Pizza cotta in forno a legna vanto o un rischio alimentare.

Pizza cotta in forno a legna vanto o un rischio alimentare.

Sono oltre vent’anni che la nostra meravigliosa pizza viene indegnamente attaccata sia dal punto di vista alimentare che da quello ambientale.

La nostra pizza cotta in forno a legna diviene periodicamente oggetto di attacchi sulla sua pericolosità, inizialmente alimentare e poi ambientale.

Infatti, con grande nostalgia (mia) ricordo come nel 2001 ci fu una convocazione al Ministero della Salute in Lungotevere Ripa 1 per discutere del “terrificante” pericolo per la sicurezza alimentare costituito dalla citata specialità italiana, alla presenza di rappresentanti di tutta Europa.

In quella riunione, iniziata con uno spirito che definire aggressivo era abbastanza ottimistico, l’ordine del giorno prevedeva la messa al bando del pericolosissimo alimento che era farcito di sostanze cancerogene come gli IPA – Anelli Poli Insaturi.

Questo perché nel nostro Paese non solo si cuoceva a contatto con quelle pericolose sostanze aromatiche come fenantrene, antracene e benzopirene ma si dava tale alimento anche ai bambini (!) e tale alimento veniva proposto anche ai cittadini del resto nel resto della comunità europea.

In quella riunione partita in maniera così aggressiva si generò un clima molto più accomodante quando un rappresentante italiano fece abiura (falsamente) chiedendo contestualmente come mai si dovesse bandire un alimento che rimane a contatto con il fumo della legna per tempi minimi (60/240 secondi a seconda della temperatura del forno) mentre per altri prodotti “nordici”  come salmone, bacon, aringhe ecc. i tempi di contatto erano parecchie ore o addirittura interi giorni.

Oggi assistiamo ad un nuovo attacco basato sulle emissioni in aria che, oltre tutto, se il forno opera alla temperatura del disciplinare* di 485°C, in presenza di ossigeno, è anche difficile possano generare del particolato significativo.

Ovviamente, non si parla delle ben più “pericolose” e diffuse ed ecologiche stufe e caldaie a pellet (sulle quali vorrei che si concentrassero le attenzioni dei nostri ambientalisti invece di addebitare la crescita del PM 5 e 2,5 in ambiente urbano alle vituperate sigarette).

Nel recente, sulla pericolosità delle nostre pizze, si sono acuite le attenzioni per sospetta presenza di acrillamide** ipotesi anche questa destituita dalla brevità del tempo di cottura e dalla ridotta presenza dell’asparagina un aminoacido necessario perché la sostanza si formi, cento volte più presente nelle patate fritte da cui gli americani hanno generato l’allerta.

Quello che, invece, dovrebbe essere valutato è che il citato disciplinare sulla pizza definisce (non protegge) solo la “Pizza napoletana STG” e non la pizza, prodotto da forno cotto a legna, Made in Italy.

Infatti, il disciplinare del 2008 individua solo la pizza sottile (max. 4 mm di spessore) e recita che la “Pizza napoletana” dovrebbe essere consumata nel locale che la produce e che, se portata altrove, non può essere ne surgelata ne posta sottovuoto, per essere consumata in differita.

Credo che tale disciplinare non debba essere non rivisto, perché è protegge gli esercizi artigianali definendo implicitamente un ingrediente fondamentale, perché tale prodotto possa essere quel gran vanto gastronomico che rappresenta l’Italia in tutto il mondo: il pizzaiolo.

Questo però non impedisce che possa essere affiancato da altri disciplinari che possano proteggere e pubblicizzare le “altre pizze” come quella alta di cui il “cuculo” pugliese è, forse, il rappresentante più conosciuto nella multiformità del prodotto chiamato “pizza”.

Inoltre, il fatto che sia depositato solo in lingua italiana esprime un limite oggi insopportabile.

Quali proposte?

Altri disciplinari, magari se non finanziati dal MASAF almeno agevolati tecnicamente dal Ministero, che consentano, anche, di conservare i prodotti con la catena del freddo (in quanto vorrei vedere come si può conservare decentemente una pizza cotta e poi messa sottovuoto) definendo attentamente altri tipi di pizza SGT ma che, come unico vincolo comune, sia che possono essere prodotte SOLO in Italia, magari con SOLO ingredienti italiani.

Mi piacerebbe che questa indicazione, pur mediata e supportata anche da gruppi industriali, sfoltite le critiche sulla sicurezza di questi prodotti (incredibilmente ma anche Elon Musk lo ha pubblicamente affermato), possa contribuire alla nostra sovranità (meglio ancora: autorevolezza) enogastronomica, fatto credo indiscusso, ma mai sufficientemente vantato, Ministro, per cortesia, ci pensi e intervenga.

Grazie!

 

* Vedi link

** L’Acrillammide  si forma negli alimenti come risultato della reazione tra alcuni zuccheri e l’aminoacido asparagina, in seguito a cotture a temperature molto alte, che in casa si possono raggiungere solo con cottura mediante frittura, in forno o con la griglia per periodi prolungati.

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