La capacità decettiva del bilancio di esercizio

La capacità decettiva del bilancio di esercizio

La rilevanza penale delle forme più subdole di falsità nei bilanci si misura con il tema della capacità decettiva dell’informazione societaria

Il bilancio d’esercizio di una società di capitali costituisce  – alla data di chiusura dell’esercizio di riferimento piuttosto che in altri momenti particolari della vita dell’impresa collettiva, quali sono ad esempio le operazioni societarie straordinarie – il documento attraverso il quale gli stakeholders devono essere in grado di comprendere, con elevato grado di certezza, il reale stato di salute economico, finanziario e patrimoniale  della società nonché l’effettiva sussistenza del presupposto della continuità aziendale.

Stando così le cose è pacifico che, se il redattore del bilancio è animato dalla volontà di alterarne i contenuti e i risultati per far emergere una situazione diversa da quella reale (di norma migliore), lo deve fare attraverso una serie di manipolazioni, e quindi anche di omissioni, sia nella valorizzazione delle voci dello statio patrimoniale e del conto economico, sia nelle informazioni contenute nella Nota Integrativa e nella Relazione sulla Gestione.

Quindi, è evidente – in tema di possibile rilevanza penale del bilancio d’esercizio – che sia l’esposizione del falso quanto la condotta reticente devono avvenire in modo concretamente idoneo ad indurre altri in errore.

Tale previsione è contenuta negli articoli 2621 e 2622 del Codice civile.

Le due norme in questione contengono l’avverbio “concretamente”, al fine di meglio qualificare l’idoneità ingannatoria, e fanno riferimento – nell’individuazione dei soggetti potenzialmente ingannati (nella previgente formulazione normativa identificati con “i destinatari” della comunicazione sociale) – genericamente agli “altri”.

Da ciò si desume in maniera marcata la carica decettiva che dovrà assumere il mendacio per divenire tipico ai sensi delle fattispecie in esame.

È indubbio, infatti, che il connotato della decettività sia già compreso in qualsiasi forma di falsità. Ne consegue, quindi, che la scelta di sottolineare l’insidiosità della menzogna equivale a collocare l’asticella della tipicità ad un livello più elevato rispetto alle consuete ipotesi di falso.

È questo un approdo che riceve ulteriore conferma dalla riforma del 2015, visto che si è voluta affermare con ancora maggior rigorosità l’esigenza di sottoporre ad esame l’”effettiva” potenzialità ingannatoria del falso attraverso l’introduzione dell’avverbio “concretamente”.

Detto elemento di specificità impegna l’interprete a testare, nel singolo caso specifico, quale sia il ruolo della falsità, quale la sua portata rispetto al quadro economico, finanziario e patrimoniale che viene reso della società, in guisa da circostanziare la tipicità a quelle sole comunicazioni davvero capaci di ingenerare un erroneo convincimento. Tra l’altro, l’avverbio “concretamente” rievoca l’analoga richiesta di attenta verifica di offensività reclamata dal recente art. 648-ter c.p. in materia di autoriciclaggio.

Vi è allora da ritenere che lo scrupoloso accertamento di un tale requisito di tipicità dovrà indurre a non considerare nel perimetro della fattispecie tutte quelle comunicazioni che, per quanto mendaci, finiscono con il fornire una rappresentazione della società non così distorta rispetto al quadro reale: occultamenti di perdite non ingenti in contesti già chiaramente compromessi, ad esempio, paiono rientrare nell’alveo della menzogna ma si rilevano depotenziati sotto il profilo della concreta idoneità ingannatoria (Cfr ALESSANDRI, Le incerte novità del falso in bilancio (Riv. it. dir. proc. pen., 2016, 43)).

In questa prospettiva, quindi, occorre esaminare attentamente quei singoli fatti materiali ritenuti mendaci od omessi e verificarne la loro eventuale rilevanza penale: è ovvio che la bugia o l’informazione reticente ma priva d’impatto rispetto alla complessiva rappresentazione della società, risultano incapaci di innescare o comunque indurre qualsiasi forma di inganno (Cfr MEZZETTI, I reati societari, in AMBROSETTI, MEZZETTI, RONCO, Diritto penale dell’impresa, pag. 163; TRAVERSI, Le nuove “false comunicazioni sociali” alla luce della sentenza 27 maggio 2016, n. 22474 delle sezioni unite penali (Riv. Guardia di Finanza, 2016, 1251).

Proprio tale constatazione offre l’occasione per focalizzare l’attenzione sui destinatari dell’inganno: si è detto che le fattispecie fanno ora riferimento agli “altri” per identificare coloro che devono essere tratti in errore. La differente formulazione, tuttavia, non pare modificare le conclusioni alle quali conduceva la norma previgente, ossia che i soci o il pubblico, in quanto destinatari della comunicazione decettiva, saranno i soggetti potenzialmente attinti dall’inganno (Per una tale conclusione, riferita alla disciplina attualmente vigente, MUCCIARELLI, Le “nuove” false comunicazioni sociali: note in ordine sparso (www.penalecontemporaneo.it, 18 giugno 2015, 17).

