Responsabilità solidale tra sindaci e amministratori
Profili critici della riforma articolo 2407 del codice civile e questioni irrisolte sulla permanenza della responsabilità solidale dei sindaci
alla luce dei principi generali in tema di causalità e obbligazioni risarcitorie
Con l’approvazione, lo scorso 12 marzo 2025, il Senato ha approvato in via definitiva il disegno di legge 1155 recante modifiche all’articolo 24071 del codice civile. In particolare, tra le diverse variazioni è stato eliminato il riferimento espresso alla responsabilità solidale tra componenti del collegio sindacale e organo di governo societario. Questo cambiamento ha animato il dibattito in dottrina.
Tra i tanti temi meritevoli di attenzione, ne emerge uno particolarmente rilevante sul piano dei principi generali: l’eventuale scomparsa della solidarietà comporterebbe davvero un passaggio da responsabilità solidale a parziaria per il collegio sindacale?
La risposta è negativa. Nonostante la legge non menzioni più la solidarietà, la struttura del sistema giuridico – e in particolare i principi previsti dagli articoli 1292 e 2055 del codice civile – porta a ritenere che la responsabilità dei sindaci resti comunque solidale, almeno nei casi in cui il loro comportamento omissivo abbia contribuito al danno insieme a quello degli amministratori. In dissenso rispetto a quanto prospettato nella relazione illustrativa al testo normativo, ritengo che – pur rimanendo fermi i tetti di responsabilità delineati nel nuovo art. 2407 c.c. – la soppressione testuale del richiamo alla solidarietà non comporti, né sul piano letterale né su quello sistematico, una trasformazione della responsabilità dei sindaci da solidale a parziaria.
Questa interpretazione appare imposta, e difficilmente derogabile, dall’analisi dei principi generali in materia, ed in particolare da quanto disposto agli artt. 1292 e 2055 c.c..
La dottrina civilistica ha diffusamente dibattuto in ordine ai presupposti che legittimano la qualificazione in termini di solidarietà delle obbligazioni, tanto nell’ambito contrattuale (direttamente regolato dagli artt. 1292 ss. c.c.) quanto nel campo della responsabilità extracontrattuale, cui l’art. 2055 c.c. si rivolge in via specifica2.
In tal senso, anche la giurisprudenza di legittimità ha assunto un orientamento tendenzialmente univoco, ritenendo applicabile l’art. 2055 c.c. anche in ipotesi di concorso di responsabilità contrattuale ed aquiliana, ed interpretando il requisito dell’“unicità del danno” in termini di unicità del fatto lesivo, prescindendo dalla natura della norma violata3.
Ne discende che, in tale impostazione, la fonte dell’obbligazione – contrattuale o extracontrattuale – assume rilievo meramente accessorio, essendo dirimente ai fini della solidarietà unicamente la sussistenza del nesso eziologico tra la condotta del soggetto e il fatto dannoso.
Occorre, peraltro, menzionare un significativo contrasto insorto nella giurisprudenza di legittimità con riguardo alle ipotesi di responsabilità omissiva: secondo una parte delle decisioni, non sarebbe configurabile solidarietà tra il soggetto cui è imputabile la mala gestio e colui che abbia omesso di vigilare, trattandosi di prestazioni differenti e, dunque, non “medesime” ai sensi dell’art. 1292 c.c., con conseguente difetto del nesso causale unitario ex art. 2055 c.c.4. Tale impostazione è stata però superata dalle Sezioni Unite, che hanno riaffermato il principio secondo cui l’art. 2055, primo comma, c.c., è norma sulla causalità materiale (da intendersi alla luce dell’art. 41 c.p.), la quale prescinde dalla qualificazione della fonte dell’obbligazione risarcitoria, privilegiando il favor creditoris e valorizzando la sola unicità del fatto dannoso5.
La condizione necessaria per la configurabilità della solidarietà resta, pertanto, l’esistenza di un nesso causale tra le condotte omissive e/o commissive dei debitori e l’evento dannoso, anche laddove le stesse risultino autonome, eterogenee, riconducibili a titoli diversi di responsabilità e non si presentino tra loro coordinate in senso strutturale6.
