Revenge Porn

Revenge Porn

L’abuso dell’uso di immagini private.

Quante volte si è sentito parlare – specialmente in trasmissioni televisive o al notiziario – dalla condotta c.d. “revenge porn”. Cerchiamo di capire di cosa si tratta partendo da una definizione semplice ma non scontata: “Tutto ciò che avviene privatamente deve rimanere privato.”

Il primo episodio si è verificato il 13 settembre 2016 allorché Tiziana Cantone, 31enne di Mugnano in provincia di Napoli, viene trovata suicida nella cantina della casa della zia.

Tiziana sì punì suicidandosi per la vergogna e la disperazione in conseguenza alla diffusione di alcuni suoi video intimi finiti in rete a sua insaputa e pubblicati sui social network, sui siti per scambisti, e su molti siti porno.

La vicenda di Tiziana Cantone portò l’attenzione dell’opinione pubblica e del Parlamento italiano sul fenomeno del revenge porn.

A sole due settimane dal tragico gesto fu presentato un disegno di legge che mirava a introdurre l’art. 612-ter del codice penale, “concernente il reato di diffusione di immagini e video sessualmente espliciti” e nel 2018 fu presentata una petizione popolare al Senato in cui si chiedeva l’introduzione del reato di revenge porn nel codice penale italiano.

Il “revenge porn” (dall’inglese revenge, vendetta), definito anche come “pornografia non consensuale”, “abuso sessuale tramite immagini” o anche “pornovendetta”, consiste nella pubblicazione (sia on-line che off-line) o diffusione di immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, carpito in diversi modi, senza il consenso della persona ritratta, per denigrare pubblicamente, ricattare, bullizzare o molestare la persona cui si riferiscono.

Il reato di revenge porn è previsto all’art. 612-ter del Codice penale italiano “diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti”. La norma è stata introdotta nel nostro ordinamento dall’art. 10 comma 1 della L. 19 luglio 2019 n. 69 – c.d. Codice Rosso – volta a tutelare le vittime di violenza domestica e di genere: «Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate, è punito con la reclusione da uno a sei anni e la multa da euro 5.000 a euro 15.000.

La stessa pena si applica a chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini o i video di cui al primo comma, li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso delle persone rappresentate al fine di recare loro nocumento.

La pena è aumentata se i fatti sono commessi dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se i fatti sono commessi attraverso strumenti informatici o telematici.

La pena è aumentata da un terzo alla metà se i fatti sono commessi in danno di persona in condizione di inferiorità fisica o psichica o in danno di una donna in stato di gravidanza.

Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. La remissione della querela può essere soltanto processuale. Si procede tuttavia d’ufficio nei casi di cui al quarto comma, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio».

Il comma 1 punisce la diffusione di immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate da parte di chi queste immagini le ha realizzate. In questo caso si è di fronte ad un dolo generico, essendo sufficiente che l’autore agisca con la consapevolezza e la volontà di tenere la condotta incriminata, senza che sia necessario perseguire uno scopo specifico.

Il comma 2 punisce chi riceve le immagini e contribuisce alla loro ulteriore diffusione al fine di creare nocumento alle persone rappresentate. Questo aspetto è potenzialmente in grado di restringere il campo applicativo della norma, andando ad escludere, ad esempio, chi diffonde il materiale per puro divertimento senza dolo intenzionale. Questa interpretazione, comunque, presta il fianco a critiche da parte di dottrina e giurisprudenza.

Il comma 3 e 4 disciplinano una serie di circostanze aggravanti, ciascuna delle quali determina un aumento di pena.

L’ultimo comma disciplina la condizione di procedibilità, Il reato è punibile a querela della persona offesa.

Si procede d’ufficio nelle ipotesi previste al quarto comma (aggravanti speciali) e qualora vi sia connessione con un reato più grave, il che permette agli inquirenti di indagare anche nel caso in cui la vittima non possa più sporgere querela.

Per rendere ancora più importante ed efficace il ruolo del Garante, il ha introdotto il nuovo art. 144 bis del Codice Privacy.

La norma stabilisce che “chiunque, compresi i minori ultraquattordicenni, abbia fondato motivo di ritenere che immagini o video a contenuto sessualmente esplicito che lo riguardano, destinati a rimanere privati, possano essere oggetto di invio, consegna, cessione, pubblicazione o diffusione senza il suo consenso in violazione dell’articolo 612-ter del Codice penale, può rivolgersi, mediante segnalazione o reclamo, al Garante”. Quest’ultimo, entro quarantotto ore dal ricevimento della richiesta, provvede ai sensi dell’articolo 58 del Regolamento UE 2016/679 (GDPR) e degli artt. 143 e 144, predisponendo le indagini e si attiva per disporre il blocco preventivo nei confronti delle piattaforme indicate dal segnalante.

Qualora le immagini, i video, le registrazioni audio, o gli altri documenti informatici riguardano minori, la segnalazione al Garante può essere effettuata anche dai genitori o dagli esercenti la responsabilità genitoriale o la tutela.

Naturalmente, l’invio del materiale incriminato al Garante ai fini dell’effettuazione della segnalazione non implica un’incriminazione per il reato ex art. 612 ter c.p.

Oltre alla violazione profonda della privacy, le vittime di revenge porn, possono anche essere oggetto di molestie, stalking e altre forme di abuso. Un aspetto cruciale è l’impatto emotivo devastante che detta condotta ha sulle vittime. La condivisione non autorizzata di contenuti intimi può causare danni psicologici gravi, tra cui depressione, ansia, vergogna e isolamento sociale, fino ad arrivare nei casi più gravi ad atti di autolesionismo come la morte per suicidio delle vittime.

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