Dall’Offesa Tradizionale a quella Digitale

Dall’Offesa Tradizionale a quella Digitale

Strategie legali e personali per navigare nell’era delle offese online mentre la Giurisprudenza si adatta

In questa epoca di grandi cambiamenti, tutti abbiamo dovuto adeguarci alle relazioni umane sui Social Media che ormai, hanno pressoché sostituito i luoghi d’incontro tradizionali.

L’argomento non può essere ignorato, allorché taluni individui pongono in essere veri e propri comportamenti illegittimi e/o illeciti, violando le leggi e, in particolare, lasciandosi andare a frequenti insulti, probabilmente agevolati dallo schermo che, evidentemente facilita l’abbandono dei freni inibitori.

La normativa vigente punisce l’ingiuria e la diffamazione.

L’ingiuria è l’offesa recata alla presenza diretta della vittima. In passato, l’ingiuria era considerata un reato nel codice penale italiano, ma con il decreto legislativo n. 7 del 2016, è stata depenalizzata ed ora è un illecito civile.

La diffamazione si verifica quando l’offesa è rivolta a una persona assente, ma comunicata a terze persone. L’articolo 595 del Codice Penale italiano disciplina la diffamazione, che costituisce un reato.

La diffusione dell’offesa a più persone, può aggravare la pena.

Quindi, la distinzione principale sta nel fatto che nell’ingiuria, l’offesa è rivolta direttamente alla persona presente, mentre nella diffamazione, l’offesa è comunicata a terzi in assenza della persona offesa.

Tuttavia, la differenza tra ingiuria e diffamazione, assume una particolare connotazione se attuata tramite social media, in tale ipotesi infatti, bisogna stabilire innanzitutto, quando la vittima si possa considerare presente o assente. Il discrimine, viene posto nella presenza online della persona offesa, ma devono essere presi in considerazione anche altri fattori.

Differenza tra ingiuria e diffamazione sui social

La diffamazione sui social media si verifica quando una persona pubblica un’offesa o un’accusa su una piattaforma online, come Facebook, Twitter, Instagram, ecc., indirizzata a una persona specifica, ma questa persona non è presente nella discussione o non è direttamente coinvolta. L’offesa deve essere comunicata a terzi (ovvero, altre persone devono poter leggere o ascoltare l’offesa).

Ad esempio, se qualcuno pubblica un commento su Facebook dicendo “Nonna Papera è una ladra” e Nonna Papera non è presente nella discussione, ma altre persone possono leggere il commento, questo è considerato diffamazione.

Vi è ingiuria invece, allorché qualcuno dice direttamente a Nonna Papera, attraverso un messaggio privato o in una chat, “Sei una ladra”, mentre Nonna Papera è presente e legge il messaggio, questo comportamento integrava il reato di ingiuria, prima che fosse depenalizzata.

La Giurisprudenza

ha dovuto adeguare l’interpretazione e l’applicazione della normativa vigente al mondo contemporaneo e alle nuove tecnologie.

Alcune delle recenti sentenze della Corte di Cassazione, hanno elaborato le regole in appresso.

Non tutte le offese perpetrate via social network sono sanzionabili penalmente, ci sono fattori che possono escludere la rilevanza penale dell’offesa.

Così ad esempio, la Corte Suprema ha ribaltato una sentenza di condanna per diffamazione, stabilendo che l’offesa su Facebook non costituisce diffamazione se il destinatario è online e partecipa alla conversazione (Sentenza n. 44662/2021).

Ancora. E’ esclusa la sussistenza del reato di diffamazione allorché l’individuazione del destinatario dell’offesa non è deducibile in termini di affidabile certezza (Sentenza n. 40746/202).

Con Sentenza n. 414 del 19 aprile 2022 la Corte ha stabilito che anche postare un commento denigratorio su un social network può configurare il reato di diffamazione aggravata dall’utilizzo di un mezzo di pubblicità diverso dalla stampa.

Con Sentenza n. 42783/2024, la Corte ha affrontato il tema della diversa potenzialità lesiva dei social media nel reato di diffamazione: non tutti i social media hanno la stessa capacità di raggiungere un pubblico più o meno ampio di destinatari.