La giurisprudenza consolidata ha così fissato un principio di diritto di particolare rilievo: “ai fini della responsabilità solidale di cui all’art. 2055, primo comma, c.c., norma integrata dal disposto dell’art. 41 c.p., è sufficiente che il danno sia imputabile a più soggetti, anche qualora le rispettive condotte siano autonome e i titoli di responsabilità divergenti, purché concorrano causalmente alla produzione del medesimo evento lesivo, restando irrilevante l’eventuale diseguale incidenza eziologica”7.
Nel solco di tale orientamento, la dottrina più recente ha cercato di ricostruire una teoria generale della responsabilità solidale, individuandone il fondamento nell’esistenza di un nesso di coordinamento – anche solo funzionale – tra le condotte dei soggetti debitori, volto alla tutela dell’interesse del creditore.
Anche in assenza di una previsione espressa, la solidarietà potrebbe evincersi, pertanto, da un’unità teleologica dell’azione e dalla contribuzione causale al danno, quantomeno in termini di colpa consapevole, specie nei casi in cui la segmentazione del pregiudizio non sia concretamente possibile, sulla falsariga del sistema anglosassone di responsabilità.
Alla luce di tali coordinate teoriche, non appare irragionevole sostenere che le condotte dei sindaci e degli amministratori, ancorché distinte, siano inserite in un contesto unitario di doveri funzionali alla medesima finalità: la corretta gestione dell’impresa e la tutela dell’interesse della società e dei suoi stakeholders. In altri termini, già in precedenti contributi ho avuto modo di prospettare una lettura in chiave unitaria della condotta omissiva e commissiva di sindaci e amministratori, proponendo la qualificazione in termini di “condotta impeditiva unitaria e complessa”, in cui l’apporto dell’organo di controllo costituisce frazione necessaria di una più ampia sequenza causale collettiva8.
Qualora, dunque, si condivida tale impianto ricostruttivo e si consideri: (i) la comune fonte di nomina degli organi gestori e di controllo; (ii) la convergenza funzionale dei rispettivi doveri verso l’interesse della società; nonché (iii) la strumentalità dei poteri di reazione e intervento dei sindaci rispetto alle condotte degli amministratori, risulta arduo negare, se non l’unicità della prestazione in senso tecnico, quantomeno l’unicità del fatto dannoso in senso causale.
Pertanto, anche in difetto di una espressa previsione della solidarietà nella nuova formulazione dell’art. 2407 c.c., la combinazione sistematica degli artt. 1292, 2055 c.c. e dell’art. 41 c.p. appare sufficiente a fondare la persistenza della responsabilità solidale tra sindaci e amministratori.
Certo, la formulazione previgente eliminava ogni dubbio al riguardo, ma i principi generali dell’ordinamento civile – oggi riespandibili in assenza di una norma speciale derogatoria – ben potrebbero sorreggere tale ricostruzione, seppure entro i confini dei limiti quantitativi di responsabilità. Anzi, si potrebbe persino affermare che, in via paradossale, la soppressione del passaggio testuale in cui si circoscriveva il danno risarcibile a quello evitabile mediante l’adempimento diligente dei doveri di vigilanza, rischia di aggravare il regime di responsabilità, ampliando l’area del danno imputabile in assenza di parametri normativi specifici idonei a delimitarne l’ambito.
Tale ricostruzione risulta viepiù confermata in relazione agli obblighi afferenti alla prevenzione e alle correlate funzioni segnaletiche, di attivazione tempestiva e di verifica dell’adeguatezza degli assetti organizzativi, imposti – direttamente o indirettamente – non solo agli amministratori, ma anche agli organi di controllo, ai sensi degli artt. 2086, 2381, 2403 c.c. nonché degli artt. 3, 25-octies e, per certi versi, 37 CCII (quest’ultimo, in particolare, in relazione al nuovo dovere di depositare istanza in proprio di liquidazione giudiziale anche se la relativa omissione potrebbe essere riconducibile anche ad ipotesi di responsabilità esclusiva dell’organo di controllo).
