Il CCII come opportunità di rilancio sociale
Il CCII con principi di responsabilità sociale dell’impresa riconosce che l’impresa in crisi non è isolata, ma parte integrante della società
Il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII) rappresenta un’importante opportunità sociale per la collettività perché ridefinisce la gestione delle crisi aziendali in modo da valorizzare non solo gli interessi economici dei creditori, ma anche il benessere generale della società.
Il Codice si inserisce in una visione di sviluppo sostenibile, mirando a trasformare la gestione delle crisi aziendali in un’opportunità per innovare, ristrutturare e creare valore a lungo termine. Questo approccio favorisce un sistema economico più resiliente, capace di affrontare le sfide del mercato globale senza compromettere il benessere delle generazioni future.
Le procedure concorsuali, considerate nella loro accezione più ampia, sono state spesso interpretate come contesti in cui ogni attore coinvolto tende a perseguire il massimo guadagno individuale. Questi spazi sono stati sovente trasformati in terreni fertili per speculazioni e opportunità di arricchimento personale, anche in situazioni in cui il fallimento o il dissesto economico dell’impresa avrebbero richiesto comportamenti improntati a maggiore responsabilità e sobrietà. Chi possiede una lunga esperienza nel campo delle crisi d’impresa non può non osservare come, troppo spesso, la cultura della legalità sia sacrificata sull’altare degli interessi economici; come manchi un approccio etico e costruttivo alla gestione delle difficoltà aziendali; e come scarseggi una visione ispirata alla solidarietà e all’interesse collettivo, che potrebbe contribuire a far emergere valori più elevati rispetto alla mera logica economica basata sui rapporti di debito e credito.
Un’ulteriore carenza si riscontra nella limitata attenzione, sino ad ora, verso temi cruciali come la responsabilità sociale dell’impresa in crisi, la sicurezza dei lavoratori e la tutela dell’ambiente. Questi aspetti, tuttavia, non possono più essere ignorati, in quanto rappresentano pilastri fondamentali di un sistema economico moderno. Si fa sempre più strada, infatti, l’idea che garantire la continuità aziendale anche in presenza di una crisi sia la soluzione più adeguata a preservare il valore complessivo generato dall’impresa, andando oltre il mero soddisfacimento dei creditori.
In questo quadro, la prosecuzione delle attività aziendali non può più essere vista esclusivamente come uno strumento per massimizzare il recupero economico a beneficio dei creditori. Deve invece abbracciare una prospettiva più ampia, che tenga conto di valori non strettamente misurabili in termini monetari, ma essenziali per il progresso di uno Stato moderno. Uno Stato che ambisce a una crescita sostenibile deve basarsi su principi di etica, solidarietà e responsabilità sociale, senza per questo cadere in un ritorno al passato statalista.
Il CCII, soprattutto nella sua versione più aggiornata, riflette chiaramente questa evoluzione. Esso introduce una maggiore attenzione verso principi e valori di carattere sociale.
Questo approccio rappresenta un segnale di superamento di un approccio meramente patrimonialistico, ormai inadeguato a rispondere alle sfide contemporanee.
L’idea centrale che emerge è quella di un equilibrio tra il recupero economico e il rispetto di valori più alti, con l’obiettivo di trasformare le crisi aziendali in occasioni di rigenerazione e sostenibilità, non solo economica, ma anche sociale e ambientale.
La tutela della continuità aziendale rappresenta una scelta strategica e culturale profondamente innovativa nel nuovo Codice della Crisi, ispirata dalla consapevolezza che l’impresa non è solo un’entità economica volta al profitto, ma anche un sistema integrato che genera valore per una vasta rete di stakeholder, tra cui lavoratori, fornitori, clienti, comunità locali e, più in generale, il tessuto sociale ed economico di riferimento.
Il presupposto centrale è che la preservazione del valore aziendale non si esaurisce nella liquidazione del patrimonio per soddisfare i creditori, ma si realizza in modo più efficace attraverso la continuità operativa dell’impresa. Questo approccio nasce dall’evidenza che un’impresa in grado di proseguire la propria attività contribuisce a mantenere posti di lavoro, garantire stabilità economica nelle comunità locali, sostenere la filiera produttiva e preservare le competenze e le risorse immateriali (che spesso sono le più difficili da intravvedere, nonostante siano, altrettanto sovente, particolarmente importanti sia a livello quantitativo che, soprattutto, qualitativo).
La continuità aziendale, pertanto, diventa la soluzione preferibile non solo per assicurare il pagamento, anche se parziale, dei creditori, ma anche per evitare che il dissesto di un’impresa si trasformi in un disastro economico e sociale di portata più ampia. In altre parole, l’obiettivo è limitare gli effetti domino che potrebbero derivare da una crisi non gestita adeguatamente, con implicazioni che potrebbero andare ben oltre il singolo contesto aziendale.
La scelta di favorire la continuità aziendale si fonda inoltre su una logica di lungo periodo. Liquidare un’impresa, infatti, comporta spesso una perdita significativa di valore, in quanto molti asset immateriali (come i marchi, le tecnologie proprietarie e le relazioni con i clienti) rischiano di essere dissipati. Al contrario, mantenere l’impresa operativa consente di generare valore futuro, trasformando la crisi in un’opportunità di rilancio.
Sul piano sociale, la continuità aziendale risponde alla necessità di tutelare i lavoratori, non solo per preservare i loro posti di lavoro ma anche per garantire la stabilità delle loro famiglie e delle comunità in cui operano e vivono. Ciò si lega al concetto di responsabilità sociale dell’impresa, che viene progressivamente integrato come elemento essenziale nella gestione, e superamento, della crisi di un’impresa.
Questo nuovo approccio implica un cambio di paradigma: la crisi d’impresa non viene più vista come un fallimento definitivo da risolvere attraverso la liquidazione, ma come una fase transitoria che, se gestita con strumenti adeguati e con una visione etica, può consentire un rilancio sostenibile dell’attività.
Il Codice della Crisi, in tal senso, non si limita a riorganizzare le procedure concorsuali, ma si pone come promotore di una cultura della sostenibilità aziendale, orientata a valorizzare l’impresa come motore di crescita economica e sociale, anche nelle situazioni di difficoltà. Questo cambiamento si inserisce in una più ampia cornice di modernizzazione del sistema economico italiano, che punta a favorire una crescita inclusiva e rispettosa dei valori etici e ambientali anche in presenza di realtà imprenditoriali in crisi – ma desiderose di superarla – attraverso una legislazione speciale che, finalmente, parrebbe non punirle già in partenza ma offrigli una seconda chance.
In conclusione, il Codice della Crisi non è solo uno strumento tecnico per la gestione delle difficoltà aziendali, ma un’opportunità per promuovere una nuova cultura economica e sociale. Sottolineando la centralità della continuità aziendale, dell’etica e della responsabilità sociale, esso offre alla collettività benefici tangibili, contribuendo a costruire un sistema economico più equo, sostenibile e resiliente.
E tutto ciò con ulteriore beneficio: la possibilità per l’imprenditore in crisi di potersi (finalmente) senza vergogna palesare come tale di fronte alla collettività che non lo etichetterà più, come invece avveniva in vigenza della vecchia legge fallimentare, come un “fallito”.