USA vs UE tra dazi, energia e regole folli

USA VS UE tra dazi, energia e regole folli

L’Europa secondo Trump e von der Leyen. L’Italia spettatrice

Il 27 luglio 2025, Donald Trump e Ursula von der Leyen hanno stretto un accordo commerciale a Turnberry, Scozia, che ridisegna gli equilibri tra Stati Uniti e Unione Europea. Un’intesa che favorisce Berlino e Washington, mentre Roma osserva da lontano.

Trump: gas, petrolio e no all’eolico

Trump ha ottenuto dall’UE l’acquisto di 750 miliardi di dollari in energia fossile statunitense entro il 2028. Ha rilanciato le trivellazioni in Alaska e nel Mare del Nord, bloccando le concessioni per l’eolico offshore. Ha definito le pale eoliche europee una minaccia per il paesaggio e gli ecosistemi, proponendo la rimozione degli incentivi alle auto elettriche e nuove tasse sulle ibride. L’obiettivo? Riportare il fossile al centro della strategia energetica globale.

Von der Leyen: regole rigide, vantaggi tedeschi

La Presidente della Commissione Europea ha imposto dazi al 15% su auto, semiconduttori e farmaci: una soglia favorevole all’industria tedesca, già attrezzata per la transizione. Ha confermato il divieto di vendita per le auto a benzina e diesel dal 2035 e l’obbligo per le flotte aziendali di passare all’elettrico entro il 2030. Ursula von del Leyer è la stessa che ha imposto ristrutturazioni energetiche nelle abitazioni, con l’obbligo di cappotti termici e impianti Green, anche dove climaticamente superflui. Le sanzioni per chi non si adegua possono superare i 16 miliardi di euro, colpendo in particolare Paesi come l’Italia.

Italia: assente dai tavoli decisivi

Il governo italiano ha definito l’accordo “sostenibile”, pur non ottenendo deroghe o tutele per i settori più penalizzati. Giorgia Meloni si trovava in Etiopia durante la firma; Tajani ha chiesto alla BCE di intervenire sul cambio euro/dollaro per proteggere l’export. Matteo Salvini ha parlato di “scelte europee da correggere”, ma senza azioni concrete.

Le opposizioni hanno criticato duramente l’intesa:

Giuseppe Conte ha definito l’accordo una “Caporetto economica”.

Elly Schlein, sebbene il suo Partito Democratico faccia parte del gruppo S&D che sostiene von der Leyen, ha minacciato di ritirare il sostegno, definendo il patto “accondiscendente e sbilanciato”. Ma ancora non lo ha fatto.

Carlo Calenda, pur provenendo dal gruppo Renew Europe che ha sostenuto la Commissione, ha chiesto le dimissioni di von der Leyen, accusandola di essere “una scolaretta davanti a Trump”.

Nessun rappresentante italiano era presente ai negoziati tecnici tra Bruxelles e Washington, né alle riunioni UE del 29 luglio in cui il commissario Sefcovic ha riferito i dettagli dell’accordo agli Stati membri.

Chi ha vinto e chi ha perso

Germania esce rafforzata: le sue aziende beneficiano di dazi contenuti e di regole già integrate nei loro processi industriali. Gli Stati Uniti incassano commesse energetiche miliardarie e consolidano il controllo geopolitico sulle forniture. Bruxelles evita lo scontro diretto con Washington, ma con una strategia sempre più sbilanciata. L’Italia, invece, subisce le norme e paga i costi senza aver avuto voce attiva nei negoziati.

Leadership europea sbilanciata, Italia ai margini

L’intesa siglata tra Trump e von der Leyen ha fermato una potenziale guerra commerciale, ma ha evidenziato una Europa guidata dalla Germania e condizionata dalle pressioni statunitensi. L’Italia ha osservato, criticato, ma non ha inciso. E mentre la Commissione impone regole tecniche e ambientali che sembrano scollegate dalle realtà economiche nazionali, resta aperta una domanda cruciale: chi difende davvero gli interessi italiani in Europa?

Regole imposte dall’alto

L’accordo ha premiato chi ha negoziato, punito chi non c’era. Germania e Stati Uniti si sono portati a casa miliardi, visibilità, influenza. L’Italia, invece, ha osservato, definendo l’intesa “sostenibile”, pur subendone gli effetti più duri.

Cosa avrebbe potuto fare il nostro Paese?

Partecipare ai negoziati, anziché inviare un messaggio di approvazione tardiva.

Negoziare deroghe per settori chiave, come farmaceutica, moda, automotive.

Costruire alleanze europee, invece di affidarsi all’iniziativa tedesca.

Rilanciare la produzione energetica nazionale, anziché aumentare la dipendenza dal fossile americano.

Fare pressione sulla Commissione, difendendo la specificità italiana, climatica e industriale.

L’Italia non è periferia d’Europa. Ma lo diventa se non partecipa, non propone, non reagisce.

Ora il governo ha due strade: accettare l’accordo come una realtà immodificabile, oppure trasformare questa sconfitta diplomatica in un’occasione per ridefinire la nostra voce in Europa.

Non basta lamentarsi. Serve visione. Serve presenza. Serve coraggio.

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