Gli effetti penali dell’art. 2086 c.c.

Gli effetti penali dell’art. 2086 c.c.

All’inefficacia dell’organizzazione dell’impresa, l’ordinamento sanzionatorio è solito rimproverare un difetto gestorio.

L’art. 2086 del codice civile è stato introdotto con l’obiettivo di estendere regole e assetti organizzativi alla materia dell’insolvenza, annoverando così apertis verbis il dissesto o la crisi come eventi negativi e pregiudizievoli che possano essere prevenuti attraverso, per l’appunto, l’adeguatezza dei propri assetti organizzativi.

Il legislatore del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (C.C.I.I.) ha opportunamente compreso che l’intervento sulla crisi aziendale, qualora si intervenga in una fase patologica avanzata, rischia di risultare inefficace se non si prevede un’azione preventiva che operi sulla fisiologia dell’impresa stessa.

Secondo questa prospettiva innovativa rispetto alla vecchia legge fallimentare, la prevenzione e la cura devono fondersi in un dialogo costante, evitando la frammentazione tra i due momenti di intervento.

In tale contesto, la Parte II del nuovo Codice della Crisi interviene incisivamente sulla disciplina della gestione imprenditoriale, tanto nelle forme collettive quanto in quelle individuali. Specificamente, l’art. 2086, comma 2, c.c., come introdotto dall’art. 375 C.C.I.I., sancisce il principio generale secondo cui gli imprenditori che operano in forma societaria o collettiva sono obbligati a predisporre un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato, conforme alla natura e alle dimensioni dell’impresa.

Tale assetto deve essere funzionale alla tempestiva rilevazione di eventuali situazioni di crisi e della perdita della continuità aziendale, così da consentire l’adozione e l’attuazione immediata degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il ripristino della continuità.

Questa novella normativa amplia il perimetro delle valutazioni dell’organo giudicante in sede di esame della responsabilità civile o penale dei gestori di diritto o di fatto (così come dell’organo di controllo), restringendo al contempo l’area della colpa specifica all’inosservanza del dovere di adeguatezza degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili, senza pregiudicare altre ipotesi di responsabilità.

Dalla formulazione normativa emerge chiaramente che il dovere in questione si lega esclusivamente alla salvaguardia della continuità aziendale e alla prevenzione del rischio di crisi, garantendo l’intervento tempestivo a tutela dell’impresa, della massa creditoria e della realizzazione dello scopo sociale.

La vera, e per certi versi rivoluzionaria, novità introdotta dal Codice della crisi consiste, quindi, nella generalizzazione di un obbligo già presente sotto forma di principio nel diritto civile, ossia l’adeguatezza degli assetti organizzativi, estendendone l’applicazione sistematica a tutti gli imprenditori. La previsione di un obbligo giuridico vincolante in materia di modelli organizzativi orientati alla conservazione del patrimonio aziendale e alla prevenzione della crisi consolida in capo ai titolari delle funzioni gestorie è ora un dovere inderogabile.

Ne discende che la mancata adozione di adeguati assetti organizzativi non solo configura una violazione delle norme civilistiche, ma può determinare profili di responsabilità penale. In tal senso, la colpa dell’amministratore d’impresa assume i connotati di una culpa in organizzando, individuabile nella mancanza di interventi tempestivi, anche essi adeguati, volti a prevenire la crisi o a garantire la continuità aziendale.

Sebbene la nozione di adeguatezza degli assetti contenuta nell’art. 2086 del codice civile rimanga concettualmente generica e lasci margini di discrezionalità interpretativa all’autorità giudiziaria, la norma fornisce linee guida essenziali che la miglior prassi e dottrina ha saputo declinare, fornendo alle imprese e al mondo delle professioni giuridiche e aziendalistiche modelli e regole cui uniformarsi. La responsabilità dell’amministratore sarà, quindi, censurabile laddove egli si discosti dal percorso della continuità aziendale, (senza procedere, tempestivamente, alla liquidazione protetta dell’impresa) omettendo interventi tempestivi richiesti dal contesto.

In tale ottica, l’art. 2086, comma 2, c.c., integra e specifica il dovere giuridico dell’amministratore, rafforzando la sua posizione di garanzia nei confronti di stakeholders. Tale obbligo riveste una duplice rilevanza: da un lato, la predisposizione di un assetto adeguato opera in chiave preventiva a tutela dell’interesse economico generale, dall’altro, l’assenza o l’inadeguatezza degli assetti rappresenta un parametro per la configurazione di responsabilità civile o penale. La norma, quindi, assume anche una funzione integrativa del precetto penale, soprattutto quando la violazione dell’obbligo si riveli determinante per il dissesto.

Quanto alla violazione di un obbligo giuridico che determini il dissesto, essa costituisce un elemento oggettivo della procedura concorsuale, richiamando immediatamente la littera legis dell’art. 330 C.C.I.I., che disciplina l’ipotesi di bancarotta semplice impropria, reato pacificamente di natura colposa. Tuttavia, il confine tra l’applicabilità di tale norma e quella prevista dall’art. 329, co. 2, lett. b, C.C.I.I., relativa alla bancarotta per operazioni dolose, risulta spesso labile. La giurisprudenza formatasi in vigenza della vecchia legge fallimentare, infatti, tende non di rado a ricondurre meri inadempimenti alla nozione di operazioni dolose, facendone derivare la responsabilità per bancarotta fraudolenta.

Infatti, nell’attuale sistema dei reati fallimentari non riformato dal C.C.I.I., le fattispecie di bancarotta colposa costituiscono un’alternativa residuale rispetto alla bancarotta fraudolenta, talvolta oggetto di derubricazione da parte della giurisprudenza.

Il tema è stato al centro del dibattito nella “Commissione Bricchetti” per la riforma della disciplina penal-concorsuale, che ha evidenziato la necessità di un ripensamento sistematico dell’intero impianto dei reati fallimentari, che sul punto specifico ha riflesso l’indirizzo de jure condendo, volto a preservare e valorizzare le fattispecie di bancarotta colposa, riconoscendone (ancora) un ruolo sistematico nella tutela dell’ordinamento concorsuale.

Ed allora, nell’attesa (e soprattutto nella speranza) che anche il diritto penale della crisi d’impresa veda una sua revisione organica, all’imprenditore non resta che concentrarsi – senza distrazioni – sull’adozione di validi ed efficaci modelli organizzativi secondo la previsione dell’art. 2086 del codice civile.

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