La toga come identità, la difesa come scelta
Ogni causa è una storia e un cammino tra coscienza, dubbio e giustizia.
Quando ho deciso di diventare avvocato, pensavo che il diritto fosse una questione di codici, sentenze e logica. Mi immaginavo tra faldoni e tribunali, a costruire strategie, a difendere posizioni. Ma col tempo ho capito che quella era solo la superficie. Essere avvocato è molto di più. È un mestiere che ti mette ogni giorno davanti a scelte etiche, a dilemmi morali, a storie umane che non si risolvono con una norma, ma con la coscienza.
C’è una frase che porto con me da anni e che mi guida in ogni caso, in ogni consulenza, in ogni udienza: “Un bravo avvocato deve essere per il suo cliente, prima un pubblico ministero, poi un giudice e solo alla fine può essere un avvocato.”
Questa frase racchiude tutto. Racchiude il rispetto per la verità, per la giustizia, per la persona. Perché prima di difendere, bisogna capire. E prima di capire, bisogna avere il coraggio di mettere in discussione.
Il pubblico ministero dentro di noi
Quando un cliente entra nel mio studio, non posso semplicemente credergli. Devo ascoltarlo, certo, ma anche interrogarlo. Devo scavare, cercare le contraddizioni, le omissioni, le verità taciute. Essere “pubblico ministero” significa avere il coraggio di dubitare, di mettere alla prova la versione dei fatti, di cercare la verità anche quando fa male.
Ricordo un caso di truffa, in cui il mio assistito negava ogni responsabilità. I documenti però raccontavano un’altra storia. Lo incalzai, lo misi davanti alle sue contraddizioni. Fu un momento difficile, ma necessario. Solo dopo aver affrontato la verità, potei davvero aiutarlo.
Il giudice che valuta
Dopo aver indagato, arriva il momento di giudicare. Non nel senso di condannare, ma di valutare. Di pesare i fatti, le intenzioni, le conseguenze. Essere “giudice” significa saper distinguere il giusto dal conveniente, il vero dal verosimile. Significa avere equilibrio, lucidità, onestà intellettuale.
In quel caso di truffa, dopo aver compreso le sue motivazioni – fragilità economica, pressioni familiari – capii che non era un criminale, ma una persona che aveva sbagliato. E così, da giudice, decisi che meritava una difesa che non negasse l’evidenza, ma cercasse giustizia.
L’avvocato che difende con coscienza
Solo dopo aver indagato e valutato, posso essere avvocato. Posso costruire una strategia, scegliere le parole, presentare le prove. Ma lo faccio con consapevolezza, con etica, con rispetto. Perché difendere non significa giustificare tutto. Significa cercare la verità processuale, quella che può essere dimostrata, quella che può essere accolta dal giudice.
E quando la sentenza riconobbe la buona fede parziale del mio assistito, sentii che avevamo fatto la cosa giusta. Non avevamo vinto una causa: avevamo rispettato la verità.
Custode della verità processuale
Uno dei ruoli più delicati dell’avvocato è quello di custode della verità processuale. Non siamo chiamati a manipolare, a nascondere, a distorcere. Siamo chiamati a contribuire alla costruzione di una verità che sia giuridicamente sostenibile, ma anche moralmente accettabile.
Etica significa sapere quando tacere è complicità e quando parlare è dovere.
Mediatore di conflitti
In molte cause, soprattutto familiari, il vero successo non è la vittoria in aula, ma la pace fuori. Essere mediatore significa proporre soluzioni eque, evitare l’escalation emotiva, proteggere relazioni.
In una separazione complicata, con figli piccoli coinvolti, riuscii a favorire un accordo extragiudiziale. I genitori, dopo mesi di silenzio, tornarono a parlarsi. Non fu una vittoria legale, ma una vittoria umana. E io, per un attimo, mi sentii più che un avvocato: mi sentii utile.
Difensore dei vulnerabili
Ci sono clienti che non hanno voce. Minori, anziani, vittime di violenza. In quei casi, l’avvocato deve essere uno scudo, una presenza, una guida.
Una donna vittima di stalking aveva paura persino di venire in studio. Ogni incontro era un atto di coraggio. Quando ottenemmo il provvedimento restrittivo, mi disse: “Ora posso dormire.” Quella frase vale più di qualsiasi parcella.
Educatore alla legalità
Ho sempre sentito forte il dovere di contribuire alla cultura giuridica, anche al di fuori delle aule. Spesso, nei colloqui con i clienti, mi accorgo che il diritto è percepito come qualcosa di distante, tecnico, quasi ostile. E allora mi fermo, spiego, traduco. Cerco di rendere comprensibile ciò che sembra incomprensibile. Perché la legalità non è solo una questione di norme: è una forma di rispetto, di convivenza, di responsabilità.
Mi è capitato di parlare con giovani imprenditori, con genitori preoccupati, con persone comuni che non sapevano da dove cominciare. In quei momenti, mi sono sentita non solo avvocato, ma anche educatrice.
L’etica dell’avvocato include il dovere di rendere il diritto accessibile, umano, vicino.
Consulente morale, non solo legale
Talvolta il cliente chiede: “Cosa posso fare?” Ma la vera domanda è: “Cosa è giusto fare?”
L’avvocato etico non si limita a indicare ciò che è legale, ma accompagna il cliente in una riflessione più ampia. Valuta le conseguenze, considera l’impatto su terzi, suggerisce la strada più giusta, non solo la più vantaggiosa.
Essere avvocato significa anche essere guida morale, quando il cliente è smarrito.
Una professione che richiede coraggio e coscienza
Essere avvocato non è una vocazione né una missione. È una scelta consapevole, che richiede coraggio, lucidità, sensibilità. È un mestiere che ti espone, ti coinvolge, ti mette alla prova ogni giorno. E soprattutto, significa avere il coraggio di essere prima inquisitore, poi giudice e solo alla fine difensore. Perché la vera difesa nasce dalla verità. E la verità, anche quando fa male, è il primo passo verso la giustizia.