Infine, milita in favore della permanenza del vincolo solidale anche la struttura presuntiva della solidarietà delineata dal nostro ordinamento (diversamente da quanto accade, ad esempio, nel diritto di altri stati europei), in forza degli artt. 1292-1294 e 2055 c.c., nonché la necessità di assicurare coerenza sistematica tra i diversi modelli di governance societaria e con il regime applicabile al revisore, ai sensi dell’art. 15 del d.lgs. n. 39/2010.
Alla luce delle considerazioni che precedono, non pare che l’intervento normativo sull’art. 2407 c.c. sia idoneo, in sé, a elidere il principio della responsabilità solidale e concorrente tra organo amministrativo e organo di controllo, né a disinnescare l’impianto sistemico di doveri, poteri e responsabilità che ne costituisce il presupposto strutturale e funzionale. Invero quando il revisore non rivesta anche la carica di sindaco si verifica un evidente distonia rispetto alla Raccomandazione della Commissione UE del 5 giugno 2008 che, imprevedibilità degli eventi, spronava gli Stati membri a limitare la responsabilità dei revisori.
Non pare dunque ragione di dubitare che la riforma dell’art. 2407 c.c., pur eliminando il riferimento espresso alla solidarietà, non sembra sufficiente a cancellare la responsabilità concorrente e solidale dei sindaci rispetto agli amministratori, né a smontare il sistema di doveri e poteri su cui questa responsabilità si fonda.
Anche a voler prescindere dai principi generali in tema di obbligazioni solidali e dalle regole sulla causalità materiale, vi è un ulteriore argomento – di natura sistematica e funzionale – che milita nel senso della persistente solidarietà tra organo amministrativo e organo di controllo, nonostante la riformulazione dell’art. 2407 c.c.
In primo luogo, l’eliminazione del riferimento testuale alla solidarietà tra sindaci e amministratori non equivale, sul piano tecnico, a una clausola espressamente escludente tale regime. La solidarietà, infatti, non è un’eccezione nell’ordinamento italiano, bensì un modello presuntivo ogniqualvolta più soggetti siano obbligati al risarcimento del medesimo danno. L’ordinamento prevede la parziarietà come eccezione, e non come regola generale.
Ma vi è di più. La funzione degli organi societari non può essere letta in chiave atomistica: la struttura della società per azioni (e, più in generale, delle società di capitali) si fonda su una ripartizione cooperativa di funzioni, non su un sistema di compartimenti stagni. I sindaci non sono soggetti esterni, bensì organi interni della società con compiti di vigilanza funzionalmente complementari rispetto all’azione gestoria. L’unità teleologica tra i due ruoli – gestori e controllori – è tale da rendere la loro funzione organica necessariamente interdipendente.
In questo quadro, la responsabilità non può che riflettere la struttura organica e sistemica dell’attività societaria: se la violazione degli obblighi di vigilanza dei sindaci si inserisce in un’omissione complessiva che ha permesso (o non impedito) il danno causato dagli amministratori, la responsabilità che ne deriva non può che essere comune. E comune – in quanto rivolta alla medesima finalità protettiva – sarà anche l’obbligazione risarcitoria. Non solidarietà derivata dalla norma, dunque, ma solidarietà riflessa dalla funzione.
In questo senso, è utile evocare la categoria delle obbligazioni funzionalmente convergenti: non necessariamente assunte in modo unitario, ma rese solidali sul piano teleologico dalla convergenza verso un unico scopo, e cioè la corretta gestione e la tutela dell’integrità patrimoniale e organizzativa dell’ente societario.
La modifica dell’art. 2407 c.c., eliminando il riferimento esplicito alla solidarietà, non intacca tale presupposto funzionale. In assenza di una disposizione che escluda espressamente la solidarietà, il giudice sarà comunque chiamato a valutare in concreto la dinamica causale e la struttura dei doveri violati. In presenza di condotte convergenti, sia pure per omissione, rispetto al medesimo pregiudizio, la responsabilità dei sindaci non potrà che restare solidale.
Si tratta, in altri termini, di una solidarietà di sistema, non di una solidarietà testuale.
Ed è proprio la mancata introduzione di una previsione contraria – idonea a derogare in modo chiaro ai principi generali – a rafforzare l’idea che la volontà del legislatore non sia stata quella di spezzare il vincolo, bensì di incidere solo sul profilo quantitativo (tetto massimo di responsabilità), lasciando intatta struttura, presupposti e logica della responsabilità solidale.
