dalle disposizioni che prevedono, a tutela e in favore dell’ente, la nomina del difensore di ufficio (art. 40 DLgs. cit.) e l’invio dell’informazione di garanzia (art. 57 DLgs. cit.).
    Ciò posto, va poi rilevato che l’ente, quando agisce quale soggetto avente diritto alla restituzione di beni sequestrati in un procedimento penale senza assumere la posizione di parte, non può dirsi che «partecipa al procedimento penale», condizione questa per l’operatività del divieto per il legale rappresentante imputato del reato presupposto di nominare il difensore di fiducia, oltre che per la configurabilità degli oneri di costituzione di cui all’art. 39 DLgs. n. 231 del 2001.
    E appare plausibile concludere che anche l’ente il quale confidi legittimamente di agire quale “terzo” avente diritto alla restituzione di beni sequestrati in un procedimento penale non possa subire l’applicazione del divieto e degli oneri di cui all’art. 39 DLgs. n. 231 del 2001.
    Invero, se in questa ipotesi si ritenessero applicabili il divieto e gli oneri di cui all’art. 39 DLgs. cit., l’ente, il quale ha agito a tutela dei propri diritti rispettando le regole formali da esso ragionevolmente ritenute applicabili, vedrebbe vanificate e rese inefficaci tutte le sue iniziative a causa della successiva emersione di una circostanza, la pendenza del procedimento a suo carico per un illecito amministrativo dipendente da reato, che, nel momento in cui reagisce al provvedimento di sequestro, gli è ignota non per propria negligenza, ma per la mancata comunicazione dell’autorità giudiziaria procedente, pur tenuta ad inviargli l’informazione di garanzia. In altri termini, se nell’ipotesi indicata si ritenessero applicabili il divieto e gli oneri di cui all’art. 39 DLgs. cit., l’ente incorrerebbe nella sanzione della inammissibilità per cause da esso incolpevolmente non previste, con conseguente irragionevole sacrificio del suo diritto di difesa.
    In linea con queste conclusioni, può aggiungersi, risulta essere anche la decisione citata nel ricorso, la quale ha annullato con rinvio un’ordinanza dichiarativa di inammissibilità di istanza di riesame presentata dal difensore di un ente nominato dal legale rappresentante indagato per il reato presupposto dell’illecito ex DLgs. n. 231 del 2001, osservando che il Tribunale «avrebbe dovuto […] accertare, al fine di verificare l’ammissibilità della richiesta di riesame, cosa sia stato effettivamente comunicato all’ente e se l’ente, in concreto, al momento della proposizione della richiesta di riesame, fosse consapevole di essere indagato e dunque, fosse consapevole della incompatibilità assoluta del suo legale rappresentante, indagato a sua volta, in quanto autore dell’reato presupposto» (Sez. 6, n. 34476 del 23.5.2024, Co. srl).
    3.4. Piuttosto, l’ente che abbia proposto richiesta di riesame avverso un provvedimento di sequestro nella qualità dì “terzo”, nel momento in cui ha notizia di essere sottoposto a procedimento per illecito amministrativo dipendente da reato, anche per effetto di notifica effettuata al legale rappresentante indagato del reato presupposto (cfr. art. 43 co. 2 DLgs. n. 231 del 2001), viene gravato, a pena di inefficacia della nomina del difensore, dell’onere di costituirsi in giudizio e, quindi, per ottemperare validamente a tale onere, della necessità di sostituire il legale rappresentante indagato per il reato presupposto.
    In proposito, è utile considerare quanto precisato dalle Sezioni Unite in ordine all’ammissibilità della richiesta di riesame avverso il decreto di sequestro preventivo nei procedimenti relativi alla responsabilità da reato degli enti in assenza di un atto formale di costituzione ex art. 39 co. 2 DLgs. cit.
    Precisamente, secondo le Sezioni Unite, è ammissibile la richiesta di riesame avverso il decreto di sequestro preventivo presentata, ai sensi dell’art. 324 c.p.p., dal difensore di fiducia nominato dal rappresentante dell’ente secondo il disposto dell’art. 96 c.p.p. ed in assenza di un previo atto formale di costituzione a norma dell’art. 39 DLgs. n. 231 del 2001, se, precedentemente o contestualmente all’esecuzione del sequestro, non sia stata comunicata l’informazione di garanzia prevista dall’art. 57 del DLgs. medesimo (Sez. U, n. 33041 del 28.5.2015, Ga., Rv. 264309 – 01).
    E, però, sempre ad avviso delle Sezioni Unite, «la legittimazione di quello stesso difensore è destinata ad essere validata dalla successiva costituzione dell’ente che confermi, nella relativa dichiarazione, la nomina stessa, nuovamente legittimandola anche mediante il conferimento di una procura ad hoc», sicché «il mancato esercizio di tale onere deve essere ritenuto come una precisa opzione processuale che vale a incidere negativamente, travolgendola ex lege, anche sulla legittimazione del difensore di fiducia, i cui poteri restano incapaci di produrre effetti procedimentali, con il conseguente subentro di quelli del – a questo punto indispensabile – difensore di ufficio» (così ancora Sez. U, Ga., cit., in motivazione, § 4.3).
