Il concetto di dissesto nei Paesi dell’Unione Europea
L’analisi comparativa del concetto di dissesto: modelli aziendalistici a confronto nei principali ordinamenti europei
L’adozione di un approccio comparato nello studio del concetto di dissesto nei diversi ordinamenti europei risponde a precise esigenze di natura sia teorica che applicativa.
L’analisi comparata consente di arricchire la riflessione scientifica, evidenziando le differenti modalità con cui gli studiosi e i professionisti dei vari contesti culturali interpretano e diagnosticano la perdita di continuità aziendale. Le divergenze nei criteri di valutazione – patrimoniali, finanziari, gestionali – non sono solo espressione di sistemi contabili diversi, ma riflettono concezioni eterogenee del rischio imprenditoriale, della funzione economica dell’impresa e del ruolo del management nella prevenzione della crisi.
Tale confronto è particolarmente utile in un contesto di progressiva armonizzazione normativa e operativa a livello europeo, dove l’integrazione dei mercati e la mobilità transnazionale delle imprese richiedono strumenti comuni per la prevenzione e il governo delle situazioni di dissesto. Comprendere come ciascun ordinamento interpreta i segnali di fallimento aziendale permette di costruire un linguaggio condiviso tra professionisti, revisori, banche, investitori e autorità pubbliche.
Infine, l’analisi comparata fornisce strumenti utili per la diagnosi interna da parte dell’impresa stessa, che può così adottare modelli di monitoraggio coerenti con le migliori prassi internazionali, anticipare situazioni critiche e rafforzare la propria capacità di resilienza strategica.
In sintesi, la comparazione non è solo un esercizio descrittivo, ma uno strumento operativo per l’innovazione dei processi di controllo aziendale, la prevenzione dell’insolvenza e la promozione della continuità imprenditoriale in un mercato europeo sempre più integrato.
Il concetto di dissesto rappresenta un nodo centrale nell’analisi aziendalistica della crisi d’impresa. Di seguito un’analisi comparata dei criteri adottati nei principali Paesi dell’Unione Europea, con particolare attenzione agli indicatori economico-finanziari e gestionali utilizzati per definire e diagnosticare lo stato di dissesto.
L’analisi prende in esame la letteratura economico-aziendale e i sistemi di early warning nazionali, con l’obiettivo di mettere in luce le convergence e le divergenze nei modelli di diagnosi della crisi irreversibile. In un’ottica interdisciplinare, l’analisi che segue intende offrire uno strumento utile alla valutazione prospettica della sostenibilità aziendale e alla prevenzione dell’insolvenza.
1. Inquadramento dottrinale del concetto di dissesto aziendale
Nel linguaggio dell’economia aziendale, il dissesto rappresenta la fase terminale di un processo patologico che ha origine in uno squilibrio gestionale e si manifesta, progressivamente, attraverso tensioni economiche, finanziarie e patrimoniali. A differenza dell’insolvenza giuridica, che fotografa l’incapacità attuale di far fronte ai debiti, il dissesto è interpretato come l’incapacità sistemica dell’impresa di produrre valore economico e di assicurare continuità aziendale.
In tale prospettiva, il dissesto si configura non come una mera impossibilità momentanea di adempiere alle obbligazioni, ma come l’esito di una crisi irreversibile del sistema impresa, in cui l’insieme delle leve gestionali – economiche, finanziarie, organizzative e strategiche – risulta compromesso. L’azienda non è più in grado di reagire in modo efficace agli stimoli dell’ambiente esterno, né di attivare percorsi di riequilibrio attraverso operazioni di turnaround, ristrutturazione operativa o ricapitalizzazione.
Ovviamente il dissesto non rappresenta soltanto il risultato di fattori esterni o di dinamiche di mercato avverse, ma molto spesso è la manifestazione di gravi disfunzioni dell’ambiente interno dell’impresa, ossia del complesso delle sue risorse, strutture, processi decisionali e sistemi di controllo. L’ambiente interno, in ottica aziendale, costituisce il nucleo operativo e strategico dell’impresa, in cui si esprimono la coerenza del modello di business, la qualità della governance, l’efficacia della struttura organizzativa e la capacità di visione del management.