La tesi contraria, quella secondo cui la responsabilità solidale è stata superata dalla riforma, non trova ragioni e fondamenti.
Proviamo a capire perché.
Con l’eliminazione del riferimento espresso alla responsabilità solidale nel testo dell’art. 2407 c.c., il legislatore avrebbe inteso rompere il legame oggettivo tra sindaci e amministratori e introdurre un nuovo paradigma normativo ispirato alla responsabilità individuale e proporzionata, espressamente ancorata al compenso percepito dal singolo sindaco.
Secondo tale ricostruzione il nuovo sistema di tetti risarcitori fissi (multipli del compenso), modulati per fasce, rifletterebbe una volontà normativa di personalizzazione della responsabilità: il sindaco risponderebbe solo nei limiti di quanto proporzionalmente a lui imputabile, anche sul piano causale e soggettivo.
L’eliminazione della clausola solidaristica, combinata con l’autonomizzazione dei criteri di imputazione soggettiva, segnerebbe il passaggio da un modello di responsabilità “oggettivizzata” a uno di responsabilità individuale, limitata e non più concorrente.
Inoltre, si valorizza l’argomento dell’interpretazione autentica: la relazione illustrativa al disegno di legge afferma testualmente che il nuovo modello “supera la solidarietà con gli amministratori”, e la giurisprudenza futura dovrebbe tenerne conto quale indice della volontà abrogativa del legislatore.
Questa tesi non è condivisibile per una serie di motivi logico giuridici.
1. La riforma incide sul “quantum”, non sull’“an” della responsabilità
Il sistema dei tetti risarcitori ha funzione limitativa dell’entità del risarcimento, ma non modifica i criteri di imputazione soggettiva della responsabilità. Il moltiplicatore del compenso introduce un limite quantitativo ex lege, ma non elimina né trasforma il titolo dell’obbligazione. Nulla nella norma induce a ritenere che il sindaco risponda solo per la quota “causata” da lui in via autonoma e separata.
2. L’assenza di un’espressa previsione parziaria esclude l’effetto abrogativo
La solidarietà tra più obbligati al risarcimento, come sopra già chiarito, non richiede una clausola espressa, ma discende dai principi generali (artt. 1292 ss. e 2055 c.c.), laddove più condotte – anche omissive – concorrono causalmente a un unico danno. Per introdurre un regime parziario sarebbe stata necessaria una clausola esplicita. Il silenzio normativo non è equiparabile a una deroga implicita.
3. La relazione illustrativa non ha valore normativo
Il legislatore può motivare, ma non vincola l’interprete. Le relazioni ai disegni di legge non sono fonti del diritto, e tantomeno costituiscono interpretazione autentica. L’efficacia abrogativa di una modifica legislativa deve trovare sede nel dato normativo, non nella volontà dichiarata nei lavori parlamentari. In assenza di una norma chiara che imponga la parziarietà, prevalgono i principi generali.
4. Il compenso come criterio di limite non esclude la responsabilità concorrente
Anche nell’ambito della solidarietà è pienamente compatibile che il limite risarcitorio sia individualizzato. I tetti in funzione del compenso agiscono ex post, in fase di liquidazione, ma non modificano il titolo soggettivo della responsabilità, che può ben essere solidale. Il fatto che il creditore possa agire per l’intero non esclude che ciascun obbligato risponda nei limiti del proprio tetto.
5. Sistema societario e logica cooperativa degli organi
La funzione del collegio sindacale è strutturalmente connessa a quella dell’organo amministrativo: vigilare, segnalare, attivarsi. Se la loro omissione concorre alla produzione del danno, la responsabilità non può che essere comune e solidale, salvo che la norma lo escluda espressamente (cosa che non è avvenuta). L’unicità teleologica e funzionale delle condotte impone la lettura sistemica, non atomistica.
Pertanto, la tesi secondo cui la riforma avrebbe abrogato la solidarietà non trova fondamento normativo né sistematico. Essa poggia su un’interpretazione eccessivamente letterale e priva di riscontri strutturali nel sistema codicistico delle obbligazioni.
