Il Collegio Sindacale nel deserto del controllo
Il paradosso del controllo quando il potere è in mano a uno solo
“Fari ‘u cani da pagghiaru nun servi: latra, ma nun mori nuddu” (Fare il cane da pagliaio non serve: abbaia, ma non morde nessuno) è un detto siciliano perfetto per descrivere la condizione del Collegio Sindacale nelle società in cui il socio unico e l’amministratore unico coincidono. Il proverbio evidenzia una situazione di impotenza apparente: proprio come un cane da guardia che abbaia senza poter mordere, il Collegio Sindacale è teoricamente chiamato a vigilare, ma nella pratica non ha strumenti efficaci per intervenire. Il Collegio può segnalare irregolarità, sollevare dubbi, perfino denunciare anomalie nella gestione, ma se il potere è tutto nelle mani di un unico soggetto, le sue azioni restano prive di conseguenze. La sua funzione si riduce a una mera formalità, un’ombra burocratica che dà l’illusione del controllo senza esercitare un’effettiva influenza sulla governance della società.
Il Collegio Sindacale è un organo di controllo che ha il compito di vigilare sulla gestione dell’impresa, garantendo la correttezza e la trasparenza delle operazioni societarie. La sua funzione è di fondamentale importanza per tutelare gli interessi dei soci, dei creditori e, in generale, del mercato. Tuttavia, il suo effettivo esercizio può risultare compromesso in situazioni particolari, come nel caso in cui il socio unico e l’amministratore unico di una società coincidano.
Per svolgere efficacemente il proprio compito, il Collegio deve operare in un contesto in cui esistano effettivi meccanismi di controllo e bilanciamento dei poteri (checks and balances). Tuttavia, nel caso in cui il socio unico sia anche amministratore unico della società, questi meccanismi risultano fortemente indeboliti, se non del tutto inesistenti.
Quando una società è detenuta da un unico socio che riveste contemporaneamente la carica di amministratore unico, il potere decisionale è completamente accentrato in un’unica persona. Questo significa che le scelte aziendali non sono soggette a un confronto con altri organi interni dotati di un’effettiva autonomia decisionale.
In una tale situazione, il Collegio Sindacale si trova in una posizione di estrema difficoltà.
Infatti:
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manca un vero organo amministrativo collegiale: non essendoci un Consiglio di Amministrazione, il Collegio non può interagire con più soggetti con differenti punti di vista;
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le decisioni aziendali non possono essere realmente contestate: essendo il socio unico e l’amministratore la stessa persona, ogni scelta gestionale viene automaticamente approvata, senza alcuna discussione critica;
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le segnalazioni del Collegio Sindacale rischiano di rimanere prive di effetto: se il Collegio rileva anomalie nella gestione, non esiste un organismo interno che possa intervenire per correggerle, poiché l’unico soggetto deputato alle decisioni è lo stesso amministratore-socio.
Un altro aspetto critico è la mancanza di indipendenza effettiva del Collegio Sindacale. Per poter operare correttamente, questo organo deve avere un margine di autonomia rispetto alla governance della società. Tuttavia, se il socio unico e l’amministratore unico coincidono, la sua autonomia viene meno per diverse ragioni:
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il Collegio Sindacale può essere nominato e revocato dallo stesso soggetto che deve controllare: ciò crea un evidente conflitto di interesse, poiché i sindaci potrebbero essere scelti sulla base di criteri di convenienza piuttosto che di effettiva indipendenza;
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le informazioni necessarie al controllo provengono dalla stessa persona: non esistendo altri amministratori o soci, il Collegio dipende completamente dai dati forniti dall’amministratore-socio, senza possibilità di verifica autonoma;
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l’assenza di un interlocutore terzo rende il controllo inefficace: il Collegio Sindacale non può svolgere un’effettiva attività di vigilanza se non esiste un altro organo con cui interagire in modo critico.
In una società in cui il socio unico e l’amministratore unico coincidono, il Collegio Sindacale si trova di fatto nell’impossibilità di esercitare il proprio ruolo in modo efficace. L’accentramento totale del potere gestionale in un’unica persona elimina ogni possibilità di reale controllo interno, rendendo l’organo sindacale una mera formalità priva di efficacia.
Forte è anche l’impatto della concentrazione del potere sugli assetti organizzativi ex art. 2086 c.c.
L’articolo 2086, comma 2, del Codice Civile stabilisce che l’imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, al fine di prevenire situazioni di crisi aziendale e garantire la continuità dell’attività economica. Questo obbligo è stato rafforzato con l’introduzione del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, il quale enfatizza la necessità di strumenti interni di monitoraggio e controllo per la corretta gestione dell’impresa.
Tuttavia, nelle società in cui il socio unico e l’amministratore unico coincidono, il Collegio Sindacale si trova nella sostanziale impossibilità di esercitare un controllo effettivo. Questa situazione non solo rende inefficace la funzione di vigilanza, ma pregiudica gravemente gli assetti organizzativi richiesti dall’art. 2086 c.c.
Vediamo brevemente perché.