Quando tali componenti risultano inadeguate, obsolete o disallineate rispetto agli obiettivi di creazione di valore, si determina un progressivo indebolimento della capacità competitiva e finanziaria dell’impresa. Errori nella pianificazione, carenze nel sistema informativo-contabile, sottovalutazione dei rischi, gestione inefficiente del capitale circolante, struttura dei costi non flessibile e carenza di leadership strategica sono solo alcuni dei fattori interni che possono innescare o aggravare la crisi.
In questa prospettiva, il dissesto aziendale è il risultato di una progressiva perdita di funzionalità dell’organismo impresa, incapace di autorigenerarsi e di reagire in modo tempestivo ai segnali di squilibrio. La crisi irreversibile non è dunque solo un fatto contabile o finanziario, ma il riflesso di una rottura sistemica dei meccanismi interni di coordinamento, controllo e adattamento, che priva l’organizzazione della capacità di perseguire la continuità aziendale come finalità primaria.
In generale, quindi, il dissesto riflette pertanto una perdita di funzionalità del modello economico sottostante, in cui le dinamiche di produzione, finanziamento e allocazione delle risorse non generano più risultati coerenti con i fabbisogni della continuità aziendale. Da qui l’importanza di un sistema di rilevazione tempestiva, fondato su indicatori in grado di intercettare il deterioramento progressivo delle performance, ben prima che si manifestino sintomi conclamati di insolvenza o squilibrio patrimoniale.
2. Approccio metodologico comparato adottato
L’indagine condotta adotta un approccio comparativo tra sistemi economico-aziendali europei, con l’obiettivo di identificare gli elementi comuni e distintivi nella definizione e nella misurazione del dissesto. Sono stati analizzati i principali indicatori gestionali utilizzati nei contesti nazionali, sulla base della dottrina aziendalistica locale, di report accademici e di letteratura specialistica.
Il confronto è stato strutturato secondo una matrice descrittiva che mette in relazione: (i) la definizione aziendalistica del dissesto, (ii) gli indicatori prevalenti utilizzati per la diagnosi, e (iii) le principali fonti dottrinali di riferimento. L’approccio interdisciplinare adottato integra considerazioni di natura quantitativa (ratios patrimoniali e reddituali) con valutazioni qualitative (governance, sostenibilità del business model).
3. Il concetto di dissesto in Italia
Nel contesto economico-aziendale italiano, il dissesto viene esaminato non soltanto come fenomeno giuridico, ma soprattutto come processo degenerativo della capacità reddituale e finanziaria dell’impresa, fino alla perdita della continuità aziendale.
Il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.lgs. 14/2019, art. 2, lett. b) definisce il dissesto come la situazione in cui “il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni ed appare inadeguato il ricorso agli strumenti di regolazione della crisi“.
Tale definizione è coerente con l’elaborazione teorica fornita da numerosi studiosi aziendalisti, secondo cui il dissesto rappresenta la fase terminale di un processo che attraversa più stadi: squilibrio economico, tensione finanziaria, crisi e, infine, dissesto.
Le caratteristiche del dissesto secondo la dottrina aziendalistica sono rinvenibili nella perdita irreversibile della continuità aziendale, nello quilibrio strutturale della gestione reddituale e finanziaria, nell’erosione del capitale economico e del patrimonio netto e, infine, dell’incapacità di generare flussi di cassa prospettici sufficienti a coprire gli impegni assunti
In dottrina si è affermato che “Il dissesto si configura quando l’impresa, a causa della perdita sistematica della capacità di produrre valore economico, non riesce più a sostenere i propri obblighi, determinando una crisi irreversibile del sistema impresa.” (cfr. Giunta F., La diagnosi precoce della crisi d’impresa, Giappichelli, 2021)
Analogamente, altri autorevoli autori sottolineano come il dissesto rappresenti “…la manifestazione estrema di una crisi latente, che trova origine in un modello gestionale non più capace di assicurare equilibrio economico-finanziario e sostenibilità nel medio-lungo periodo.” (cfr. Campra M., Dezzani P., Crisi d’impresa e modelli di diagnosi aziendale, Egea, 2020).