In assenza di un’espressa deroga, e alla luce della natura convergente e causalmente interrelata delle condotte di sindaci e amministratori, la responsabilità solidale non solo sopravvive, ma continua a trovare giustificazione sistemica, funzionale e teleologica.
A valle del quadro normativo (riformato) e interpretativo (consolidato), e alla luce della probabile persistenza della responsabilità solidale, i sindaci devono ridefinire il proprio approccio operativo in chiave prudenziale, proattiva e documentabile.
Alla luce della nuova formulazione dell’art. 2407 c.c. – che introduce tetti risarcitori ma tace sulla natura della responsabilità – e della permanenza del rischio di imputazione solidale in caso di concorso causale con le condotte dell’organo gestorio, i sindaci dovrebbero operare secondo un modello ancora più rafforzato di vigilanza che può essere così sintetizzato:
1. Proattività nella vigilanza
Il sindaco non può limitarsi a un controllo formale o documentale. È necessario che verifichi la sussistenza di assetti organizzativi adeguati (art. 2086 c.c.), i presidi sistematicamente gli indici di squilibrio patrimoniale, finanziario o reddituale, intervenga tempestivamente in caso di inerzia o deviazione dell’organo gestorio, anche tramite segnalazioni formalizzate.
L’inerzia o il ritardo possono integrare sempre una condotta omissiva causalmente rilevante ai fini del danno.
2. Attivazione tempestiva degli strumenti reattivi
La vigilanza non è sufficiente se non accompagnata da:
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richieste formali di informazioni;
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annotazioni puntuali a verbale;
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convocazioni del consiglio di amministrazione;
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ove necessario, denuncia al tribunale ex art. 2409 c.c..
L’omessa attivazione degli strumenti di reazione può configurare una corresponsabilità omissiva.
3. Documentazione analitica e tracciabilità dell’attività svolta
La protezione del sindaco passa anche per la prova di aver agito diligentemente.
Occorre:
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verbalizzare in modo dettagliato le riunioni e i controlli effettuati;
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conservare traccia scritta delle richieste, delle risposte e delle decisioni;
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evitare verbalizzazioni ambigue o generiche.
In assenza di adeguata traccia documentale, la difesa in giudizio sarà estremamente debole.
4. Coordinamento interno al collegio e controllo reciproco
In caso di collegio sindacale, ciascun componente ha responsabilità individuale ma non è isolato: occorre attivare un confronto effettivo all’interno del collegio, segnalare eventuali inattività o negligenze degli altri componenti, evitare la logica del “silenzio-assenso” o della mera firma formale.
L’inerzia collegiale non scusa il singolo.
5. Dialogo attento con il revisore e gli altri organi di controllo
Se la revisione è affidata a soggetto esterno, il collegio deve:
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acquisire e valutare criticamente le risultanze del revisore;
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richiedere chiarimenti nei casi dubbi;
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non dare per scontata la correttezza della contabilità societaria;
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dialogare, sulla scorta di un programma, con l’Organismo di Vigilanza ex D. Lgs. nr. 231/01; a questo riguardo quando il sindaco unico o il collegio sindacale vengono nominati in una società priva di MOG ex D. lgs nr. 231/01 e ODV, devo interpretare tale mancanza come indizio di carenza di assetti organizzativi e quindi elevare ancor più il grado di penetrazione dei controlli (non v’è dubbio che la mancanza di adozione del MOG e la mancata nomina di un ODV costituisca elemento per ritenere non adeguati, anche ai sensi dell’art. 2086 c.c., gli assetti organizzativi aziendali).
La responsabilità del revisore non esclude quella del sindaco, e il principio del favor creditoris può attrarre entrambi in un vincolo solidale.
6. Presidio delle funzioni di allerta e prevenzione della crisi
In ottica CCII (Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza), i sindaci devono:
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sorvegliare l’attuazione degli strumenti di segnalazione precoce;
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accertarsi che siano adottati assetti adeguati;
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vigilare – come sopra anticipato – sul rispetto degli obblighi ex art. 3 e 25-octies CCII.
L’omissione in tale ambito può avere riflessi anche in sede concorsuale.
Il nuovo art. 2407 c.c. non attenua la responsabilità dei sindaci, ma ne circoscrive il danno risarcibile.