Di qui la necessità di adottare un adeguato parametro di misurazione dell’idoneità ingannatoria del falso.

Ciò significa esigere dal destinatario della comunicazione sociale quel minimo di diligenza che, ad esempio, esclude qualsiasi capacità decettiva ad un processo valutativo compiutamente spiegato in Nota Integrativa.

Infatti, la rilevanza penale delle valutazioni non costituisce un’automatica conseguenza della semplice violazione delle norme codicistiche in materia di redazione dei bilanci – non potendo, diversamente, operare una distinzione tra illecito penale ed irregolarità di natura civilistica – bensì alla mancata corrispondenza tra i criteri di valutazione dichiarati e quelli effettivamente seguiti, tanto da impedire la ricostruzione del processo logico di formazione del bilancio (cfr. Cass. pen., Sez. V, 30 giugno 2016 – 8 novembre 2016, n. 46689).

Questo principio consente di valorizzare il principio della chiarezza del bilancio e la sua funzione informativa, accendendo così nuovamente un faro sulla capacità decettiva del falso.

Sotto questo profilo, già le Sezioni Unite, con la sentenza del 21 marzo 2016 n. 22474/2016, hanno aderito ad una combinazione tra il criterio del vero legale e quello della corrispondenza tra il prescelto ed il dichiarato. La Cassazione a Sezioni Unite nella parte motiva della citata afferma che “…eliminato ogni riferimento a soglie percentuali di rilevanza (chiaro indice di un criterio valutativo agganciato al dato quantitativo), la nuova normativa affida al giudice la valutazione – in concreto – della incidenza della falsa appostazione o della arbitraria preterizione della stessa; dovrà dunque il giudice operare una valutazione di causalità ex ante, vale a dire che dovrà valutare la potenzialità decettiva della informazione falsa contenuta nel bilancio e, in ultima analisi, dovrà esprimere un giudizio prognostico sulla idoneità degli artifizi e raggiri contenuti nel predetto documento contabile, nell’ottica di una potenziale induzione in errore in incertam personam”.

Tale rilevanza, proprio perché disancorata da soglie numeriche prefissate, ma apprezzata dal giudice in relazione alle scelte che i destinatari dell’informazione (soci, creditori, potenziali investitori) potrebbero effettuare, caratterizza la falsità di cui agli artt. 2621 c.c.

Essa, dunque, deve riguardare dati informativi essenziali, idonei a ingannare e a determinare scelte potenzialmente pregiudizievoli per i destinatari.

Il codice civile in tema di bilancio oltre a dettare criteri di valutazione più articolati delle poste dell’attivo e del passivo prevede, a corredo, la nota integrativa (l’art. 2427 c.c. stabilisce che la nota integrativa deve indicare i criteri applicati dall’amministratore nelle valutazioni delle singole voci di cui si compone il bilancio) cui è affidato proprio il compito di relazionare sulle scelte valutative adottate dal redattore della comunicazione sociale, fornisce al lettore/destinatario la possibilità di ricostruire il procedimento di valutazione che ha condotto alla determinazione e quantificazione delle voci del bilancio.

Ne discende che il mancato rispetto dei criteri di valutazione previsti dall’art. 2426 c.c. potrà, al limite, rendere non valido il bilancio ma la falsità potrà dipendere solo e soltanto dalla difformità dei criteri di valutazione scelti con quelli adottati.

Questo indirizzo pare essere il più idoneo a determinare una corretta lettura del tema relativo alla rilevanza penale delle valutazioni in bilancio, non corrispondenti al vero perché consente di superare la rigida – e troppo schematica – soluzione del vero legale che fa coincidere l’illecito civile con l’illecito penale.

L’affermarsi del principio della mancata corrispondenza tra i criteri di valutazione dati e quelli effettivamente seguiti è dunque significativamente il perno su cui poggia il reato di falso in bilancio che, come affermato, opera un preciso riferimento normativo alla concreta idoneità ingannatoria della falsa rappresentazione.

Tale funzione di informazione di maggiore caratterizzazione del fatto tipico prevista dagli artt. 2621 e 2622 c.c., ottenuta attraverso il requisito della concreta idoneità ad indurre altri in errore, cerca di recuperare sotto il profilo oggettivo una dimensione di concreta lesività della falsità. Il venir meno dell’ipotesi di danno prevista dal precedente art. 2622 c.c. e la trasformazione di entrambe le fattispecie di false comunicazioni sociali in reato di pericolo concreto ha annullato i dubbi che avevano accompagnato la presenza del requisito dell’idoneità ingannatoria dell’informazione.

Certamente con la riforma del 2015 il problema è venuto meno, perché con la trasformazione di entrambe le fattispecie di falso in bilancio in reato di pericolo, l’inserimento del requisito dell’idoneità decettiva della condotta, assume un ruolo specifico ed essenziale per determinare la rilevanza penale della falsa rappresentazione.

