La soluzione della crisi nei gruppi di imprese
Gruppo, controllo e attività di direzione e coordinamento nel Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza
Nel codice civile del 1942 mancava una disciplina specifica per i gruppi d’imprese. Questa lacuna normativa rifletteva una concezione giuridica tradizionale, focalizzata sulla singola società come soggetto giuridico autonomo. La dottrina del periodo1, poneva l’accento sull’autonomia societaria e sulla separazione patrimoniale, senza dedicare particolare attenzione al fenomeno dei gruppi.
Con l’aumento della rilevanza economica dei gruppi d’imprese, la dottrina iniziò a riflettere sulle problematiche derivanti dalla mancanza di regolamentazione2.
La legge 216/1974, istitutiva della CONSOB, introdusse obblighi di trasparenza nei mercati regolamentati. Autori come Michele Sandulli3 e Giovanni Campobasso4 iniziarono a sottolineare l’importanza di regolamentare i rapporti di controllo nei gruppi.
Successivamente, la riforma del 2003 rappresentò una svolta nella regolamentazione dei gruppi5.
Dopo il 2003, la disciplina dei gruppi non ha visto modifiche normative e quindi il dibattito in dottrina si è concentrato su questioni applicative e interpretative.
Tra i contributi più interessanti Francesco Guerrera6 ha esaminato i confini dell’attività di direzione e coordinamento; Paolo Montalenti7 ha approfondito il rapporto tra governance e direzione unitaria e Alberto Stagno d’Alcontres8 ha minuziosamente analizzato la responsabilità della holding e le forme di tutela per i soci di minoranza.
Di particolare pregio – e di contenuti condivisibili – sono stati i contributi in dottrina nell’interpretazione della novella del 2033 da parte di Nicolò Abriani9.
Con altrettanta precisione Carlo Angelici10 ha sottolineato l’importanza dell’unità economica nei gruppi d’imprese nei settori industriali e finanziari.
Anche la dottrina aziendalistica, sia domestica che internazionale, si è occupata di approfondire il tema della continuità aziendale e della gestione delle crisi nei gruppi d’imprese11.
Dal 2003 in poi si è sempre più insistentemente discusso della necessità di riformare la normativa dell’insolvenza anche, o meglio soprattutto, con riferimento ai gruppi d’imprese. L’Italia infatti era moto “arretrata” rispetto ai paesi anglosassoni ed europei.
Il diritto della crisi italiano è arrivato a disciplinare in modo organico l’insolvenza e il risanamento dei gruppi d’impresa con un ritardo significativo rispetto ai sistemi giuridici anglosassoni e di molti paesi europei.
Nei sistemi anglosassoni, come quello statunitense e britannico, l’insolvenza e la gestione dei gruppi d’impresa sono state affrontate già dalla seconda metà del XX secolo. Negli Stati Uniti, il Chapter 11 del Bankruptcy Code (1978) ha previsto strumenti per la gestione dell’insolvenza dei gruppi, come il substantive consolidation, che consente di trattare le entità del gruppo come un’unica unità economica quando necessario per il miglior soddisfacimento dei creditori. Analogamente, nel Regno Unito, il Insolvency Act del 1986 ha fornito una base normativa per affrontare le crisi d’impresa, sebbene con un approccio più frammentato rispetto a quello statunitense.
A livello europeo, molti ordinamenti, come quelli della Germania, della Francia e della Spagna, hanno iniziato a introdurre disposizioni specifiche sui gruppi d’impresa sin dagli anni ’90.
In Germania, la disciplina dei gruppi è stata sviluppata nell’ambito del diritto societario già con la Legge sui gruppi d’impresa (Konzernrecht) del 1965, integrata successivamente nel contesto delle procedure concorsuali.
In Francia, il diritto della crisi ha previsto meccanismi di coordinamento delle procedure concorsuali tra le diverse società del gruppo attraverso il Code de commerce, aggiornato in particolare nel 2005 con l’introduzione della procédure de sauvegarde.