    In linea con le indicazioni delle Sezioni Unite appena riportate, anche la richiesta di riesame presentata dal difensore dell’ente nominato dal legale rappresentante indagato del reato presupposto quando ancora non vi è alcuna conoscenza della pendenza di procedimento ex art. 231 del 2001, sebbene ammissibile per quanto indicato in precedenza nel § 3.3, deve essere in ogni caso seguita dalla successiva costituzione dell’ente, allorché questo ha notizia di tale procedimento, pena la perdita di efficacia della nomina, con conseguente subentro di un difensore di ufficio.
    Ed è in occasione della costituzione dell’ente, perché questa sia validamente effettuata, che occorrerà sia indicare un diverso rappresentante legale, il quale non risulti indagato o imputato del reato da cui dipende l’illecito amministrativo, e che potrebbe essere anche nominato con lo specifico compito di partecipare al procedimento penale per il soggetto immateriale (cfr., per questa indicazione, Sez. 3, n. 35387 del 13.5.2022, Ca., Rv. 283551 – 01), sia depositare una procura speciale al difensore conferita dal rappresentante legale non incompatibile. Invero, a norma dell’art. 39 co. 2 DLgs. n. 231 del 2001, la costituzione dell’ente avviene depositando nella cancelleria dell’autorità giudiziaria procedente «a pena di inammissibilità», dichiarazione contenente anche le generalità del legale rappresentante dell’ente, nonché l’indicazione della procura al difensore.
    4. Una volta precisato che è ammissibile l’istanza di riesame del difensore di un ente nominato da un legale rappresentante indagato del reato presupposto dell’illecito ex DLgs. n. 231 del 2001, se, al momento della presentazione dell’impugnazione, l’ente non abbia notizia della pendenza a suo carico di un procedimento per responsabilità amministrativa dipendente da reato, l’ordinanza impugnata, nella parte in cui ha dichiarato l’inammissibilità dell’istanza di riesame presentata dal rappresentante legale nella qualità di legale rappresentante della “Società “, deve essere annullata, perché si proceda a nuovo giudizio.
    Invero, si è detto in precedenza, al § 3.1, che né il provvedimento di sequestro impugnato con l’istanza di riesame, né il relativo verbale di esecuzione indicano tra gli indagati, o comunque tra i soggetti sottoposti a procedimento, la “Società “, e che non risulta neppure che a detta società sia stata comunicata, al momento dell’esecuzione del sequestro impugnato, prima di tale momento, o fino alla presentazione dell’istanza di riesame, alcuna informazione di garanzia a norma dell’art. 57 DLgs. n. 231 del 2001.
    L’accoglimento delle censure poste a fondamento del primo motivo è logicamente preliminare ed assorbente rispetto all’esame delle ulteriori censure, formulate nel secondo motivo e nei motivi nuovi, ed attinenti alla sussistenza del fumus commissi delicti e delle esigenze cautelari, nonché al rispetto dei principi di adeguatezza, proporzionalità e gradualità del sequestro. I punti oggetto di queste ulteriori censure, infatti, una volta rilevata l’illegittimità della dichiarazione di inammissibilità dell’istanza di riesame, debbono essere esaminati nel merito dal Tribunale competente a norma dell’art. 324 co. 5 c.p.p.
    Il Giudice del rinvio, prima di fissare l’udienza per la trattazione della richiesta di riesame, nominerà un difensore di ufficio alla “Società ” se questa non si sia correttamente costituita in giudizio a norma dell’art. 39 DLgs. n. 231 del 2001, e, poi, ai fini della decisione, esaminerà anche i profili attinenti al fumus commissi delicti, al pericuium in mora e al rispetto dei principi di adeguatezza, proporzionalità e gradualità del sequestro.
    Invero, come già affermato in giurisprudenza, in tema di impugnazioni cautelari reali, il terzo che assume di avere diritto alla restituzione del bene sottoposto a sequestro preventivo impeditivo è legittimato a dedurre, in sede di riesame, anche l’insussistenza del fumus commissi delicti e del periculum in mora, posto che, se gli si consentisse di far valere unicamente l’effettiva titolarità o disponibilità del bene e questa fosse incontroversa o, comunque, irrilevante ai fini del mantenimento del vincolo, si priverebbe di utilità il gravame di merito cautelare, escludendo quella verifica sulla legittimità del sequestro che l’indagato non ha interesse a richiedere, in quanto privo del titolo alla restituzione del bene (così Sez. 3, n. 10242 del 15.2.2024, Comune di [omissis], Rv. 286039 – 01).

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Reggio Calabria competente ai sensi dell’art. 324 co. 5 c.p.p.

 

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