La CNC ha salvato oltre tredicimila posti di lavoro

La CNC ha salvato oltre tredicimila posti di lavoro

Cresce ancora il successo della Composizione Negoziata della Crisi quale strumento per il risanamento precoce delle imprese

La Composizione Negoziata della Crisi si sta consolidando come lo strumento principale per affrontare e gestire le situazioni di difficoltà aziendale in modo tempestivo ed efficace. L’analisi di Unioncamere dei dati aggiornati al 1° marzo 2025, in commento, evidenzia un costante incremento delle istanze presentate, un miglioramento del tasso di successo e un impatto significativo sul mantenimento dei posti di lavoro.

Questo documento fornisce un’analisi dettagliata dell’andamento della Composizione Negoziata della Crisi, evidenziando gli scostamenti positivi e la progressiva diffusione di questo strumento.

1. Crescita delle Istanze Presentate

Al 1° marzo 2025, il numero totale di istanze di Composizione Negoziata ha raggiunto 2.469 unità. Questo rappresenta un aumento significativo rispetto ai periodi precedenti, testimoniando la crescente fiducia delle imprese verso questa soluzione.

1.1 Distribuzione Geografica

Le regioni con il maggior numero di istanze presentate sono:

  • Lombardia: 578 istanze

  • Lazio: 261 istanze

  • Emilia-Romagna: 256 istanze

  • Veneto: 221 istanze

Queste quattro regioni da sole rappresentano oltre il 53% del totale delle istanze, a dimostrazione del loro ruolo economico centrale nel panorama produttivo italiano.

All’ultimo posto la Valle d’Aosta: 4 istanze

1.2 Aumento Progressivo delle Istanze

L’analisi trimestrale mostra una crescita costante del numero di istanze presentate, con un raddoppio nel quarto trimestre 2024 rispetto ai trimestri precedenti:

  • Media trimestrale 2023: circa 200 istanze

  • Quarto trimestre 2024: 406 istanze presentate

Questa evoluzione indica un crescente utilizzo dello strumento e una maggiore consapevolezza da parte delle imprese sulla sua efficacia.

1.3 Fattori alla Base della Crescita della Composizione Negoziata

L’aumento significativo dell’utilizzo della Composizione Negoziata può essere attribuito a diversi fattori:

  • maggiore consapevolezza da parte delle imprese: Sempre più imprenditori riconoscono il valore dello strumento per affrontare tempestivamente situazioni di crisi, evitando l’aggravarsi delle difficoltà finanziarie. E ciò anche grazie all’adozione degli assetti organizzativi di cui all’art. 2086 c.c.;

  • incremento del supporto degli esperti: Il numero di professionisti qualificati e specializzati nel risanamento aziendale è in aumento, favorendo una gestione più efficace dello strumento. Si sta via via assistendo ad un cambio di mentalità degli Esperti, avvenuto anche grazie alla rotazione degli incarichi, che sono passati da essere censori e punitivi per l’azienda (tipicamente condizionati dalla mentalità e dall’agire dei curatori fallimentari o dei commissari giudiziali che, molto spesso con il pregiudizio, si presentano alle aziende in CNC intonando il de profundis) a veri e propri aziendalisti e agevolatori delle trattative con gli stakeholders;

  • effetti positivi osservati nei primi casi risolti: il successo di alcune imprese ha generato un effetto emulativo per altre imprese, spingendole a considerare questa soluzione come un’opportunità e non come una punizione senza ritorno;

  • normative più chiare e incentivi all’uso dello strumento: l’aggiornamento normativo, e il proliferare di giurisprudenza sempre più orientata alla salvaguardia e sopravvivenza dell’impresa e non al suo funerale, ha fornito maggiori garanzie e strumenti operativi per agevolare la negoziazione con i creditori;

  • migliore accesso alle risorse finanziarie: un numero crescente di aziende ha utilizzato la Composizione Negoziata per ristrutturare il proprio debito e ottenere nuovi finanziamenti dagli operatori finanziari.

2. Incremento del tasso di successo

Uno degli indicatori più importanti per valutare l’efficacia della Composizione Negoziata è il tasso di successo, ossia il rapporto tra le istanze chiuse con esito favorevole e il totale delle istanze archiviate.