In Spagna, la Ley Concursal del 2003 ha incluso disposizioni specifiche sui gruppi, enfatizzando il coordinamento delle procedure concorsuali.
Ed allora dopo molti anni di silenzio normativo, ma di sollecitazioni comunitarie, con il CCII (D.lgs. 14/2019), il legislatore ha introdotto una disciplina innovativa per i gruppi in crisi.
Normare la soluzione della crisi d’impresa e dell’insolvenza nei gruppi è stato un passaggio fondamentale per diversi motivi, che possono essere analizzati sotto il profilo pratico, normativo ed economico.
La vecchia legge fallimentare non forniva veri e specifici strumenti per gestire in modo unitario la crisi o l’insolvenza di gruppi di imprese, imponendo un approccio frammentato che spesso ostacolava soluzioni efficienti. Questo rappresentava una lacuna grave, soprattutto in un contesto economico dove i gruppi societari rappresentano sempre più una struttura comune e rilevante.
La crisi di un’impresa all’interno di un gruppo non è un fenomeno isolato: l’interconnessione economica e operativa tra le società rende inevitabile che le difficoltà di una si propaghino alle altre. La regolamentazione specifica consente di affrontare la crisi considerando il gruppo come un’entità economica unitaria, anche se articolata in più soggetti giuridici.
Normare la crisi di gruppo garantisce una maggiore trasparenza, fornendo ai creditori e agli organi della procedura informazioni chiare sulle relazioni di controllo e direzione all’interno del gruppo. Questo riduce il rischio di abusi, come trasferimenti patrimoniali non giustificati tra le società, e tutela meglio la continuità aziendale e, ovviamente, gli interessi dei creditori.
Un approccio unitario alla crisi del gruppo permette di preservare il valore economico complessivo, evitando che il fallimento di una società si ripercuota negativamente su quelle sane, minando la continuità aziendale dell’intero gruppo.
Ciò è ancor più vero nel momento e nella fase in cui il gruppo, o una delle società appartenenti allo stesso, stia atterrando verso una precrisi o una crisi non grave che, come tali, possono essere affrontate – sfruttando il fattore tempo – attraverso lo strumento della Composizione Negoziata della Crisi.
Ed invero, la disciplina del gruppo nel contesto della Composizione Negoziata valorizza il ruolo della direzione e coordinamento esercitata dalla holding. Questa funzione, intesa come “cabina di regia”, diventa essenziale per affrontare in modo tempestivo e coordinato le difficoltà economiche del gruppo.
La holding, infatti: i) assume un ruolo chiave nell’individuare e implementare soluzioni che preservino la continuità aziendale delle società controllate; ii) può avviare iniziative volte a evitare che la crisi si diffonda, adottando misure di riorganizzazione e trasferimenti interni mirati.
Il codice attribuisce alla holding una responsabilità non solo economica ma anche gestionale, imponendole di adottare tutte le misure necessarie (ed in primis degli assetti adeguati ai sensi dell’art. 2086 codice civile) per evitare la propagazione incontrollata della crisi. Questo comporta una maggiore attenzione nella pianificazione e nella trasparenza delle operazioni infragruppo.
Il gruppo può accedere alla composizione negoziata come un’entità unica, il che facilita la valutazione complessiva della situazione economico-finanziaria; l’adozione di strategie comuni per il risanamento; la gestione coordinata dei rapporti con i creditori, che possono essere trattati come un unico insieme anziché come una pluralità di soggetti.
La direzione e coordinamento consente di valorizzare il principio dei vantaggi compensativi12, secondo cui i benefici ottenuti da una società grazie all’appartenenza al gruppo possono essere bilanciati all’interno della procedura. Questo principio è particolarmente rilevante nella Composizione Negoziata, dove si punta a preservare il valore complessivo del gruppo e a garantire una distribuzione equa dei sacrifici tra i creditori.