Tuttavia, la possibilità che un giudice accerti una corresponsabilità solidale impone un cambio di passo: il sindaco non può essere passivo osservatore, ma deve essere custode consapevole e attivo dell’equilibrio aziendale, adottando un comportamento attento, documentato e reattivo.
Anche perché esiste un altro rischio tutt’altro che remoto. L’introduzione, ad opera della riforma dell’art. 2407 c.c., di un sistema di responsabilità limitata mediante l’adozione di tetti risarcitori parametrati al compenso annuo percepito dal sindaco, pur nella sua apparente funzione deflattiva e rassicurante, non è priva di conseguenze sistemiche potenzialmente critiche, in particolare per il mercato delle professionalità di alto profilo.
Il nuovo meccanismo di contenimento del danno prevede, infatti, che – salve le ipotesi di dolo – il risarcimento sia dovuto “nei limiti di un multiplo del compenso annuo percepito”, secondo scaglioni predeterminati. Questo implica che il parametro economico della remunerazione dell’incarico diventa il fulcro attorno al quale si costruisce la misura massima del rischio patrimoniale che il professionista è chiamato ad assumere.
1. Incentivo alla compressione dei compensi: la razionalità economica della società
Dal punto di vista dell’impresa (o dei soci che determinano il compenso), si crea un incentivo potenzialmente distorsivo: ridurre il compenso al minimo consentito, al fine di limitare il tetto massimo del danno risarcibile. La riduzione della remunerazione diventa, di fatto, una forma surrettizia di contenimento dell’esposizione potenziale della società rispetto a eventuali azioni di responsabilità.
Tale effetto è ancora più insidioso nelle realtà di media o piccola dimensione, dove i sindaci sono spesso scelti in funzione di logiche di convenienza economica. La nuova norma potrebbe favorire un race to the bottom retributivo, con evidente impatto sulla qualità del controllo.
2. Selezione avversa nel mercato delle professionalità qualificate
In un simile contesto, i professionisti dotati di elevate competenze, con esperienza e reputazione consolidata, saranno disincentivati dall’accettare incarichi in cui il compenso risulti troppo basso rispetto alla responsabilità tecnica e deontologica richiesta.
La logica è semplice: a fronte di obblighi complessi, crescenti responsabilità (comprese quelle in materia di allerta e assetti), e un rischio comunque residuale di responsabilità solidale, un compenso contenuto non risulta congruo. Non solo sul piano economico, ma anche su quello reputazionale e assicurativo (dato che spesso il premio di copertura professionale è agganciato al livello di rischio e al valore dell’incarico).
Questo meccanismo genera una vera e propria selezione avversa: i soggetti più qualificati, che dovrebbero essere attratti da incarichi ad alto impatto societario, si ritireranno dal mercato degli incarichi sotto-remunerati, lasciando spazio a figure meno esperte o meno sensibili al rischio reputazionale, con danno sistemico per la funzione di controllo.
3. Contraddizione con la ratio della vigilanza rafforzata
Paradossalmente, ciò si pone in stridente contrasto con gli obiettivi di rafforzamento della governance societaria e della funzione di allerta introdotti dal Codice della Crisi. Mentre il legislatore da un lato amplia le responsabilità dei sindaci (obblighi di vigilanza proattiva, doveri segnaletici, verifica della sostenibilità aziendale), dall’altro ne depotenzia indirettamente l’efficacia attraverso un meccanismo retributivo potenzialmente disincentivante.
La remunerazione, nel diritto societario, non è un elemento meramente accessorio, ma strutturale: essa deve riflettere non solo la quantità, ma anche la qualità dell’attività richiesta e il rischio associato. Ancorare il limite del danno risarcibile al compenso, senza alcun riferimento a soglie minime congrue o proporzionalità sistemica, rischia di innescare una spirale regressiva sul piano della qualità del controllo.
4. Il rischio di effetto boomerang
In definitiva, pur volendo perseguire l’intento (comprensibile) di evitare “sanzioni eccessive” e favorire l’assunzione degli incarichi, il nuovo meccanismo rischia di produrre l’effetto opposto: scoraggiare proprio quei soggetti che avrebbero le competenze per esercitare in modo efficace e indipendente la funzione di vigilanza, a beneficio dell’interesse sociale e della stabilità dell’impresa.