Un assetto organizzativo adeguato dovrebbe prevedere la presenza di controlli e contrappesi interni, garantendo la separazione tra chi gestisce e chi controlla. In una società in cui il socio unico e l’amministratore unico coincidono questa separazione viene completamente meno, determinando diversi problemi:
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mancanza di autonomia del Collegio Sindacale: il Collegio dipende gerarchicamente dallo stesso soggetto che deve controllare, con la conseguenza che eventuali segnalazioni di criticità rischiano di essere ignorate o sottovalutate;
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incapacità di prevenire la crisi d’impresa: il Collegio Sindacale, che dovrebbe segnalare tempestivamente segnali di squilibrio finanziario o gestionale, si trova privato della possibilità di intervenire con efficacia. Senza un sistema di controllo attivo, la società può trovarsi in difficoltà senza che vengano adottati strumenti adeguati a correggere la rotta;
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sottovalutazione dei rischi operativi: l’amministratore unico, essendo l’unico decisore, potrebbe non avere un’adeguata percezione dei rischi aziendali, mancando un confronto interno con altri organi di governance.
Uno degli aspetti fondamentali di un buon assetto organizzativo è la chiara distinzione tra chi prende le decisioni e chi ne verifica l’adeguatezza. Questo principio è alla base della corporate governance e serve a garantire che le decisioni siano prese in modo razionale e trasparente.
Nel caso in cui il socio unico e l’amministratore unico coincidano, questa separazione viene meno, con le seguenti conseguenze:
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rischio di decisioni unilaterali e prive di verifica: l’amministratore-socio prende decisioni senza alcun confronto, eliminando la possibilità di una valutazione critica preventiva;
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impossibilità di un’efficace supervisione contabile: senza un organo amministrativo pluripersonale o un vero sistema di controllo, gli errori o le omissioni nella gestione contabile possono passare inosservati fino a quando non emergono problemi gravi;
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debolezza nella pianificazione strategica: un assetto organizzativo efficace prevede la partecipazione di più soggetti, ognuno con competenze specifiche. L’accentramento delle decisioni in una sola persona riduce la capacità di sviluppare strategie aziendali ben strutturate e condivise.
La situazione in cui il socio unico e l’amministratore unico coincidono non è solo una questione tecnica di inefficacia del Collegio Sindacale, ma rappresenta un fallimento profondo dei principi di buona governance e di etica aziendale.
Un’impresa non è un monolite, né dovrebbe essere gestita come un feudo personale: l’assenza di meccanismi di controllo e di una reale divisione dei poteri mina la trasparenza, la sostenibilità e la fiducia non solo all’interno della società, ma anche nei confronti di stakeholders esterni, come creditori, dipendenti e il mercato nel suo complesso.
L’art. 2086 c.c. non è solo una norma formale, ma un principio fondamentale di responsabilità d’impresa, che impone agli amministratori di adottare strutture organizzative adeguate a prevenire la crisi e garantire la continuità aziendale. Quando il Collegio Sindacale è di fatto impotente e il potere è totalmente accentrato, questo principio viene tradito, generando una situazione di opacità e rischio sistemico.
Le imprese non sono entità isolate, ma parte di un sistema economico e sociale in cui la fiducia e la correttezza gestionale sono essenziali. Un sistema di governance efficace non è un ostacolo alla libertà imprenditoriale, ma un argine contro decisioni arbitrarie e autodistruttive.
Una governance d’impresa responsabile richiede equilibrio, trasparenza e responsabilità condivisa. Un sistema in cui il controllo è fittizio non solo è inefficace, ma mina la fiducia nell’intero sistema economico. D’altro canto chiunque converrà che l’impresa non è solo profitto, ma responsabilità: chi gestisce un’impresa ha il dovere non solo di massimizzare il risultato economico, ma di farlo in modo etico e sostenibile, garantendo trasparenza e rispetto per tutti gli stakeholders. Una società che accentra sulla stessa persona il padrone e il gestore, in cui il controllo può davvero divenire fittizio, è il primo passo verso il declino aziendale, sia in termini economici che reputazionali.
Il Collegio Sindacale non può essere quindi un semplice cane da pagliaio che abbaia senza mordere: deve diventare un vero garante della legalità e della trasparenza, per il bene non solo delle singole imprese, ma dell’intero tessuto economico.
L’impresa che non si dota di strumenti di controllo efficaci gioca con il proprio futuro.
È dunque evidente che il sistema attuale, che impone – per forma societaria e limiti dimensionali – la nomina del Collegio Sindacale da parte di colui che è il socio unico e l’amministratore unico, è un paradosso giuridico che va risolto.
Fino ad allora, il Collegio Sindacale in queste società continuerà a essere una presenza sostanzialmente inutile, un simbolo senza potere, un’ombra che nessuno teme. Perché, come dice un altro detto siciliano: “Cu voli, voli, e cu nun voli, si nni va” (Chi vuole, vuole, e chi non vuole, se ne va). Ma qui, purtroppo, chi dovrebbe controllare non può né volere né andarsene: può solo assistere in silenzio.