La direzione e coordinamento influisce sugli strumenti di soluzione della crisi in vari modi. Essa facilita la predisposizione di un piano di risanamento unitario, sfruttando la centralizzazione delle decisioni strategiche nella holding, nel caso della Composizione Negoziata.
Essa consente di trattare la crisi del gruppo come un fenomeno unitario, con un unico piano che tenga conto delle specificità di ciascuna società; ciò nel caso del Concordato Preventivo con continuità aziendale.
Ma anche in caso di liquidazione giudiziale la normativa assicura che la gestione dei beni e dei creditori del gruppo avvenga in modo trasparente e coordinato.
Normare la crisi dei gruppi di imprese rappresenta un progresso fondamentale nel diritto concorsuale italiano, perché permette di affrontare situazioni complesse con strumenti adeguati e coerenti. La direzione e coordinamento della holding diventa il perno attorno al quale ruota la gestione della crisi, garantendo un approccio sistemico che tutela i creditori, favorisce la continuità aziendale e preserva il valore economico e sociale del gruppo.
Il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza colma una significativa lacuna dell’ordinamento concorsuale, precedentemente rilevata in dottrina. Esso introduce una disciplina specifica per la gestione della crisi o insolvenza dei “gruppi di imprese” (Titolo VI, artt. 284 ss.), distinguendo tale regolamentazione dalla gestione della crisi di “imprese appartenenti a un gruppo” (art. 289).
A tale scopo, il CCII fornisce una definizione di “gruppo” di imprese all’art. 2, primo comma, lett. h), mutuata dall’art. 2497 codice civile. Sebbene siano state rilevate potenziali tensioni tra i due corpi normativi, tali differenze vanno valorizzate in chiave evolutiva.
La definizione include l’insieme delle società, delle imprese e degli enti, esclusi lo Stato e gli enti territoriali, che, ai sensi degli articoli 2497 e 2545-septies del codice civile, esercitano o sono sottoposti alla direzione e coordinamento di una società, di un ente o di una persona fisica. Essa presume, salvo prova contraria, che l’attività di direzione e coordinamento13 sia esercitata dalla società o ente che consolida i bilanci o che controlla direttamente o indirettamente le altre entità, anche in caso di controllo congiunto (art. 2497-sexies codice civile).
Con tale innovazione normativa, il nuovo CCII consente di affrontare le crisi di gruppo attraverso strumenti unitari e in un unico procedimento regolatorio, possibilità – come in premessa anticipato – preclusa sotto la previgente legge fallimentare. Il che presuppone, in una fase iniziale, una decisione strategica di direzione e coordinamento14, volta a individuare tempestivamente lo strumento regolatorio più idoneo per garantire la continuità aziendale15.
Comunque, l’approccio normativo mantiene, correttamente, una cautela sostanziale, rispettando tendenzialmente il principio di separazione delle masse patrimoniali.
La disciplina prevede che, anche in assenza di un trattamento unitario della crisi, l’appartenenza a un gruppo debba essere evidenziata per garantire trasparenza e tutela nei confronti dei creditori e degli organi regolatori.
Inoltre, il nuovo CCII amplia la nozione di gruppo rispetto all’art. 2497 codice civile, includendo anche la direzione e coordinamento esercitata da una persona fisica e situazioni di controllo congiunto. Tale approccio si rivolge a una realtà complessa, in cui la gestione della crisi richiede una “cabina di regia unica”16.
È dunque evidente che l’importanza della ristrutturazione aziendale nelle crisi di un gruppo risiede nella capacità di preservare la continuità economica e produttiva di un sistema che, seppur composto da entità giuridicamente autonome, opera come un’unica realtà strategica e funzionale.