Nel corso del tempo, questo indicatore ha registrato un miglioramento costante, arrivando al 19,5% nel 2024. In particolare:

  • 2022: tasso di successo iniziale intorno al 5%

  • 2023: aumento progressivo fino al 13-15%

  • 2024: stabilizzazione al 19,5%

2.1 Tipologie di esiti favorevoli

Tra le 266 istanze chiuse con esito positivo, si segnalano le seguenti soluzioni adottate:

  • accordi con i creditori (art. 23, comma 1, lett. c): 112 istanze (42%)

  • contratti con uno o più creditori (art. 23, comma 1, lett. a): 71 istanze (27%)

  • accordi di ristrutturazione dei debiti (art. 23, comma 2, lett. b): 36 istanze (14%)

  • altre procedure di regolazione della crisi: 31 istanze (12%)

L’adozione di questi strumenti ha permesso di mantenere attive numerose imprese, evitando fallimenti e liquidazioni.

3. Impatto occupazionale e benefici economici

Un altro aspetto rilevante della Composizione Negoziata è il suo impatto sulla salvaguardia dell’occupazione e sull’indotto economico.

Grazie agli esiti favorevoli registrati, oltre 13.500 posti di lavoro sono stati mantenuti, evitando licenziamenti e ripercussioni economiche sulle famiglie coinvolte.

Questo dato conferma che l’accesso tempestivo alla Composizione Negoziata consente di intervenire prima che la crisi aziendale si aggravi in modo irreversibile.

4. Evoluzione dell’utilizzo dello strumento

L’analisi dell’andamento delle istanze presentate ogni 15 giorni dimostra una progressiva crescita del ricorso alla Composizione Negoziata:

  • aprile 2022: media quindicinale di 14 istanze

  • fine 2024: media quindicinale salita a 31 istanze

  • novembre 2024: picco massimo con 122 istanze presentate in due settimane

Questi numeri indicano che lo strumento sta entrando sempre più nella prassi aziendale, consolidandosi come una valida alternativa alle procedure concorsuali tradizionali.

5. Criticità e motivi degli esiti negativi

Nonostante i progressi, rimangono alcune criticità legate alle istanze chiuse con esito sfavorevole. Su 1.103 istanze chiuse negativamente, i principali motivi di insuccesso sono:

  • esito negativo delle trattative: 572 istanze (52%)

  • mancate prospettive di risanamento: 392 istanze (35%)

  • rinuncia dell’imprenditore: 139 istanze (13%)

Questi dati indicano che, per migliorare ulteriormente i risultati, è necessario:

  • favorire l’accesso precoce alla Composizione Negoziata

  • migliorare la preparazione degli imprenditori nella gestione della crisi

  • potenziare l’intervento degli esperti e degli advisor (la gestione e la soluzione della crisi di un’impresa non è per tutti: serve una specifica preparazione, non basta un’abilitazione o un’iscrizione ad un albo/elenco).

6. Cosa c’è ancora da fare?

La crescita culturale e il cambio di atteggiamento da parte degli imprenditori, dei professionisti, delle banche, degli enti della riscossione e dei tribunali sono fondamentali per affrontare la crisi d’impresa in modo tempestivo ed efficace. Questo approccio consente di prevenire situazioni di dissesto irreversibile, salvaguardando la continuità aziendale e il tessuto economico-sociale. Ecco alcuni motivi chiave per cui è necessaria questa evoluzione culturale:

    1. Prevenzione e gestione anticipata della crisi

L’imprenditore deve sviluppare ancora di più una mentalità orientata alla prevenzione della crisi, anziché intervenire solo quando il problema è già esploso.

L’adozione di sistemi di allerta precoce e di strumenti di diagnosi aziendale aiuta a individuare segnali di difficoltà prima che diventino irrecuperabili.

6.2 Superamento della visione punitiva della crisi

In Italia, spesso la crisi d’impresa è vista con stigma sociale e giuridico, come una colpa da punire con “l’ergastolo sociale” (cfr. F. Di Marzio, Dal ceppo della vergogna alle soluzioni concordate della crisi d’impresa. Nota apologetica sul nuovo diritto fallimentare, Il Caso.it, n. 284/2012) non solo dell’imprenditore ma anche dell’azienda (che come è noto non si identificano necessariamente) anziché come un evento fisiologico della vita aziendale.

Un cambio di mentalità permetterebbe di considerare la crisi come un’opportunità di risanamento e rilancio, non come un fallimento definitivo.

6.3 Maggiore collaborazione tra attori economici

Gli istituti di credito e finanziari dovrebbero adottare un approccio più collaborativo, valutando le imprese in difficoltà non solo in base alla situazione contingente, ma anche alle possibilità di risanamento.