Al contrario, il requisito della rilevanza attiene alla significatività del falso, l’idoneità ingannatoria riguarda la capacità decettiva dell’informazione o, meglio, l’idoneità ingannatoria presuppone che non siano stati offerti al lettore del bilancio gli strumenti necessari a comprendere quale sia l’effettivo percorso attraverso il quale nel bilancio viene data una certa rappresentazione della situazione economica, patrimoniale e finanziaria della società.

Ecco allora che ove il bilancio, inteso come stato patrimoniale e conto economico, non sia di per sé già sufficiente a fornire una chiara (e non ingannevole rappresentazione dello stato di salute dell’ente), in suo soccorso perviene in tutta la sua importanza il ruolo della nota integrativa, il cui scopo è quello di rendere intellegibile e chiaro il bilancio, mediante la possibilità di risalire al processo di valutazione seguito nella redazione dello stesso.

Il patrimonio dei destinatari dell’informazione societaria costituisce, dunque, il bene giuridico finale tutelato dal delitto di false comunicazioni sociali.

Sicuramente, la scelta, sul piano della politica criminale, di attestare l’intervento punitivo sulla soglia del pericolo concreto, attribuisce indiscutibilmente significato alla salvaguardia dell’informazione societaria intesa come valore autonomo, ma è sulle potenziali lesioni al patrimonio dei destinatari della menzogna che si svolge la vera partita dell’offensività del fatto.

Ad esempio, una società si trova in una situazione di crisi e presenta un bilancio con un patrimonio netto significativamente negativo (si ipotizzi, negativo di oltre cinque milioni di euro). Si verifica che la redazione di un bilancio rispettoso dei principi civilistici avrebbe comportato l’emersione di ulteriori, rilevanti, perdite di esercizio (si ipotizza ancora, per semplicità, che si tratti di un ulteriore milione di euro di perdite). Un siffatto bilancio sarebbe rilevante ai sensi della norma in esame?

Non v’è dubbio che l’entità delle perdite occultate, in valore assoluto, sarebbe tutt’altro che trascurabile. Ma, nondimeno, a qualsiasi destinatario lettore di quel bilancio sarebbe del tutto chiara la situazione disastrosa nella quale versa la società, a prescindere che si tratti di un potenziale finanziatore, fornitore in dubbio se effettuare o meno nuove erogazioni di denaro o consegne di merci. Così come socio stesso sarebbe comunque ben consapevole della perdita di valore – totale o parziale – subita dalla sua partecipazione.

In un tale scenario, quindi, non sembra rischioso ritenere privo di offensività un siffatto mendacio anche se – al cospetto di un investitore desideroso di ricapitalizzare e rilanciare la società – potrebbe essere non del tutto irrilevante quantificare in sei anziché in cinque milioni l’effetto esborso necessario per il salvataggio.

Ed allora, prendendo le distanze da qualsiasi soluzione semplicistica e ferma la necessità di valutare in concreto l’effettiva carica decettiva alla menzogna, resta granitico il parametro da utilizzare per misurare il potenziale offensivo che il falso presenta: ovverosia la sua capacità d’impatto sul patrimonio dei destinatari della comunicazione.

In altri termini, per rispondere all’esigenza di individuare le ipotesi di falso aventi rilevanza penale – da tenere ben distinta rispetto alle semplici irregolarità/errori di bilancio – la norma fa esplicito riferimento alla concreta idoneità ingannatoria della condotta di falso, la quale non vuole solo dire che la condotta del soggetto agente deve presentare una connotazione decettiva e fraudolenta tale da rendere la manipolazione dei dati difficilmente individuabile dai destinatari della comunicazione sociale, ma necessita, altresì, che tale alterazione riguardi  profili del bilancio la cui falsa rappresentazione determini un inganno sulle condizioni economiche, finanziarie e patrimoniali dell’impresa.

Si può quindi concludere affermando che l’esenzione da responsabilità opera ogniqualvolta la valutazione della posta di bilancio sia chiaramente riscontrabile nella Nota integrativa al bilancio: tale impostazione ha trovato conferma giurisprudenza di legittimità da subito formatasi dopo l’entrata in vigore della novella del 2015 (cfr. Cassazione Penale, Sezioni Unite, 27 maggio 2016 (ud. 31 marzo 2016), n. 22474), proprio in ragione del fatto che ha comunque escluso la punibilità nel caso in cui la voce di bilancio “sotto esame” ed il suo processo di valutazione siano esplicitate nella Nota integrativa.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito fa uso di cookie per migliorare l’esperienza di navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’utilizzo del sito stesso. Utilizziamo sia cookie tecnici sia cookie di parti terze per inviare messaggi promozionali sulla base dei comportamenti degli utenti. Può conoscere i dettagli consultando la nostra privacy policy. Proseguendo nella navigazione si accetta l’uso dei cookie; in caso contrario è possibile abbandonare il sito.