L’obiettivo non è solo il miglior soddisfacimento dei creditori, ma anche il mantenimento delle sinergie e delle economie di scala che il gruppo “sano” è in grado di generare. In tale contesto, il principio guida resta quello del salus rei publicae suprema lex esto, adattato all’ambito aziendale: la salvezza dell’impresa, intesa come bene comune di lavoratori, creditori e territorio, deve essere la legge suprema. La disciplina giuridica moderna, nell’offrire strumenti innovativi e flessibili per la gestione delle crisi di gruppo, consente di coniugare la necessaria tutela degli interessi particolari con la salvaguardia dell’interesse collettivo, ponendo al centro l’efficienza e la sostenibilità di lungo termine.
1 FRANCESCO FERRARA, Trattato di diritto commerciale. Parte generale, Utet, Torino, 1949; VITTORIO EMANUELE ORLANDO, Principi di diritto amministrativo, Giuffrè, Milano, 1940.
2GIUSEPPE FERRI, Gruppi di società e autonomia statutaria, Giuffrè, Milano, 1971, approfondì i rischi derivanti dall’abuso di controllo e la necessità di bilanciare l’interesse del gruppo con quello delle singole società; PIETRO RESCIGNO, Le società e il diritto, Giuffrè, Milano, 1975, esaminò il concetto di direzione unitaria e i profili di responsabilità nei gruppi; PAOLO SPADA, Autonomia e responsabilità nei gruppi di imprese, Utet, Torino, 1978, analizzò le problematiche connesse alla separazione tra autonomia giuridica e unità economica.
3 MICHELE SANDULLI, Trasparenza e vigilanza nei mercati finanziari, Giuffrè, Milano, 1975.
4 GIOVANNI CAMPOBASSO, La disciplina del mercato mobiliare in Italia, Cedam, Padova, 1976.
5 FRANCESCO GALGANO, Il nuovo diritto societario, Zanichelli, Bologna, 2004, analizzò la responsabilità ex art. 2497 c.c., soffermandosi sul danno e sul nesso causale; GIORGIO OPPO, L’interesse sociale nei gruppi di società, in Rivista delle società, 2003, pp. 873-902, approfondì il rapporto tra l’interesse del gruppo e quello delle singole società; LUIGI A. BIANCHI, Gruppi di imprese e responsabilità per direzione unitaria, in Giurisprudenza commerciale, 2003, pp. 134-150, analizzò gli obblighi di trasparenza e le tutele per soci e creditori.
6 FRANCESCO GUERRERA, La responsabilità nei gruppi di imprese, Cedam, Padova, 2007.
7 PAOLO MONTALENTI, Gruppi di imprese e governance societaria, Giuffrè, Milano, 2008.
8 ALBERTO STAGNO D’ALCONTRES, Responsabilità della holding e tutele per i soci di minoranza, in Rivista del diritto commerciale, 2005, pp. 121-145.
9 NICOLO’ ABRIANI, La direzione e coordinamento di società, Giuffrè, Milano, 2006. In questa monografia, l’autore approfondisce il concetto di direzione e coordinamento, analizzando i profili di responsabilità e le implicazioni pratiche della disciplina introdotta dalla riforma del 2003; NICOLO’ ABRIANI, L’interesse del gruppo e la tutela dei soci e dei creditori delle società controllate, in Rivista delle società, 2005, pp. 1-34. Un contributo fondamentale in cui l’autore esamina il delicato equilibrio tra l’interesse del gruppo e le tutele necessarie per i soci di minoranza e i creditori delle società controllate; NICOLO’ ABRIANI, La responsabilità per attività di direzione e coordinamento nei gruppi di imprese: problemi applicativi e prospettive evolutive, in Giurisprudenza commerciale, 2007, pp. 1205-1235. Questo articolo analizza le difficoltà applicative della responsabilità ex art. 2497 c.c., evidenziando i limiti e le potenzialità della disciplina in relazione alle esigenze di mercato; NICOLO’ ABRIANI, L’autonomia privata nei gruppi di imprese: limiti e prospettive, in Diritto commerciale e delle obbligazioni, 2010, pp. 450-470. Un’analisi del ruolo dell’autonomia privata nella gestione dei gruppi, con particolare attenzione alla compatibilità tra l’interesse unitario del gruppo e le singole entità giuridiche.