I post diffamatori pubblicati su Facebook integrano, senza alcun dubbio, l’aggravante del mezzo pubblicitario in ragione della “oggettiva potenzialità che, in questo caso, ha il testo lesivo di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di persone”.

Solo relativamente all’aggravante, occorre individuare il “distinguo” tra social network/media (Facebook) e una chat rivolta ad un numero ristretto di persone (Gruppo WhatsApp). Non è rilevante, il numero di iscritti alla chat, ma la ‘conformazione tecnica’ del mezzo, tesa a realizzare uno scambio di comunicazioni che resta comunque riservato. La diffusione del messaggio a più soggetti iscritti alla chat, avviene, in un contesto informatico che consente la rapida divulgazione del testo, ma non determina la perdita di una essenziale connotazione di riservatezza della comunicazione, destinata ad un numero identificato e previamente accettato di persone”.

L’irrilevanza penale non implica l’insussistenza di conseguenze giuridiche

Sono infatti irrogabili in presenza di ingiuria, sanzioni pecuniarie e possono derivare condanne al risarcimento dei danni.

L’uso di un linguaggio offensivo sui social network può anche costare il posto di lavoro, pur se l’offesa è stata commessa fuori dall’orario di lavoro. Nel caso del licenziamento di un dirigente per giusta causa che aveva inviato una e-mail alla datrice di lavoro in cui scriveva: “Voi avete tradito la mia fiducia e buona fede e non so quanto potrò andare avanti a sopportare questo vostro comportamento che giudico inqualificabile”, la Corte ha confermato che il licenziamento non era arbitrario e che era giustificato dalla necessità di mantenere un rapporto di fiducia e collaborazione.

La sentenza sottolinea l’importanza della correttezza e della buona fede nel rapporto di lavoro, specialmente per i dirigenti: il comportamento sottoposto all’esame della Corte, veniva considerato idoneo a turbare il rapporto fiduciario con il datore di lavoro (Sentenza n. 6543/2024)

Queste sentenze mostrano come la giurisprudenza italiana si stia adattando alle nuove tecnologie e alle sfide poste dai social media.

Riflessioni finali

Sui social spesso emergono i c.d. “odiatori”, denominati “trolls” o “haters”, persone afflitte da problemi di comportamento che creano malumori, contrasti, odio… si va dai commenti o post contraddistinti da un atteggiamento aggressivo, accusatorio o vessatorio nei confronti di una persona o di un gruppo di persone, con il solo intento di offendere o ferire, ai giudizi gratuiti non richiesti e ai veri e propri insulti, anche gravi.

I commenti negativi possono far sentire ferita o offesa la persona presa di mira, facendo emergere un istinto naturale di difendersi.

Sapere ignorare gli haters e i trolls può davvero fare la differenza.

Tuttavia, non sempre è così semplice. Infatti questi individui cercano spesso di provocare una risposta, alimentando ulteriormente i loro comportamenti negativi.

Io sono cresciuta in un’epoca in cui, i genitori insegnavano ai figli il senso del rispetto e dell’autodifesa nei confronti dei prepotenti. Gli incontri personali erano caratterizzati da cortesie e/o scortesie che ora sono state replicate sui social. Nelle comunità non mancavano gli “scocciatori” che creavano contrasti, spesso verbali e che talvolta evolvevano in vie di fatto ma, una volta individuati, questi soggetti per lo più venivano emarginati ed allontanati dai gruppi.

Possibili soluzioni

Ma qual è la difesa migliore sui social?

In alcuni contesti, non è ovvio quando o come ignorare qualcuno senza dimostrare una mancanza di rispetto verso altri. Gli haters e i trolls tendono ad essere molto visibili e insistenti, facendo sembrare che siano ovunque e sempre presenti. Questi individui spesso mirano a suscitare emozioni forti, che possono rendere difficile ignorare i loro commenti.

L’importante è ricordare che rispondere agli haters non li fa smettere.

Potrebbe essere più efficace concentrarsi sui commenti e sulle connessioni positive oppure semplicemente… cancellare i commenti, segnalare i soggetti nocivi, bloccarli al più presto e, se ne sussistono i presupposti, sporgere denuncia o iniziare una azione civile per ottenere i danni.

Voi cosa ne pensate?

Raccontateci le Vostre esperienze e se avete necessità di un parere legale, non esitate a contattarmi.

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