Una decisione presa di gettito

Una decisione presa di gettito

Quando le esigenze di cassa sfidano la certezza del diritto

Come è noto, nell’ordinamento tributario italiano sono stabiliti specifici limiti temporali per le attività di controllo, rettifica e accertamento, oltre i quali l’Amministrazione Finanziaria non può più procedere con le riprese impositive e l’emissione dei conseguenti atti, decadendo definitivamente da ogni potere accertativo.

In sostanza, il termine di decadenza è la data ultima entro la quale l’Amministrazione Finanziaria deve, in generale, emettere l’accertamento al contribuente, pena la perdita definitiva del potere di accertamento stesso.

A tal proposito si rammenta che la disciplina generale dei termini di accertamento applicabile è contenuta nell’art. 43, D.P.R. n. 600/1973 (per quanto riguarda le imposte dirette e l’IRAP) e nell’art.57, D.P.R. n. 633/1972 (per quanto concerne l’IVA), ed è proprio in forza delle citate norme che l’Agenzia delle Entrate deve effettuare le riprese impositive e l’emissione dei conseguenti atti entro (e non oltre) il quinto anno successivo rispetto alla presentazione della dichiarazione dei redditi1.

L’impianto normativo sopra riportato è stato poi arricchito dal D.L. n. 18/2020, il quale all’art. 67 ha previsto che “… i termini relativi alle attività di liquidazione, di controllo, di accertamento, di riscossione e di contenzioso da parte degli uffici degli enti impositori …” si intendono sospesi, dall’8 marzo 2020 al 31 maggio 2020, a causa della pandemia da “Covid”.

A seguito dell’inserimento, all’interno del quadro normativo tributario, della citata disciplina (i.e. l’art. 67, D.L. n. 18/2020) l’orientamento dell’Amministrazione Finanziaria è sempre stato quello di intendere la sospensione dei termini per l’accertamento, intercorrente appunto fra l’8 marzo 2020 e il 31 maggio 2020 – pari a 85 giorni complessivi – (anche) in relazione a tutte le annualità successive al 31 dicembre 2020 (seppur non più contraddistinte, o comunque interessate, dal “Covid”).

L’orientamento dell’Agenzia appena esposto ha trovato la propria giustificazione nella Circolare ADE n. 11E/20202, ove è stato appunto ribadito il legittimo spostamento in avanti del decorso dei termini per la durata della sospensione3, il tutto destando grandi perplessità data l’evidente contrarietà di quest’ultimo documento di prassi rispetto alla ratio legis.

Ciò che ne è derivato, è evidente: un ingiusto, in quanto diverso, trattamento, tra diritti dei contribuenti e diritti dell’Agenzia delle Entrate; i primi hanno goduto della sospensione limitatamente agli adempimenti da porre in essere nel periodo d’imposta in cui ha avuto efficacia la sospensione stessa, mentre l’Agenzia avrebbe potuto invocare (avendo tutt’ora la possibilità per farlo) la sospensione (e/o la proroga) anche in relazione ai poteri/doveri che avrebbero trovato esecuzione anche negli anni a venire. Tale proroga differenziata era, è stata, ed è tutt’ora idonea a sbilanciare, in favore dell’Agenzia, le regole che sovraintendono i rapporti tra contribuenti e Agenzia.

L’erroneità delle tesi dell’Agenzia è risultata ancor più marcata se messa a confronto con il tenore letterale dell’art. 67, co. 4, D.L. n. 18/2020, che rinvia espressamente all’art. 12, co. 1, D. Lgs. n. 159/2015, e cioè alla disposizione applicabile ai contribuenti colpiti da aventi eccezionali, da cui, in estrema sintesi emerge che:

  • la sospensione dei termini di accertamento opera solo in presenza della sospensione dei termini di versamento da parte dei contribuenti;

  • la sospensione può operare solo con riferimento all’anno in cui si è verificato l’evento eccezionale e non a cascata sulle annualità successive.