10 CARLO ANGELICI, L’unità economica nei gruppi di società, in Rivista delle società, 2006, pp. 50-70.
11 MARIO MASSARI, Corporate Valuation: Measuring the Value of Companies in Turbulent Times (con Gianfranco Gianfrate e Laura Zanetti, Wiley, 2016), si concentra sulla valutazione aziendale, analizzando come la continuità operativa rappresenti un elemento critico per la sopravvivenza e la valorizzazione dei gruppi d’impresa in contesti di crisi; GABRIELE BARBARESCO, Il valore dell’azienda in crisi: aspetti teorici e applicativi (Egea, 2015), esamina le metodologie di valutazione e ristrutturazione aziendale, sottolineando l’importanza di preservare la continuità operativa come obiettivo primario delle strategie di risanamento nei gruppi; SALVATORE BASILE, Risanamento aziendale e crisi d’impresa (FrancoAngeli, 2018), approfondisce il tema della crisi d’impresa nei gruppi, soffermandosi sugli strumenti di gestione e sulle sinergie che derivano dalla continuità operativa; FABIO BESTA e RAFFAELE D’ALESSIO, La gestione delle crisi aziendali: modelli teorici e casi pratici (Egea, 2020), analizzano casi di crisi aziendali, con un focus specifico sulle peculiarità dei gruppi d’impresa e sull’importanza della continuità aziendale per la salvaguardia degli stakeholder; PAOLO BERTOLI, La crisi nei gruppi di imprese: strategie di risanamento e ristrutturazione (Il Mulino, 2021), tratta in modo specifico le complessità legate ai gruppi d’impresa, enfatizzando il ruolo della governance e della direzione unitaria nel preservare la continuità operativa; UMBERTO BERTINI, Il sistema aziendale (Giuffrè, 2019), analizza i gruppi d’impresa dal punto di vista sistemico, evidenziando l’importanza di un approccio integrato per garantire la continuità operativa anche nei momenti di crisi; ALBERTO QUAGLI, Valutazione d’azienda e creazione di valore (Giappichelli, 2022), si concentra sul valore economico nei contesti di crisi, considerando la continuità aziendale come un elemento determinante per il successo delle operazioni di risanamento nei gruppi.
Tra gli aziendalisti non domestici, HARLAN D. PLATT, Principles of Corporate Renewal (University of Michigan Press, 1998), analizza le strategie per il rinnovamento aziendale, focalizzandosi sulle dinamiche interne ai gruppi d’impresa e sulle metodologie per affrontare le crisi garantendo la continuità operativa; STUART SLATTER e DAVID LOVETT, Corporate Turnaround: Managing Companies in Distress (Penguin Books, 1999), esaminano le cause delle difficoltà finanziarie nei gruppi aziendali e propongono approcci pratici per la ristrutturazione e il ripristino della redditività, enfatizzando l’importanza della leadership e della gestione strategica; JOHN ARGENTI, Corporate Collapse: The Causes and Symptoms (McGraw-Hill, 1976), introduce un modello per identificare i segnali precoci di crisi nelle imprese, inclusi i gruppi, offrendo strumenti per prevenire il collasso e mantenere la continuità aziendale; PATRICK A. GAUGHAN, Mergers, Acquisitions, and Corporate Restructurings (Wiley, 2010), approfondisce le strategie di fusione e acquisizione come mezzi per la ristrutturazione aziendale, analizzando come queste operazioni possano influenzare la continuità operativa all’interno dei gruppi d’impresa; DONALD B. BIBEAULT, Corporate Turnaround: How Managers Turn Losers into Winners! (McGraw-Hill, 1998), offre una prospettiva pratica sulla gestione delle crisi nei gruppi aziendali, delineando le fasi chiave per un efficace turnaround e sottolineando l’importanza di una diagnosi accurata e di interventi tempestivi; In epoca più recente, diversi studiosi e autori stranieri di rilievo hanno nuovamente affrontato, in chiave