Effetto Trump accelera le crisi nel passaggio di consegne

Effetto Trump accelera le crisi nel passaggio di consegne

Il passaggio della presidenza americana da Biden a Trump ha già suscitato una serie di effetti importanti.

A fronte di una serie di messaggi in cui si ribadiva, da entrambi le parti, che il passaggio dei poteri tra i due leader sarebbe stato all’insegna del savoir faire e della collaborazione si sono concretizzate una serie di iniziative che non paiono siano state realizzate in tal senso.

Infatti, da una parte le pressioni di Biden sul governo israeliano per una tregua in Libano, annunciata oggi dal governo di quel paese e da Hezbollah e, specialmente, il via libera all’uso di armi a lungo raggio all’Ucraina sono un esempio di atti che sicuramente non sono stati in alcun modo ne condivisi ne tantomeno concordati tra il presidente uscente e Trump.

Mentre la prima iniziativa potrebbe essere l’ultimo vanto del governo democratico americano il secondo pare essere un atto con il quale rendere difficile il progetto, più volte annunciato dal presidente americano eletto, di far finire rapidamente il conflitto.

Intanto, in attesa del passaggio delle consegne si assiste ad un sostanziale svuotamento dei risultati possibili della COP 29, pesantemente cannibalizzata dal G 20 brasiliano.

In pratica, come largamente anticipato e prevedibile, anche in questo campo regna un clima di attendismo, sempre per effetto della vittoria dei repubblicani negli USA e le incertezze che in campo ambientale sono legate alle passate politiche portate avanti da Trump.

In pratica, Simon Stiell, capo dell’Onu per i cambiamenti climatici, ha accusato, di immobilismo i paesi industrializzati e, il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, al suo arrivo al G 20, ha invitato i leader a dare l’esempio e a trovare “compromessi” per “salvare la Cop29”!

Entrambi gli appelli sono una ulteriore evidenza dell’incertezza che pervade il panorama economico e politico mondiale in attesa di conoscere le scelte e le iniziative del futuro governo americano.

Sullo sfondo il silente problema, al momento, dei rapporti tra USA e Cina specialmente sulle politiche commerciali e sul nodo Taiwan su cui pare che Biden abbia deciso di non intervenire.

Per tornare alla COP 29, da una parte si può intravedere come le aspettative dei due leader dell’ONU di ottenere un impegno di 1.000 miliardi annui (circa il doppio del costo dei due anni di guerra tra Ucraina e Russia) a fronte di un più modesto e tutto da definire impegno per circa un decimo di tale cifra da utilizzare per impedire il progressivo impoverimento dell’africa e per cercare di contrastare i flussi migratori che da questo continente stanno mettendo in crisi l’Europa.

D’altra parte il negazionismo dei paesi del G 20 sulle proprie responsabilità nel cambiamento climatico e gli annunciati propositi di deportazione delle persone immigrate irregolarmente negli Stati Uniti, annunciate da Trump, giocano sempre più in favore di una politica in cui temporeggiare in tutti i campi , specialmente in quelli ambientale ed economici, pare sia la scelta più diffusa.

Non ci resta che sperare che il 20 gennaio arrivi in fretta e che con l’insediamento del nuovo presidente americano si possano chiarire, se non tutti, almeno i maggiori dubbi sulla direzione che il mondo occidentale deciderà di adottare.

E, intanto, nonostante gli accorati appelli anche del Santo Padre, nulla di fattivo e decisivo pare si possa prevedere che possa essere fatto per l’ambiente o per combatter la fame del mondo, due aspetti che senza dubbio rappresentano le due facce della stessa medaglia.

Tutti paiono, purtroppo, essere in attesa della COP 30 “brasiliana” che dovrebbe avere la possibilità di fruire di una situazione più stabile e delineata che possa portare ad una definizione della politica e delle iniziative ambientali che condizioneranno il futuro dell’umanità.

Intanto a fronte di una defezione da X di molte figure democratiche, come protesta per la posizione assunta da Elon Musk, ci si domanda quanti decideranno di abbandonare le Tesla in favore di …. un’auto elettrica cinese ?!

Forse un ridimensionamento oggettivo delle politiche e degli obbiettivi di elettrificazione dei trasporti che ad oggi paiono poco realizzabili, almeno nei termini previsti, in favore di investimenti massivi nel settore delle energie rinnovabili sarebbe auspicabile.

Ancora una volta il nostro Paese ha già messo sulla bilancia 2.2 miliardi di euro per finanziare il fotovoltaico nei paesi con pochi abitanti, fatto estremamente rilavante in quanto equivalgono a circa 4 delle centrali nucleari per le quali occorrono almeno 25 anni per poter essere realizzate.

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