Amministratore Giudiziario doppio ruolo e responsabilità

Amministratore Giudiziario doppio ruolo e responsabilità

La duplice veste dell’amministratore giudiziario presidente del CdA, un’analisi della possibile responsabilità aggravata

  1. Il quadro normativo di riferimento

L’art. 35 comma 5 del D.Lgs. 159/2011 qualifica espressamente l’amministratore giudiziario come pubblico ufficiale, attribuendogli il compito di provvedere alla gestione, custodia e conservazione dei beni sequestrati sotto la direzione del giudice delegato. Questa qualifica comporta specifici obblighi di diligenza nell’adempimento dei compiti del proprio ufficio.

  1. La peculiare posizione dell’amministratore giudiziario-presidente del Consiglio di amministrazione

Come evidenziato dalla Cassazione civile nella sentenza n. 39231/2021, il provvedimento di nomina dell’amministratore giudiziario configura un rapporto gestorio necessario di fonte giudiziale, finalizzato alla tutela di interessi pubblici.

Tale amministrazione coattiva, pur comportando la gestione privatistica di attività e rapporti, si caratterizza come un rapporto di tipo giudiziario in cui l’amministratore opera quale ausiliario del giudice.

Il Tribunale di Palermo, nella sentenza n. 568/2011, ha precisato che “nel verificare la responsabilità dell’amministratore di una società designato nell’ambito di un procedimento di misure di prevenzione, stante la particolarità del rapporto che lega alla società l’amministratore cui è affidata la relativa gestione, la diligenza del medesimo va valutata diversamente rispetto a quella di ogni altro organo gestorio.”

Quindi, l’amministratore giudiziario che riveste anche la carica di presidente del CdA assume una duplice responsabilità: come pubblico ufficiale, ausiliario del giudice e garante della legalità nella gestione dei beni sequestrati (ex art. 35 D.Lgs. 159/2011), e come amministratore societario tenuto agli obblighi di corretta gestione (ex art. 2392 c.c.).

Questa sovrapposizione di ruoli comporta un innalzamento del livello di diligenza richiesto e una responsabilità aggravata, come confermato dalla sentenza del Tribunale di Palermo, sezione v^ civile specializzata in materia di impresa, n. 4284/2024 che ha condannato l’amministratore per aver proseguito l’attività sociale nonostante la perdita del capitale, violando sia i doveri pubblicistici che quelli privatistici del suo incarico.

  1. Gli obblighi di vigilanza e controllo

L’art. 35-bis del D.Lgs. 159/2011 disciplina la responsabilità nella gestione, prevedendo che l’amministratore giudiziario sia esente da responsabilità civile per gli atti di gestione compiuti nel periodo di efficacia del provvedimento di sequestro, salvi i casi di dolo o colpa grave.
A riguardo, la Cassazione civile, nella sentenza n. 46973/2007, ha sottolineato che il dovere di diligenza e fedeltà dell’amministratore impone l’obbligo di preservare l’integrità del patrimonio sociale, impedendo condotte distrattive o dissipative.

  1. La responsabilità per mala gestio

Il Tribunale di Palermo, con la citata sentenza n. 4284/2024, ha rilevato gravi violazioni degli obblighi di gestione da parte dell’amministratore giudiziario-presidente del CdA, in particolare:

  1. a) omessa rilevazione della perdita del capitale sociale;
  2. b) mancata adozione dei provvedimenti ex art. 2482-ter c.c.;
  3. c) omessa svalutazione di poste attive;
  4. d) prosecuzione dell’attività in violazione dell’art. 2486 c.c.

Il primo e più rilevante profilo di responsabilità riguarda la violazione degli obblighi previsti dagli artt. 2482-ter e 2486 c.c. in materia di riduzione del capitale sociale e gestione conservativa.

Come evidenziato dal Tribunale di Bologna nella sentenza n. 375/2018, gli amministratori sono tenuti a redigere i bilanci in modo veritiero e corretto, rappresentando fedelmente la situazione patrimoniale, finanziaria ed economica della società. Qualora omettano di rilevare la perdita integrale del capitale sociale e proseguano la gestione senza adottare i dovuti provvedimenti, rispondono dei danni conseguenti alla loro condotta inadempiente.

Nel caso trattato nella citata sentenza del Tribunale di Palermo n. 4284/2024 gli amministratori avrebbero omesso di svalutare partecipazioni in società, crediti finanziari e crediti verso clienti. Tale condotta avrebbe determinato l’occultamento della perdita del capitale sociale, verificatasi già in esercizi precedenti, impedendo l’adozione dei necessari provvedimenti di ricapitalizzazione o liquidazione.

Come chiarito dalla Cassazione civile n. 15054/2024, in presenza di una causa di scioglimento gli amministratori possono compiere solo atti di gestione conservativa finalizzati alla tutela dell’integrità patrimoniale. La prosecuzione dell’ordinaria attività d’impresa in violazione di tale limite comporta responsabilità per i danni arrecati al patrimonio sociale.

