Corte di Cassazione nuove regole per l’immigrazione

Corte di Cassazione nuove regole per l’immigrazione

La Corte di Cassazione Elabora le Regole per i Richiedenti Asilo dai Paesi Sicuri

Con la sentenza n. 14533/2024, pubblicata il 19/12/2024 la Corte di Cassazione ha risposto al quesito posto dal Tribunale di Roma: quando il richiedente proviene da un paese sicuro, il giudice ordinario, nell’ambito del procedimento che si apre con il ricorso avverso il provvedimento di rigetto della domanda di protezione internazionale per manifesta infondatezza ai sensi dell’art. 28-ter del d.lgs. n. 25 del 2008 emesso dalla Commissione territoriale, è vincolato alla designazione ministeriale o deve piuttosto valutare, anche in ragione del dovere di cooperazione istruttoria, sulla base di informazioni sui paesi di origine (COI- Country of Origin Informations) aggiornate al momento della decisione, se il paese incluso nell’elenco sia effettivamente tale alla luce della normativa europea e nazionale vigente in materia.

L’interrogativo è proposto in generale, in modo da abbracciare sia il caso in cui il ricorrente contesti la natura sicura del paese di origine, sia l’ipotesi di mancanza di contestazione.

Il Fatto Storico

Nella vicenda all’esame del Tribunale di Roma, la Commissione territoriale ha rigettato la domanda di protezione internazionale presentata da un cittadino tunisino in quanto il richiedente proviene da un paese di origine sicuro e non ha allegato fondati motivi per ritenere che il paese d’origine non sia sicuro per la particolare situazione in cui egli si trova.

Il richiedente ha presentato ricorso avverso la decisione di diniego chiedendo la sospensione del provvedimento di rigetto. Non ha allegato ragioni specifiche relative alla sua persona, ma ha fatto riferimento al mutamento della situazione della Tunisia riguardante la generalità delle persone. In altri termini, non ha allegato gravi e circostanziate ragioni riferibili alla propria condizione, ma ha sostenuto che alla luce di una serie di accadimenti, indicativi di una involuzione autoritaria, che interessano la generalità delle persone, la Tunisia non presenterebbe più i requisiti di permanenza all’interno della lista dei paesi sicuri.

Il Tribunale di Roma rileva che la valutazione di un paese di origine come sicuro, ai sensi dell’art. 2-bis del d.lgs. n. 25 del 2008, determina una pluralità di conseguenze sulla procedura applicata alle domande di protezione internazionale avanzate dai richiedenti provenienti da quel territorio e riduce significativamente le loro possibilità di difesa, tanto che il richiedente sarebbe a rischio di un allontanamento, con tutte le conseguenze connesse.

Sulla questione, si rinvengono contrastanti interpretazioni presso i giudici di merito.

Infatti, alcuni Tribunali ritengono che la valutazione della sicurezza di un paese sia riservata ai Ministri competenti; altri, al contrario, ritengono che essa sia sindacabile dal giudice e consenta la disapplicazione del decreto ministeriale indicante paesi non rispondenti ai canoni di sicurezza previsti dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 26 giugno 2013, n. 2013/32/UE, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale.

I Diritti dello Straniero

Si tratta di una questione interpretativa che si basa su una pluralità di fonti che riconoscono i diritti dello straniero in particolare: dignità, solidarietà e accoglienza e che, la Costituzione protegge come fondamentali, sia direttamente, sia tramite le Carte internazionali alle quali gli artt. 10, 11 e 117 rinviano.

L’art. 10, terzo comma, Cost. riconosce il diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge, allo straniero al quale sia impedito l’effettivo esercizio, nel suo Paese, delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana.

E lo riconosce nel contesto di una norma nella quale, è sancita la conformazione dell’ordinamento giuridico italiano alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute e, con riferimento alla condizione giuridica dello straniero, è fatto richiamo alla regolamentazione per legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali.

