Il vino dealcolato un altro novel food
Oggi si parla di vino dealcolato come la bevanda del futuro.
Dopo le meteore “alimentari” che ho indicato come illusioni e non come soluzioni alla fame nel mondo rappresentate dalla farina di grilli e dalla carne coltivata, si sta affacciando un altro novel food tutto da valutare: il vino dealcolato o dealcolizzato.
Ai sensi della normativa UE, qualsiasi cibo che non sia stato consumato “in modo rilevante” prima del maggio 1997 è da considerarsi “nuovo alimento” o “novel food”.
In Italia, perché un prodotto possa essere chiamato ‘vino’ deve presentare, comunque, una gradazione alcolica di almeno il 9%, salvo alcune eccezioni legate a denominazioni particolari.
Il “vino dealcolato”, o per meglio dire dealcolizzato, come definito secondo la Direttiva Europea n.2021 del 2017, deve avere un tasso di alcol non superiore a 05% v/v, mentre il “vino parzialmente dealcolizzato” ha un tasso alcolometrico compreso tra 0.5% e 9%.
La notizia pare poter dare una nuova vita ad una nobile bevanda, il vino, che viene demonizzata proprio per la sua caratteristica, il tasso alcolico.
Infatti, sia i problemi di tasso alcolemico che inibiscono la guida che i danni da abuso ne hanno ridotto l’appeal in favore di altre bevande moderatamente alcooliche come la birra o il sidro.
In realtà il vino parzialmente dealcolizzato non è un vero novel food infatti già nei primi anni ’80 l’intuito di un imprenditore vitivinicolo modenese, di Nonantola, Angelo Giacobazzi, dopo aver portato il lambrusco a livelli molto elevati aveva già affrontato il problema costituito proprio dal tasso alcolico mettendo sul mercato il Giacobazzi 8 e ½ una bevanda a base di succo di uva fermentata (negli anni ’80 non poteva essere in nessun modo essere chiamato vino!) con tasso alcolico del 8,5%.
Da grande imprenditore eretico lo aveva, per di più, non confezionato in bottiglia ma, per contenerne il costo e consentirne una maggior e più facile diffusione, lo aveva confezionato sia in tetrapack che in lattina.
Chiara Soldati, presidente del Comitato Aspetti sociali del consumo di bevande alcoliche di Federvini ha recentemente affermato che “il 56 per cento della popolazione mondiale per motivi diversi non beve vini ed è un dato interessante per i produttori.
Il dealcolato rappresenta un nuovo segmento. È un po’ il vino che non c’era.”
Comunque, la nuova edizione basata principalmente sull’eliminazione dell’alcol mediante osmosi pare abbia sollevato una notevole pletora di problemi legati non tanto agli aspetti organolettici (tutti da accertare e definire assieme agli stabilizzanti da utilizzare) ma a quelli legali e fiscali, infatti, per il Ministro Lollobrigida non si può chiamare vino e, al momento, non si può produrre in Italia, con il risultato che le aziende italiane vanno all’estero per “dealcolare” i propri vini.
Inoltre, il ministro Giorgetti ha già anticipato che ci sarà una nuova accisa sulla produzione di tali prodotti (comunque al momento non producibili in Italia, ma vendibili senza probemi anche nel nostro Paese !!!), ivi compresa tutta la problematica della gestione dell’alcool etilico che verrebbe prodotto dall’operazione di dealcolizzazione.
E tutto ciò senza che nessun abbia affrontato un ulteriore problema: un vino dealcolato derivante, ad esempio, da un Brunello da Montalcino o da un Barolo come verrà chiamato?
Dubito fortemente che i vari consorzi di vini con denominazione protetta aderiranno per modificare i propri disciplinari.
Ecco un altro pasticcio all’italiana che dovrà essere affrontato al più presto, o no?