A differenza della crisi d’impresa, che può essere ancora gestibile con strumenti di ristrutturazione e interventi di turnaround, il dissesto si caratterizza per l’irreversibilità della perdita di equilibrio aziendale e per la struttura patrimoniale e finanziaria ormai compromessa, spesso con esposizione debitoria insostenibile.
Come evidenzia in dottrina da Gasparri “La crisi implica uno squilibrio temporaneo; il dissesto, al contrario, è espressione di una situazione compromessa nella struttura, nella gestione e nella governance.” (cfr. Gasparri A., Gestione della crisi e continuità aziendale, FrancoAngeli, 2022).
Il dissesto ha dei precisi indicatori puntualmente evidenziabili ottica aziendalistica. Secondo le elaborazioni di Luca Papi e Renato Di Manno, i principali segnali aziendalistici del dissesto includono il capitale netto negativo o prossimo allo zero, l’inversione strutturale dei margini (ROE, EBITDA negativi persistenti), il Cash flow operativo strutturalmente negative, l’esposizione verso il sistema bancario non più rifinanziabile, il mancato accesso al credito e gli interventi di sostegno da parte dei soci senza prospettiva di ritorno (cfr. Papi L., Di Manno R., Il dissesto d’impresa: analisi, diagnosi e prevenzione, IPSOA, 2020).
Appare evidente, e condivisibile, che il dissesto è riconducibile a una situazione di non sostenibilità strutturale del modello di business, in cui l’impresa ha perso la capacità autonoma di rigenerarsi, trovandosi nella necessità di ricorrere a strumenti liquidatori.
La valutazione non è solo finanziaria o contabile, ma tiene conto dell’intero ciclo economico dell’impresa, delle cause profonde dello squilibrio, della struttura organizzativa e dei comportamenti manageriali.
Tale approccio è coerente con l’evoluzione del diritto dell’insolvenza europeo, che enfatizza la diagnosi precoce e l’analisi prospettica facilmente ricavabile dalla semplice lettura della Direttiva UE 2019/1023.
4. La Direttiva UE 2019/1023 e l’armonizzazione europea
Il contesto normativo europeo è stato recentemente oggetto di un importante intervento di armonizzazione con la Direttiva (UE) 2019/1023, relativa ai quadri di ristrutturazione preventiva, all’esdebitazione e all’interdizione e alle misure per aumentare l’efficienza delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione. La direttiva mira a favorire l’emersione precoce della crisi e a prevenire l’insolvenza conclamata, imponendo agli Stati membri l’adozione di sistemi di allerta e di strumenti di ristrutturazione preventiva. Sebbene la Direttiva non imponga una definizione uniforme di dissesto, essa spinge verso una visione dinamica e prospettica della crisi, coerente con l’impostazione aziendalistica che guarda alla sostenibilità del modello imprenditoriale nel tempo.
5. Tabella comparativa del concetto di dissesto in chiave aziendalistica
Paese |
Definizione aziendalistica del dissesto |
Indicatori aziendali prevalenti |
Autori e riferimenti |
Italia |
Perdita irreversibile della continuità aziendale, con incapacità strutturale di generare flussi |
Capitale netto < 0, flussi di cassa negativi, margini reddituali compromessi, tensione bancaria |
Gasparri (2022), FrancoAngeli; Campra-Dezzani (2020), Egea; Giunta (2021), Giappichelli |
Francia |
Interruzione del ciclo economico-produttivo causata da rigidità patrimoniali e indebitamento eccessivo |
Cash flow < 0, immobilizzazioni > 70% dell’attivo, ridotta capacità di rotazione del capitale |
Philippe Thomas (2021), Dalloz |
Germania |
Dissesto come fallimento del modello gestionale: perdita di solvibilità e credibilità sistemica |
ROCE e ROA negativi, aumento DSCR < 1, squilibri patrimoniali crescenti |
K.-H. Vollmuth (2020), Springer |
Spagna |
Fallimento strategico e gestionale che compromette la sostenibilità nel medio periodo |
Margine operativo lordo negativo, rating bancari in peggioramento, accesso a credito deteriorato |
José María Lizarraga (2020), Pirámide |
Paesi Bassi |
Arresto del ciclo operativo e incapacità strutturale nel capitale di funzionamento |
Indice di copertura interessi < 1, struttura a breve squilibrata, EBIT negativo su base triennale |
L. Stegwee (2021), Wolters Kluwer NL |
Polonia |