Gli enti di riscossione tributaria e previdenziale dovrebbero considerare soluzioni di rientro sostenibili, evitando di aggravare ulteriormente la crisi con sanzioni, oneri e interessi umanamente insostenibili anche dall’impresa più volenterosa e dedita alla sofferenza e al sacrificio, nonché con violente, quanto inutili, azioni esecutive.

I commercialisti, gli avvocati e i consulenti aziendali devono evolvere da meri “risolutori di crisi” a “consulenti strategici”, affiancando le imprese con piani di risanamento tempestivi e strutturati. La loro formazione deve includere non solo aspetti giuridico-contabili, ma anche capacità manageriali e di gestione della crisi.

Anche i tribunali e i giudici stanno cambiando mentalità rispetto alla crisi d’impresa per favorire un approccio più efficiente, tempestivo e orientato alla continuità aziendale, piuttosto che alla mera liquidazione, spesso atomistica, delle imprese.

Storicamente, per come la vecchia legge fallimentare era scritta e strutturata, l’approccio dei giudici si era spesso concentrato sulla liquidazione delle imprese in difficoltà, piuttosto che sulla loro ristrutturazione.

Da qualche tempo, grazie a strumenti come la CNC, è possibile salvare imprese ancora vitali per il tessuto economico, evitando la liquidazione giudiziale.

I giudici si sono sempre più formati – e sicuramente anche appassionati – per riconoscere quando un’impresa ha ancora margini di recupero e quindi agevolare soluzioni che ne garantiscano la continuità.

I tempi della giustizia erano spesso incompatibili con le esigenze di un’azienda in crisi, che necessita di risposte rapide per evitare il tracollo. Oggi i tribunali sono manifestamente più rapidi ed efficienti nei tempi delle loro decisioni (d’altro canto, era necessaria una gestione più snella e pragmatica delle procedure concorsuali, riducendo le lungaggini burocratiche e favorendo decisioni rapide ed efficaci).

La gestione delle crisi d’impresa, alla luce dell’entrata in vigore del CCII, richiede ai giudici competenze economico-finanziarie oltre a quelle giuridiche. La creazione di sezioni sempre più specializzate nel diritto della crisi d’impresa ha migliorato la qualità e la tempestività delle decisioni giudiziarie.

La formazione continua dei giudici su tematiche aziendali e finanziarie è stata essenziale per affrontare i casi, spesso assai complessi e intrisi di valutazioni di tipo economico/finanziario più che giuridico, con una visione più ampia e diversa da quella tradizionale.

Il giudice, pur nel rigido rispetto del suo ruolo, agevola le trattative tra creditori e debitori, incentivando soluzioni o piani di risanamento che permettano la prosecuzione dell’attività (in molti casi, un’impresa può essere salvata se i creditori, togliendosi il paraocchi della spasmodica tutela del proprio credito, accettano di ristrutturare il debito invece di insistere su azioni esecutive che ne accelerano il default).

Ancora oggi, nonostante il CCII e alcune norme del codice civile siano più orientate ad un’attenta e non superficiale e presuntiva analisi delle responsabilità della crisi, molti imprenditori temono la liquidazione giudiziale non solo per le conseguenze economiche, ma anche per le responsabilità personali che ne derivano. Ecco allora che serve un’interpretazione più equilibrata della responsabilità degli amministratori e degli organi di controllo distinguendo tra chi ha agito con dolo per godere di ingiusti profitti in danno al ceto creditorio (e quindi in malafede) e chi ha “semplicemente” cercato – con colpa – di salvare l’azienda ma con strumenti e condotte non manifestamente illecite; l’eccessivo timore di sanzioni può portare gli imprenditori a nascondere la crisi invece di affrontarla per tempo.

I tribunali non possono quindi agire da soli: devono collaborare con i loro ausiliari, con i consulenti della crisi, i professionisti, le banche e gli enti di riscossione per trovare soluzioni sostenibili: un’interazione più fluida con le parti coinvolte può evitare decisioni che, sebbene giuridicamente corrette, risultino economicamente dannose per l’impresa e per il sistema.

I tribunali e i giudici non sono meri arbitri della crisi ma, nei casi in cui è percorribile, devono diventare facilitatori di soluzioni sostenibili. Non devono temere, ricorrendone le condizioni (in primis l’azienda non deve “bruciare cassa” e incrementare il dissesto) di concedere tempo e possibilità alle imprese per proseguire verso la continuità, senza essere tentati a decretarne la fine.