Lo Status di Rifugiato

ha carattere permanente, riguarda il soggetto individualmente perseguitato anzitutto per ragioni politiche, nonché ulteriori figure individuate nella prassi, quali, ad esempio, gli omosessuali a rischio di incriminazione perché nei loro Paesi i rapporti omosessuali, anche in forma privata e tra adulti consenzienti, sono reato; le giovani donne a rischio di mutilazioni genitali femminili; i fedeli di pratiche religiose proibite. Nel diritto dell’Unione europea il diritto d’asilo è riconosciuto anche come protezione sussidiaria, accordata, per un periodo di cinque anni rinnovabili, a chi non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato, ma nei cui confronti sussistono fondati motivi per ritenere che, se ritornasse nel Paese di origine, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno per l’incolumità personale, in ragione dell’appartenenza a gruppi politici, etnici o religiosi, di solito correlato ad un conflitto armato interno.

Occorre inoltre considerare che l’art. 6, paragrafo 4, della diretti-va 115/2008/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 di-cembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, prevede la facoltà (e quindi non l’obbligo) per gli Stati membri di estendere l’ambito delle forme di protezione tipiche sino a ricomprendere motivi caritatevoli, umanitari o di altra natura, rilasciando allo scopo un apposito permesso di soggiorno. Pertanto, lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria sono accordati in osservanza di obblighi europei e internazionali, mentre ulteriori forme di protezione sono rimesse alla discrezionalità dei singoli Stati, per rispondere a esigenze umanitarie, caritatevoli o di altra natura.

Il Principio di Diritto Enunciato dalla Suprema Corte

Nell’ambiente normativo anteriore al decreto-legge 23 ottobre 2024, n.158 e alla legge 9 dicembre 2024, n. 187, se è investito di un ricorso contro una decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale di richiedente proveniente da paese designato come sicuro, il giudice ordinario, può valutare, sulla base delle fonti istituzionali e qualificate di cui all’art. 37 della direttiva 2013/32/UE, la sussistenza dei presupposti di legittimità di tale designazione ed eventualmente disapplicare in via incidentale, il decreto ministeriale recante la lista dei paesi di origine sicuri, allorché la designazione operata dall’autorità governativa contrasti in modo manifesto con i criteri di qualificazione stabiliti dalla normativa europea o nazionale.

Inoltre, a garanzia dell’effettività del ricorso e della tutela, il giudice conserva l’istituzionale potere cognitorio, ispirato al principio di cooperazione istruttoria, là dove il richiedente abbia adeguatamente dedotto l’insicurezza nelle circostanze specifiche in cui egli si trova.

In quest’ultimo caso, pertanto, la valutazione governativa circa la natura sicura del paese di origine non è decisiva, sicché non si pone un problema di disapplicazione del decreto ministeriale.

La Motivazione della Sentenza

è chiara e articolata e resa sulla base della normativa e della giurisprudenza italiane ed europee; in buona sostanza: è il legislatore a dettare la norma, ma il giudice deve curarne l’applicazione al caso concreto.

Il Sindacato sulla Qualificazione del Paese d’Origine come Sicuro

Il giudice dinanzi al quale sia stato impugnato il diniego di protezione internazionale, può attivare il proprio sindacato sulla qualificazione, ad opera del decreto ministeriale, del paese di origine del richiedente come sicuro, allorché l’inserimento nella lista di cui al decreto ministeriale e la conseguente designazione siano rilevanti e decisivi rispetto alla spettanza della protezione al singolo ed abbiano conseguenze, in concreto, in ordine al diritto ad un ricorso effettivo.

In ogni caso, è sempre necessario l’assolvimento, da parte del richiedente, dell’onere di allegazione e di presentare una domanda che possa qualificarsi quale richiesta di protezione internazionale, in relazione ai fatti dedotti.

Paese d’Origine non Sicuro per Rilievi di Ordine Generale

La designazione del paese terzo come sicuro è rilevante se, ad esempio, il richiedente, nell’invocare una circostanza attinente alla protezione internazionale (timore di persecuzione o danno grave), sostanzialmente contesta che il paese di origine sia sicuro per rilievi d’ordine generale. In tal caso, le ragioni addotte a sostegno della domanda riguardano una situazione di ordine generale, concernente intere categorie di cittadini o zone di quel dato paese.