È quindi lo stesso D.L. n. 18/2020 che in realtà ha sancito che le regole applicabili ai termini di prescrizione e decadenza introdotte nel corso dell’emergenza “Covid” non differiscono nella loro applicazione da quelle che si applicano a qualsiasi evento eccezionale per il quale viene specularmente riconosciuta la sospensione dei termini di versamento.

La lettura combinata delle norme citate (i.e. art. 67, co. 4, D.L. n. 18/2020 e art. 12, D.Lgs. n. 159/2015) ha reso quindi evidente che la sospensione dei termini di prescrizione e decadenza di 85 giorni avrebbe dovuto dispiegare, in via del tutto eccezionale, i propri effetti con esclusivo riferimento ai termini di prescrizione e decadenza che scadevano entro il 31 dicembre del 2020 e cioè, qualora il contribuente non avesse omesso di presentare la dichiarazione dei redditi, per il periodo di imposta 2015. Trovando il tutto ulteriormente conferma nell’157, D.L. n. 34/2020.

La questione di diritto nei termini sopra riportati è stata anche sollevata molteplici volte dinnanzi alle Corti di Giustizia Tributaria, le quali hanno sempre accolto le ragioni dei contribuenti (ex multis C.G.T. I di Latina, 25 ottobre 2023, n. 974/3/23 – C.G.T. I di Prato, 31 ottobre 2023, n. 87/2/23 – C.G.T. I di Torino, 21 novembre 2022, n. 890/6/22).

Tale dibattito, anche alla luce delle numerose pronunce emesse e sopra riportate, avrebbe dovuto ormai essere stata risolto in virtù del fatto che anche in data 29 febbraio 2024 il Dipartimento delle Finanze, in concerto con il Ministero dell’Economia, ha preso atto della erroneità delle tesi dell’Amministrazione Finanziaria ammonendo i rispettivi uffici a rispettare i termini ordinariamente previsti per l’accertamento.

A sorpresa, quanto sopra ha trovato però, del tutto inaspettatamente, un forte e contrario arresto giurisprudenziale della Suprema Corte di Cassazione – che si è appunto pronunciata con specifico riferimento ai termini di decadenza degli atti impositivi – stabilendo, sebbene implicitamente, che la proroga di 85 giorni riconducibile all’attività di accertamento introdotta, durante il periodo emergenziale “Covid”, dall’art. 67, D.L. n. 18/2020, si applicherebbe non soltanto in relazione a quelle attività da compiersi entro l’arco temporale previsto dalla norma (i.e. dall’8 marzo 2020 al 31 maggio 2020), ma anche con riguardo ad ogni altra attività successiva, determinandosi, in sostanza, uno spostamento in avanti del decorso dei termini per la stessa durata della sospensione, con effetto a cascata anche sui termini di accertamento relativi ai periodi d’imposta successivi al 2020.

L’ordinanza n. 1630 del 23 gennaio 2025 pronunciata dalla Corte di Cassazione Sezione Tributaria in sede di rinvio pregiudiziale ai sensi del nuovo art. 363-bis c.p.c. su istanze rimesse dalla CGT I di Gorizia e dalla CGT I di Lecce, si è limitata a dichiarare inammissibili i rinvii pregiudiziali disposti dalle Corti di merito richiamando la sopraggiunta ordinanza della medesima Corte del 15 gennaio 2025, n. 960 e fornendo, peraltro, un’interpretazione evidentemente basata su una disamina parziale e non esaustiva della normativa di riferimento.