Un sistema che scoraggia i controllori migliori non è sostenibile, né sul piano economico, né su quello dell’effettività delle regole societarie. La limitazione della responsabilità deve accompagnarsi a criteri minimi di adeguatezza del compenso, altrimenti si trasforma in un incentivo al declassamento della funzione.
1 «Art. 2407. – (Responsabilità) – I sindaci devono adempiere i loro doveri con la professionalità e la diligenza richieste dalla natura dell’incarico; sono responsabili della verità delle loro attestazioni e devono conservare il segreto sui fatti e sui documenti di cui hanno conoscenza per ragione del loro ufficio.
Al di fuori delle ipotesi in cui hanno agito con dolo, anche nei casi in cui la revisione legale è esercitata da collegio sindacale a norma dell’articolo 2409-bis, secondo comma, i sindaci che violano i propri doveri sono responsabili per i danni cagionati alla società che ha conferito l’incarico, ai suoi soci, ai creditori e ai terzi nei limiti di un multiplo del compenso annuo percepito, secondo i seguenti scaglioni: per i compensi fino a 10.000 euro, quindici volte il compenso; per i compensi da 10.000 a 50.000 euro, dodici volte il compenso; per i compensi maggiori di 50.000 euro, dieci volte il compenso. All’azione di responsabilità contro i sindaci si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni degli articoli 2393, 2393-bis, 2394, 2394-bis e 2395.
L’azione di responsabilità verso i sindaci si prescrive nel termine di cinque anni dal deposito della relazione di cui all’articolo 2429 relativa all’esercizio in cui si è verificato il danno».
2 A. D’Adda, Riflessioni sulle obbligazioni plurisoggettive: un «ritorno» alle ragioni del vincolo di solidarietà, in Riv. civ., 2024, 813, Id., La solidarietà risarcitoria nel diritto privato europeo e l’art. 2055 c.c. italiano: riflessioni critiche, in Riv. dir. civ., 2016, 288 e di C. Salvi, La responsabilità civile, Milano, 2019, passim.
3 Cfr., in particolare, Cass., SS.UU., 15 luglio 2009, n. 16503, Cass., 22 luglio 2005, n. 15431, entrambe in Onelegale, per cui «[l]a responsabilità solidale, contrattuale o extracontrattuale (artt. 1292 e 2055, primo comma, c.c.), sussiste anche se l’evento dannoso è causalmente derivato dalle condotte, pur autonome e distinte, coeve o successive, di più soggetti, ciascuno dei quali abbia concorso a determinarlo con efficacia di concausa, restando irrilevante, nel rapporto tra danneggiato e danneggiante, la diseguale efficienza causale delle singole condotte, poiché il danneggiato può pretendere l’intera prestazione anche da uno solo degli obbligati»; stesso dicasi per le note pronunce sulle società di intermediazione finanziaria, soggette a controllo della Consob con riguardo ai danni patiti dagli investitori, come Cass., 29 maggio 2018, n. 13365, Cass. 11 marzo 2020, n. 7016, entrambe in Onelegale.
4 Cass., 21 febbraio 2020, n. 4683, in De Jure.
5 Cass. SS.UU., 27 aprile 2022, n. 13143, in NGCC, 2022, 1065 ss.
6 Cass. SS.UU., 27 aprile 2022, n. 13143, in NGCC, 2022, cit.
7 Cass. SS.UU., 27 aprile 2022, n. 13143, cit. Le Sezioni Unite non si sono espresse sul vincolo solidale in ipotesi di concorso di più responsabilità di natura contrattuale derivanti da fonti distinte, ma la giurisprudenza sul punto è orientata in senso favorevole (si veda Cass., 9 settembre 2021, n. 24405; Cass., 12 dicembre 2013, n. 27875; Cass., 30 marzo 2010, n. 7618; Cass., 15 giugno 1999, n. 5946).
8 F. Sudiero, Il nesso di causalità nella responsabilità concorrente dell’organo di controllo: note per un nuovo tentativo ricostruttivo, in Giur. comm., 2023, I, 246 ss.