Sempre il Tribunale di Palermo, con la citata sentenza n. 4284/2024, ha accertato che gli amministratori, anziché limitarsi ad una gestione meramente conservativa, hanno proseguito l’attività ordinaria causando un aggravamento del dissesto. Come evidenziato nella CTU disposta dal medesimo Tribunale di Palermo, “non i singoli atti ma solo la gestione ordinaria, in continuità aziendale, quando già risultavano presenti i presupposti di cui all’art. 2482-ter cc. ed all’art. 2484 c. 1 4), protratta per un orizzonte temporale significativo, ha determinato la perdita e l’integrità del patrimonio sociale a discapito del ceto creditorio“.

Quanto alla determinazione del danno, ovverosia il pregiudizio risarcibile, il Tribunale ha applicato il criterio del differenziale dei netti patrimoniali, in linea con quanto previsto dall’art. 378 del Codice della crisi d’impresa.

Come chiarito dalla giurisprudenza di merito, il danno risarcibile non può essere automaticamente equiparato all’intero sbilancio fallimentare, dovendo essere dimostrato il nesso causale tra le specifiche condotte illegittime e il pregiudizio subito.

La citata sentenza n. 4284/2024 del Tribunale di Palermo ha affrontato anche il tema della responsabilità dell’organo di controllo per omessa vigilanza sull’operato degli amministratori.

Come evidenziato dalla Cassazione n. 5060/2024, per configurare la responsabilità dei sindaci occorre dimostrare:

– l’inerzia rispetto ai doveri di controllo

– il danno conseguente alla condotta degli amministratori

– il nesso causale tra l’omessa vigilanza e il danno

Il Tribunale di Palermo ha ritenuto che i sindaci, pur non disponendo di poteri di veto o sostituzione, avrebbero potuto e dovuto:

– sollecitare la convocazione dell’assemblea per l’adozione dei provvedimenti ex art. 2482-ter c.c.

– chiedere al tribunale la riduzione del capitale sociale;

– attivare il controllo giudiziario ex art. 2409 c.c.;

L’omesso esercizio di tali prerogative ha consentito la prosecuzione della gestione illegittima, determinando la responsabilità solidale dei sindaci per i danni cagionati alla società.

Un principio rilevante emerso dalla citata sentenza del Tribunale di Palermo riguarda i limiti del sindacato giurisdizionale sulle scelte degli amministratori.

Come affermato dalla Cassazione civile n. 8069/2024, il principio della business judgment rule esclude la sindacabilità nel merito delle scelte gestionali, le quali possono rilevare come giusta causa di revoca ma non come fonte di responsabilità, salvo casi di manifesta irragionevolezza o violazione di legge.

Nel caso di specie, tuttavia, non si discuteva del merito di scelte discrezionali e gestorie dell’organo di amministrazione ma della violazione di precisi obblighi di legge (ade sempio l’errata valutazione di poste contabili nei bilanci, e quindi di inosservanza dei principi contabili), quali:

– il dovere di corretta rappresentazione contabile;

– l’obbligo di ricapitalizzazione o liquidazione;

– il divieto di prosecuzione dell’attività ordinaria.

Si tratta di principi che confermano l’orientamento consolidato della giurisprudenza in materia di responsabilità gestoria, offrendo utili coordinate per valutare la condotta degli organi sociali nelle situazioni di crisi d’impresa, tanto più se la loro nomina non ha natura privatistica ma deriva da un’investitura (e fiducia) dell’autorità giudiziaria.

  1. La responsabilità aggravata dell’amministratore giudiziario

Come evidenziato dalla Cassazione civile nella sentenza n. 27451/2023, il dovere di agire informati gravante sull’amministratore non può configurarsi in termini di mera attesa passiva, ma deve declinarsi come dovere di attivarsi ed esercitare tutti i poteri connessi alla carica per prevenire, eliminare o attenuare le situazioni di criticità aziendale di cui sia o debba essere a conoscenza.
Questa responsabilità risulta ulteriormente aggravata dalla duplice veste di amministratore giudiziario e presidente del CdA. Infatti, come chiarito dal Tribunale di Palermo nella sentenza n. 568/2011, “nel verificare la responsabilità dell’amministratore di una società designato nell’ambito di un procedimento di misure di prevenzione, stante la particolarità del rapporto che lega alla società l’amministratore cui è affidata la relativa gestione, la diligenza del medesimo va valutata diversamente rispetto a quella di ogni altro organo gestorio.

  1. Il dovere di vigilanza rafforzato

La Cassazione civile n. 5375/2024 ha stabilito che il dovere di agire informati dei consiglieri non va rimesso esclusivamente alle segnalazioni provenienti dagli amministratori delegati. Tutti i componenti del CdA, e a maggior ragione il Presidente, devono possedere ed esprimere una costante e adeguata conoscenza del business societario e, in quanto compartecipi delle decisioni strategiche, hanno l’obbligo di contribuire ad assicurare un governo efficace dei rischi in tutte le aree di interesse della società.