Persistente perdita economica che impedisce il rientro dagli oneri finanziari e deteriora la liquidità |
Passivo > attivo da 2 esercizi, CF operativo negativo, costi fissi > 90% ricavi |
Krzysztof Waliński (2020), C.H. Beck |
Belgio |
Insolvenza gestionale legata alla perdita di produttività sistemica e marginalità lorda |
Margine lordo in calo, perdita di quota mercato, dipendenza da rifinanziamento infragruppo |
V. Lefebvre (2022), Larcier |
Svezia |
Crisi strutturale della governance e delle leve gestionali |
ROI < 0, produttività in calo, peggioramento equity ratio |
Lars Jonsson (2019), Norstedts |
Dalla lettura dei dati indicati nella Tabella che precede si ricava che:
-
i Paesi latini (Italia, Spagna, Francia) tendono a considerare il dissesto in termini gestionali e operativi, privilegiando l’analisi del modello di business e della capacità prospettica di generazione del valore;
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i Paesi del Centro Europa (Germania, Olanda, Belgio) enfatizzano maggiormente gli indicatori patrimoniali e finanziari dinamici, come DSCR, EBIT, ratio di solvibilità;
-
nei Paesi nordici, emerge una lettura incentrata su aspetti di governance e controllo direzionale, con attenzione a produttività, struttura dei costi e capitale umano.
Ebbene, in quasi tutti gli ordinamenti è ormai acquisita l’idea che il dissesto aziendale preceda l’insolvenza giuridica, e possa essere intercettato con strumenti di diagnosi avanzata (dashboard, indicatori di early warning, modelli previsionali).
6. Considerazioni conclusive sull’analisi comparata
L’analisi comparativa dei sistemi economico-aziendali europei evidenzia una pluralità di approcci alla definizione e alla diagnosi del dissesto d’impresa, frutto delle diverse tradizioni culturali, giuridiche e contabili dei singoli Paesi. Tuttavia, emergono anche elementi di convergenza concettuale, dettati dalla crescente influenza del quadro normativo europeo e dalla diffusione di pratiche di diagnosi precoce basate su strumenti aziendalistici evoluti.
Le convergenze rilevate dall’analisi sono quindi:
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valutazione prospettica della continuità aziendale: la maggior parte dei sistemi riconosce che il dissesto non è solo una condizione finanziaria contingente, ma il risultato di un deterioramento strutturale della capacità dell’impresa di generare valore nel tempo;
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centralità degli indicatori gestionali: ratios patrimoniali (Equity Ratio, DSCR), reddituali (EBITDA, ROI) e finanziari (cash flow operativo) sono ormai universalmente utilizzati per intercettare segnali di deterioramento;
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approccio sistemico e interdisciplinare: si afferma una visione del dissesto che non si limita all’aspetto numerico-contabile, ma considera la governance, il modello di business, e la capacità evolutiva dell’impresa.
Mentre le divergenze strutturali possono così riassumersi:
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nei Paesi latini (Italia, Spagna, Francia), prevale una lettura gestionale e strategica della crisi, in cui il dissesto è legato alla perdita della continuità operativa e alla rottura degli equilibri economici di fondo;
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nei Paesi germanici e nordici (Germania, Olanda, Svezia), l’accento è posto su criteri oggettivi e quantitativi, con forte enfasi su struttura finanziaria e assetti patrimoniali;
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nei Paesi dell’Est Europa, come la Polonia, si registra una tendenza ad adottare indicatori patrimoniali rigidi, con soglie temporali e quantitative codificate normativamente.
È evidente che la strada da intraprendere è quella verso un modello comune europeo. La Direttiva (UE) 2019/1023 e le pratiche di armonizzazione concorsuale stanno favorendo l’adozione di una visione dinamica e preventiva della crisi, spingendo i sistemi nazionali ad adottare indicatori aziendalistici comuni.
Ciò consente una più agevole comparabilità delle situazioni di dissesto, migliora l’efficienza dei mercati e rafforza il ruolo della diagnosi precoce come strumento di tutela non solo del credito, ma anche della continuità d’impresa.