In particolare, tale interpretazione non ha nemmeno tenuto conto dell’art. 157, D.L. n. 34/2020 che ha interamente riscritto la materia dopo il primo intervento emergenziale (i.e. art. 67, D.L. n. 18/2020), prevedendo per tutti gli atti di accertamento per i quali i termini di decadenza, calcolati senza tenere conto del periodo di sospensione di cui al citato art. 67, scadevano tra l’8 marzo 2020 ed il 31 dicembre 2020, dovessero essere comunque emessi entro il 31 dicembre 2020 (seppur notificati nel periodo compreso tra il 1° marzo 2021 e il 31 dicembre 2022).

Come evidenziato dalla succitata giurisprudenza di merito è sempre apparso (e lo è tutt’ora) del tutto illogico anche solo ipotizzare una proroga di 85 giorni per gli accertamenti degli anni successivi al periodo d’imposta 2020, i cui termini di decadenza sono andati (o andranno) a scadere quando l’emergenza è stata ormai superata.

In sostanza, ove si accogliesse la tesi della proroga di 85 giorni dei termini di decadenza anche per i periodi d’imposta successivi a quello in scadenza al 31 dicembre 2020, l’Amministrazione finanziaria verrebbe illogicamente ammessa a beneficiare di un maggior termine in anni non caratterizzati da alcuna emergenza, laddove nell’anno della pandemia (2020) gli accertamenti dovevano comunque essere emessi entro il 31 dicembre (rinviandone solo la notifica a beneficio dei contribuenti). Sembra invece evidente che il Legislatore, superata la prima emergenza, abbia inteso dettare una disciplina esaustiva con l’art. 157, D.L. n. 34/2020, senza in alcun modo prevedere una proroga generalizzata dei termini, che non avrebbe avuto alcuna giustificazione una volta superato il periodo emergenziale.

Neppure è stata tenuta in considerazione la circostanza in cui l’art. 12, co, 1, D.lgs. n. 159/2015 – a cui opera espresso rinvio l’art. 67, co. 4, D.L. n. 18/2020, come già succitato – prevede un equo bilanciamento tra la sospensione dei termini di versamento e di adempimento delle obbligazioni tributarie dei contribuenti, da un lato, e la sospensione dei termini di decadenza dell’attività degli uffici, dall’altro; bilanciamento che sarebbe invece ingiustificatamente vanificato qualora si consentisse agli uffici di beneficiare di una proroga “a cascata” dei termini di accertamento anche nei periodi d’imposta successivi, nei quali invece i contribuenti non godranno più di alcuna sospensione legata alla pandemia.

La Cassazione, optando per una lettura meccanica del testo, si mostra insensibile alle peculiarità delle situazioni concrete. Una tale rigidità determina un’interpretazione della sospensione dei termini in modo uniforme, ignorando le differenze sostanziali.

Questo approccio, oltre ad essere formalistico, trascura l’intento legislativo che, in un periodo eccezionale come quello della pandemia, avrebbe potuto richiedere una lettura più equilibrata e flessibile, capace di coniugare l’efficienza amministrativa con una tutela adeguata dei diritti del contribuente.

Dichiarando inammissibile il rinvio pregiudiziale, la Cassazione ha impedito alle corti tributarie di esprimere e approfondire le problematiche procedurali connesse alla sospensione dei termini. Tale scelta centralizza e monopolizza il dibattito interpretativo, limitando alle istanze locali la possibilità di contribuire a un’analisi più articolata e contestualizzata.

Questo atto di chiusura preventiva non solo limita la pluralità di opinioni, ma rischia di compromettere lo sviluppo di una giurisprudenza più attenta alle diverse esigenze operative degli enti impositori e alle esigenze difensive dei contribuenti.

L’approccio della Suprema Corte tende a imporre un “posticipo” generalizzato dei termini, una soluzione che, se da un lato mira a uniformare il trattamento giuridico, dall’altro crea un corto circuito che vede essere trattate allo stesso modo situazioni che sono diseguali perché alcune generatesi nel periodo emergenziale ed altre no. Tale incertezza è particolarmente deleteria per quei contribuenti che, in situazioni complesse, rischiano di essere penalizzati da una sospensione indiscriminata.