Il cambio culturale è essenziale affinché la crisi d’impresa non sia più vista come un evento distruttivo, ma come un momento di trasformazione e di rilancio. Un approccio più maturo e collaborativo da parte di tutti gli attori economici è la chiave per un sistema imprenditoriale più resiliente e sostenibile.

7. La crisi aziendale come opportunità di rilancio

Una crisi aziendale, se rilevata e gestita tempestivamente, può rappresentare un’opportunità di crescita e trasformazione. Da un punto di vista scientifico, la resilienza organizzativa e la teoria dei sistemi suggeriscono che le crisi possono favorire il cambiamento positivo. Economicamente, la distruzione creatrice dell’impresa dimostra che le crisi possono stimolare innovazione e competitività. Infine, sul piano sociale, un’adeguata gestione della crisi può ridurre gli impatti negativi su lavoratori e comunità, favorendo un rafforzamento delle relazioni aziendali e della reputazione.

Il futuro delle imprese dipende dalla loro capacità di trasformare le difficoltà in opportunità, adattandosi con flessibilità e visione strategica alle mutevoli condizioni del mercato.

Dal punto di vista scientifico, secondo la teoria dei sistemi complessi (von Bertalanffy, 1968), le aziende sono organismi dinamici che interagiscono con l’ambiente esterno e interno. Una crisi rappresenta una perturbazione del sistema che, se gestita correttamente, può stimolare una riorganizzazione adattiva.

Nel campo della resilienza organizzativa, Sutcliffe e Vogus (2003) sottolineano come le aziende che sviluppano capacità di “sensemaking” (comprensione e risposta rapida agli eventi critici) e “mindfulness” (consapevolezza situazionale) abbiano maggiori probabilità di trasformare la crisi in un vantaggio competitivo. Inoltre, Hamel e Valikangas (2003) evidenziano che la resilienza non è solo la capacità di resistere agli shock, ma anche di innovare e adattarsi a nuove condizioni di mercato.

Da un punto di vista economico, Joseph Schumpeter (1942) introduce il concetto di “distruzione creatrice”, secondo cui le crisi economiche e aziendali eliminano imprese obsolete e ne favoriscono di nuove, più efficienti e innovative. Questo fenomeno è riscontrabile nel caso di aziende che hanno affrontato crisi trasformandole in opportunità di rinnovamento.

Un esempio emblematico è quello di IBM, che negli anni ’90 ha affrontato una profonda crisi finanziaria. Grazie a una strategia di diversificazione e innovazione, si è trasformata da un’azienda focalizzata sull’hardware a un leader nei servizi IT e nel cloud computing. Analogamente, Apple, dopo un periodo di declino negli anni ’90, ha saputo reinventarsi con il lancio dell’iMac, dell’iPod e dell’iPhone, diventando una delle aziende più di valore e redditizie al mondo.

Dal punto di vista sociale, la gestione tempestiva di una crisi aziendale può ridurre l’impatto negativo su lavoratori e comunità locali. Secondo Senge (1990), le organizzazioni che adottano un approccio di “learning organization” possono trasformare le crisi in momenti di apprendimento collettivo, rafforzando il capitale umano e la coesione interna.

Inoltre, le aziende che investono in pratiche di Corporate Social Responsibility (CSR) durante periodi di crisi dimostrano una maggiore capacità di mantenere la fiducia di stakeholder e clienti. Un esempio concreto è rappresentato da Unilever, che ha adottato strategie di sostenibilità per affrontare le sfide economiche e ambientali, rafforzando il proprio brand e il legame con la comunità.

8. Conclusioni: la CNC come strumento strategico per il futuro

Non v’è dubbio che in Italia lo strumento principale, più duttile e fortemente incentivato dal mondo delle professioni, delle imprese e delle banche è quello della Composizione Negoziata della Crisi.

Lo confermano i dati e l’analisi Unioncamere 1° marzo 2025 che mostrano la crescente diffusione della Composizione Negoziata e il suo ruolo strategico per il risanamento aziendale. L’adozione tempestiva di questo strumento può fare la differenza tra una crisi irreversibile e una ripresa solida e sostenibile.

Per questo motivo, è fondamentale promuovere la conoscenza e l’utilizzo di questo strumento, rendendolo una scelta prioritaria per gli imprenditori in difficoltà soprattutto se embrionale.

La crisi aziendale non deve essere un punto di arrivo, ma una fase da superare con gli strumenti giusti e proseguire più forti e seri di prima. La Composizione Negoziata da questo punto di vista costituisce una chiave strategica per salvaguardare imprese, lavoratori e il tessuto economico nazionale, a beneficio dell’intera collettività.

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