Poiché la designazione come sicuro del paese di origine dello straniero riveste un carattere rilevante e decisivo nell’ambito della controversia, il giudice ordinario deve poter esaminare la compatibilità, con la disciplina europea e nazionale, del decreto ministeriale, nella parte in cui designa quel paese terzo come sicuro e rilevarne gli eventuali vizi, anche per un motivo diverso da quello dedotto originariamente dalla parte, essendo ciò necessario ai fini dell’accertamento del diritto invocato.

Il giudice ha il potere-dovere di disapplicare l’atto presupposto, allorché sia riscontrato un contrasto con la normativa europea o con la disciplina legislativa nazionale.

Pertanto, il giudice, per poter disapplicare il decreto ministeriale, deve verificare, preliminarmente, se la ragione del rigetto sia basata su un esame individuale della domanda, o sul rilievo che il ricorrente proviene da un paese sicuro.

Paese d’Origine non Sicuro per Rilievi di Ordine Personale

Diverso è il caso in cui il richiedente abbia addotto, a sostegno della domanda, “gravi motivi per ritenere che quel Paese non è sicuro per la sua situazione particolare”, come prevede il comma 5 dell’art. 2-bis del d.lgs. n. 25 del 2008, in continuità con l’art. 36 della direttiva n. 2013/32/UE, là dove si riferisce alla invocazione di “gravi motivi per ritenere che quel paese non sia un paese di origine sicuro nelle circostanze specifiche in cui si trova il richiedente stesso e per quanto riguarda la sua qualifica di beneficiario di protezione internazionale a norma della direttiva 2011/95/UE”.

In tale ipotesi, ciò che rileva è la situazione di fatto della sicurezza nei confronti del singolo richiedente in ragione della sua peculiare situazione. La conseguenza di avere fondato la domanda sulle circostanze specifiche in cui si trova il richiedente stesso, è il venir meno della presunzione relativa di sicurezza che a quella designazione normalmente si ricollega.

Non si pone dunque, un problema di rilevanza e di conseguente disapplicazione, della valutazione governativa, perché, nella fase giurisdizionale conseguente all’impugnazione del diniego di protezione internazionale, con riguardo alla situazione personale del singolo, il potere-dovere del giudice è il pieno potere cognitorio, rafforzato sotto il profilo della cooperazione istruttoria, potendo il giudice addivenire a un completo accertamento, in fatto, della condizione soggettiva del richiedente, tale da integrare i gravi motivi. Pertanto, con riferimento al caso specifico, il giudice può sempre accertare, a prescindere dalla disapplicazione, ragioni di carattere individuale che depongano per una situazione di insicurezza che caratterizza il singolo richiedente.

In questo senso è indirizzata la giurisprudenza della Suprema Corte, quando osserva che l’inserimento del paese di origine del richiedente asilo nell’elenco dei paesi sicuri non preclude allo stesso la possibilità di dedurre la propria provenienza da una specifica area del paese stesso interessata a fenomeni di violenza ed insicurezza generalizzata che, ancorché territorialmente circoscritti, possono essere rilevanti ai fini della concessione della protezione internazionale o umanitaria, né esclude il dovere del giudice, in presenza di una simile allegazione, di procedere all’accertamento in concreto della pericolosità di detta zona e sulla rilevanza dei predetti fenomeni (Cass., Sez. I, 14 novembre 2019, n. 29914).

Nelle controversie in materia di riconoscimento della protezione, ai sensi dell’art. 35-bis del d.lgs. n. 25 del 2008, anche nella fase cautelare, se il giudice accerta che il richiedente ha addotto gravi motivi per ritenere che quel paese non è sicuro per la sua situazione particolare, la sospensione dell’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato non richiede, la disapplicazione del decreto ministeriale, ben potendo avere rilevanza assorbente e decisiva, nel senso della concessione della tutela interinale, l’invocazione di elementi relativi alla persona o al gruppo sociale di appartenenza, tali da superare la presunzione relativa determinata dall’inserimento del paese di origine nella lista.

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