moderna, il tema della continuità aziendale e della gestione delle crisi nei gruppi d’impresa, ampliando il dibattito con nuove prospettive e modelli. Tra i più qualificati si segnalano ASWATH DAMODARAN, Investment Valuation: Tools and Techniques for Determining the Value of Any Asset (Wiley, 2012), pur concentrandosi prevalentemente sulla valutazione degli investimenti, dedica attenzione alla resilienza aziendale nei contesti di crisi e ai fattori critici che influenzano la continuità operativa, anche in strutture complesse come i gruppi d’impresa; ERIK LIE, Corporate Restructuring: Theory and Practice (Oxford University Press, 2020), esamina le dinamiche delle ristrutturazioni aziendali con particolare enfasi sulle sinergie nei gruppi e sulla necessità di preservare la continuità aziendale per evitare la distruzione di valore economico e sociale; EDITH HOTCHKISS e ROBERT MOORADIAN, Distressed Debt Analysis: Strategies for Speculative Investors (McGraw-Hill, 2021), analizzano le ristrutturazioni di gruppi in crisi finanziaria, esplorando come il mantenimento della continuità aziendale possa rappresentare un valore strategico per creditori e investitori; JOSEPH A. SCHILLING, Corporate Turnaround: A Manager’s Guide to Managing Financial Distress (Harvard Business Review Press, 2018), approfondisce le tecniche per la gestione delle crisi nei gruppi d’impresa, enfatizzando il ruolo delle strategie collaborative e delle ristrutturazioni innovative per preservare la continuità operativa; JEAN TIROLE, Economics for the Common Good (Princeton University Press, 2017), premio Nobel per l’Economia, affronta il tema della governance nei gruppi aziendali e le implicazioni economiche e sociali delle crisi, con riflessioni sull’importanza della continuità aziendale come elemento di stabilità economica.
12 L’importanza dei cosiddetti “vantaggi compensativi” nelle procedure di regolazione della crisi o dell’insolvenza relative a gruppi societari emerge con evidenza dalle disposizioni contenute nel Titolo VI, Capo I, del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII), che disciplinano il concordato in continuità aziendale di gruppo. In particolare, il riferimento ai vantaggi compensativi, previsto dall’art. 284, comma 4, CCII, permette di comprendere come essi possano tradursi in redistribuzioni del beneficio patrimoniale complessivo lordo derivante dal concordato di gruppo. Resta, tuttavia, da chiarire come tale beneficio debba essere quantificato.
Un primo elemento utile a tale fine è costituito dal fatto che l’art. 284, comma 4, CCII menziona un beneficio “per i creditori”. Da ciò si deduce che tale beneficio deve consistere esclusivamente in elementi idonei a soddisfare le pretese creditorie, senza che possano assumere rilievo vantaggi riferibili, ad esempio, ai soci o ai dipendenti.
In questa prospettiva, i criteri per individuare gli elementi da “conteggiare” ai fini della quantificazione del beneficio possono essere desunti:
i) dall’art. 84, comma 3, CCII, il quale, con riferimento al concordato con continuità aziendale, stabilisce che i creditori sono soddisfatti mediante una “utilità specificatamente individuata ed economicamente valutabile, che può consistere anche nella prosecuzione o rinnovazione di rapporti contrattuali con il debitore o il suo dante causa”;
ii) dall’art. 87, CCII, che specifica che la soddisfazione dei crediti può avvenire attraverso “qualsiasi forma anche mediante cessione di beni, accollo, altre operazioni straordinarie, ivi compresa l’attribuzione ai creditori nonché a società da queste partecipate di azioni, quote, ovvero obbligazioni anche convertibili in azioni o altri strumenti finanziari e titoli di debito”.