Inoltre, la decisione non tiene sufficientemente conto dell’equilibrio tra l’efficienza dell’azione amministrativa e la tutela dei diritti dei cittadini. La scelta di un’interpretazione generalista, che ignora le specificità di ogni caso, evidenzia un’ideologia giuridica che privilegia la forma sulla sostanza, a scapito di un’analisi più approfondita e contestualizzata.

La Cassazione sembra aver abbandonato l’opportunità di promuovere una riflessione più dinamica e proattiva sui meccanismi di sospensione dei termini in periodi di crisi. Invece di considerare possibili soluzioni differenziate che potessero mitigare gli effetti negativi su particolari categorie di contribuenti, il giudice supremo ha optato per una formula “taglia unica” che rischia di inasprire le problematiche pratiche già evidenti.

Questa scelta appare come un segnale di chiusura, in cui la necessità di uniformità interpretativa viene raggiunta a discapito della flessibilità e della sensibilità verso le conseguenze concrete di una sospensione massiva.

La decisione della Cassazione, pur offrendo una soluzione chiara e univoca dal punto di vista formale, è fortemente criticabile per il suo approccio eccessivamente rigido e per la soppressione di un dibattito che avrebbe potuto portare a una soluzione più equa e funzionale. In un contesto eccezionale come quello pandemico, l’adozione di un’interpretazione così inflessibile rischia di generare squilibri tra le esigenze degli enti impositori e la tutela dei diritti dei contribuenti, minando la certezza del diritto e di compromettere la corretta gestione dei procedimenti tributari. Una maggiore sensibilità e una lettura più articolata, che tenesse conto delle specificità di ogni situazione, sarebbero state auspicabili per coniugare in modo più equilibrato efficienza amministrativa e tutela dei diritti.

In definitiva, la decisione che è stata assunta dalla Suprema Corte potrebbe sembrare essere frutto di una valutazione frettolosa e poco consapevole della ratio legis nonché, più in generale, del quadro normativo di riferimento. Ciò che fa riflettere, però, è che si tratti appunto di una pronuncia della Suprema Corte; pare quindi doveroso escludere che possa trattarsi di una decisione scritta di getto, più verosimile, invece, ritenerla una decisione volta a salvaguardare tutti quegli atti impositivi “tardivi” che avrebbero dovuto essere annullati per intervenuta decadenza. Una tutela degli interessi erariali, quindi. Una decisione presa di gettito.

Non si può che rimanere pensierosi, volgendo malinconicamente il pensiero alla certezza del diritto che appare traballante, auspicando che la questione possa tornare presto al vaglio della Suprema Corte, questa volta con un esame più approfondito di tutto il quadro normativo di riferimento.

Il Giudice supremo, con la pronuncia in esame, invece di rafforzare la prevedibilità normativa, ha optato per un’interpretazione che sembra orientata a logiche pragmatiche di cassa. Come sottolineava il giurista statunitense Richard A. Posner, “il diritto non può essere semplicemente strumento di efficienza economica, ma deve preservare la giustizia e la prevedibilità normativa” evidenziando il rischio di un sistema che, non tenendo rigidamente separati norme e interessi fiscali, perde il suo valore di baluardo della certezza giuridica.

Nel frattempo, i contribuenti dovranno operare attenzione alle molteplici implicazioni pratiche di tale orientamento, fermo restando che l’interpretazione espressa dalla Suprema Corte rimane, sotto diversi profili, insoddisfacente e tale da non giustificare una rinuncia all’eccezione di decadenza in sede giudiziale.

1 Eccetto i casi di dichiarazione omessa o di dichiarazione nulla, per i quali il termine di accertamento è aumenta sensibilmente.

2 Circolare ADE n. 11E/2020, del 6 maggio 2020.

3 Si veda, a tal proposito, pag. 37, Circolare n. 11E/2020, del 6 maggio 2020.

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