Questo principio è ulteriormente rafforzato dalla sentenza n. 7327/2019, che evidenzia come il componente del CdA non possa sottrarsi alla responsabilità adducendo che le operazioni integranti l’illecito siano state poste in essere, con ampia autonomia, da altri soggetti. La Corte precisa che anche in presenza di una condotta egemone del presidente, gli altri amministratori hanno l’onere di sollevare opportune osservazioni, chiedere chiarimenti e far inserire i propri rilievi a verbale.

Per quanto riguarda specificamente la figura del presidente del CdA, la Cassazione n. 31660/2019 ha delineato con precisione i suoi compiti, evidenziando che non si tratta di mere funzioni organizzative. La Corte ha infatti stabilito che il presidente è dotato non solo di poteri ordinatori delegati dal consiglio, ma anche di poteri decisori propri, configurandolo come un “organo forte” con specifiche responsabilità per il buon funzionamento dell’intero consiglio.
La Cassazione n. 21087/2024 ha ulteriormente precisato che la responsabilità del presidente del CdA si fonda su una presunzione di colpevolezza che può manifestarsi anche solo in termini di negligenza, senza necessità che venga dimostrato il dolo o la colpa grave. L’onere della prova liberatoria grava sul presidente, che deve dimostrare di aver adempiuto diligentemente ai propri doveri di vigilanza e controllo.

La Cassazione n. 15685/2024 ha inoltre sottolineato che la responsabilità del presidente del CdA è particolarmente rilevante quando si tratta di violazioni che incidono sulla completezza e adeguatezza delle informazioni societarie, come nel caso dei prospetti informativi.
Questo orientamento trova fondamento normativo nell’art. 2381 c.c., che attribuisce al presidente specifici poteri-doveri di coordinamento e informazione, e nell’art. 2392 c.c., che stabilisce la responsabilità solidale degli amministratori per i danni derivanti dall’inosservanza dei doveri imposti dalla legge e dallo statuto.

La Cassazione n. 7425/2012 ha inoltre chiarito che la responsabilità del presidente non può essere esclusa nemmeno quando le irregolarità preesistano alla sua nomina, in quanto il dovere di vigilanza deve essere esercitato attivamente nel corso del mandato.

Infine, la Cassazione n. 4525/2021 ha ribadito che il principio della necessaria prudenza dell’amministratore e della valutazione della sua condotta secondo il parametro della diligenza professionale è immanente al sistema dei controlli previsto dal codice civile e dalla legislazione speciale in materia societaria.

Nel caso dell’amministratore giudiziario che riveste anche la carica di presidente del CdA, questa posizione di garanzia risulta quindi ulteriormente rafforzata dalla qualifica di pubblico ufficiale ex art. 35 comma 5 del D.Lgs. 159/2011.

La peculiare posizione del presidente del consiglio di amministrazione che riveste anche il ruolo di amministratore giudiziario ex art. 35 D.Lgs. 159/2011 comporta un significativo innalzamento degli standard di diligenza e degli obblighi di vigilanza, rendendo sostanzialmente inapplicabile l’esimente dell’assenza di deleghe operative. Questa tesi trova fondamento in diversi ordini di ragioni.

Come evidenziato dalla menzionata Cassazione civile n. 5375/2024, l’obbligo di agire informati non può essere rimesso alle sole segnalazioni provenienti dagli amministratori delegati. Nel caso dell’amministratore giudiziario-presidente del CdA, questo principio assume particolare pregnanza poiché egli deve “possedere ed esprimere costante e adeguata conoscenza del business societario” ed è compartecipe delle decisioni di strategia gestionale.
In capo al soggetto in cui si concentra il doppio ruolo di amministratore giudiziario e Presidente del CdA è prioritario il c.d. “obbligo di vigilanza attiva”.

Tale principio, infatti, si applica a fortiori all’amministratore giudiziario-presidente, il quale deve esercitare un controllo ancora più penetrante in virtù della sua funzione pubblicistica.

  1. Conclusioni

La duplice veste comporta un innalzamento del livello di diligenza richiesto e una responsabilità aggravata, in quanto il soggetto opera sia come pubblico ufficiale che come organo di gestione della società.

La condanna al risarcimento del danno può rappresentare, ove definitivamente accertata, quindi la giusta sanzione per chi ha tradito il duplice ruolo di fiducia affidatogli dall’autorità giudiziaria e dalla società. Ciò rappresenta un importante monito sulla necessità di valutare con particolare rigore la condotta dell’amministratore giudiziario che rivesta anche cariche sociali, in quanto la sovrapposizione di ruoli comporta un innalzamento del livello di diligenza richiesto. La violazione dei doveri di corretta gestione risulta particolarmente grave quando proviene da chi, in quanto pubblico ufficiale, dovrebbe essere garante della legalità dell’amministrazione dei beni sequestrati: “maior dignitas est in administratore maior debet esse diligentia”.

 

 

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