In base a tali disposizioni, il beneficio in questione sembra doversi identificare esclusivamente in “utilità” monetizzabili, suscettibili di incrementare il livello di soddisfazione dei creditori e la cui realizzazione deve essere prevista entro la data di attuazione del piano, così da consentire la chiusura della procedura. Seguendo questa impostazione, i benefici derivanti dal concordato di gruppo, non conseguibili mediante procedure autonome, possono essere ricondotti alla conservazione dell’unità del gruppo e alle conseguenti sinergie ed economie di scala, come la riduzione dei costi grazie alla non duplicazione di procedure e strutture, nonché alla possibilità di compiere operazioni più efficienti.
Al contrario, appare dubbio che possano essere conteggiati valori derivanti dal ridisegno della struttura del gruppo al termine della procedura, poiché tali benefici, manifestandosi successivamente alla chiusura, potrebbero non essere rilevanti per il soddisfacimento dei creditori pregressi, salvo che il beneficio si identifichi nella continuità aziendale delle imprese debitrici, garantita dal concordato di gruppo. In tal caso, occorrerebbe stabilire come attribuire rilevanza a tale elemento, ad esempio mediante una stima del valore associato o altre modalità. Tuttavia, la continuità aziendale non costituisce un valore autonomo, bensì un mezzo per il migliore soddisfacimento dei creditori, anche per la sua capacità di generare “beni futuri”.
In ogni caso, il beneficio derivante dal concordato di gruppo potrebbe essere inteso come una “traduzione numerica” delle “ragioni di maggiore convenienza” del piano unitario rispetto a soluzioni atomistiche, come previsto dall’art. 284, comma 4, CCII. Secondo tale interpretazione, la dimostrazione della superiorità della soluzione unitaria rispetto a quella autonoma richiederebbe due approcci complementari: uno descrittivo e l’altro numerico. Anche i vantaggi qualitativi, come il contenimento dei ritardi procedurali o una migliore circolazione delle informazioni, si rifletterebbero sul beneficio complessivo atteso, riducendo il fattore di sconto e l’abbattimento del valore del beneficio.
Pertanto, una rigorosa valutazione del presumibile plusvalore derivante dal concordato di gruppo rappresenta un requisito essenziale per giustificare l’opzione per la soluzione unitaria e garantire il miglior soddisfacimento dei creditori. Ciò implica una rilevante responsabilità in capo al professionista indipendente incaricato di attestare la fattibilità del piano.
Infine, la teoria dei vantaggi compensativi è richiamata anche dall’art. 285, comma 2, CCII, che consente al piano o ai piani concordatari di prevedere operazioni contrattuali e riorganizzative, inclusi i trasferimenti di risorse infragruppo. Tali operazioni, nei gruppi in bonis, sono ammissibili alle condizioni previste dall’art. 2497, comma 1, c.c., mentre nei gruppi in crisi devono risultare “necessarie ai fini della continuità aziendale delle imprese per le quali essa è prevista nel piano” e “coerenti con l’obiettivo del miglior soddisfacimento dei creditori del gruppo, tenuto conto dei vantaggi compensativi derivanti alle singole imprese”.
13
La norma non contiene una definizione del concetto di direzione e coordinamento ma fa riferimento alla disciplina dell’art. 2497 sexies c.c.: fino a prova contraria l’attività di direzione e coordinamento è esercitata verso le controllate: a) dalla società che ne consolida i bilanci; b) dalla società che esercita su di esse il controllo, diretto o indiretto, anche congiuntamente.
14
DANILO GALLETTI, La gestione della crisi attraverso la direzione e coordinamento: appunti sulle compensazioni “concordatarie” infragruppo per la ricostruzione del sistema, in Dir. fall., 2022, I, p. 639 ss.
15
ALBERTO MAFFEI ALBERTI, Crisi dell’impresa e continuazione dell’attività, in Ristrutturazioni Aziendali, 29 gennaio 2022
16
FRANCESCO D’ALESSANDRO, Prefazione. Gruppi, codice della crisi e ircocervi coasiani, in I gruppi nel Codice della crisi, (nt. 95), p. 9 ss.).