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Fast fashion essere alla moda aggrava e danneggia ambiente

Fast fashion essere alla moda aggrava e danneggia l’ambiente

Essere aggiornati sulle tendenze a la possibilità di avere capi a basso costo ha generato un fenomeno devastante dal punto di vista ambientale.

Quella dell’abbigliamento è una delle industrie che produce il maggiore impatto sul clima del nostro pianeta, in termini di Carbon Footprint, di inquinamento e di produzione di scarti destinati alla discarica o all’inceneritore.

Sono le caratteristiche stesse di questa industria, così come è pensata oggi, a renderla tanto problematica.

Si stima, infatti, che il 20% dell’inquinamento delle acque derivi dai processi di tintura e lavorazione dei tessuti; questo problema è anche riconducibile anche ai paesi di produzione, come la Cina e l’India, dove non vige un controllo sulla situazione.

A fronte di questi dati è evidente come il Fast Fashion sia, oggi, responsabile di ben il 10% delle emissioni serra sul pianeta, una enormità, visto e considerato che equivale alle emissioni combinate di trasporto aereo e navale.

L’aspetto negativo più rilevante del fenomeno è dovuto al fatto che, ogni anno, ben l’85% dei prodotti tessili finisce in discarica.

In un tale scenario anche la disputa tra fibre sintetiche e naturali diviene secondaria.

Infatti, anche se le prime oltre ad essere inquinanti nelle fasi produttive generano una grande fetta delle microplastiche durante il loro lavaggio, quelle naturali utilizzano sia superfici agricole rilevanti che grandi quantitativi di acqua, risorse sempre più preziose e utilizzabili, più proficuamente, per la produzione agroalimentare.

A questo punto dovremmo porci delle domande perché se collochiamo la moda tra i beni voluttuari dobbiamo comprendere come la civiltà consumistica* debba trovare una moderazione senza però giungere alle estremizzazioni, che paiono abbastanza estremiste, dei promotori di C40 Cities (di cui fanno parte i sindaci di alcune delle maggiori città del pianeta), che prevedono l’acquisto, al massimo, di tre capi di abbigliamento, a testa, per ogni anno.

La loro filosofia è improntata dall’eliminazione del superfluo mediante provvedimenti, da attuarsi entro il 2030 (!), che comprendono, ad esempio, un solo volo aereo a testa ogni tre anni e l’eliminazione non solo della carne ma anche di formaggi e di tutti i “cibi inquinanti”.

Su tali problematiche annoto come la “grande soluzione alimentare” costituita dalla famosa (o famigerata) farina di grilli sia già finita nell’oblio, seppellita dai costi e dai problemi produttivi, di cui era facile intuirne l’impatto sul progetto, quando tale soluzione sembrava essere la panacea per la fame nel mondo.

Comunque per tornare in tema, ben vengano i vari servizi on line di rivendita di abiti e altri beni usati, ammesso che non siano delle attività mascherate di commercio di beni, vestiti e capi di abbigliamento nuovi e, specialmente, i controlli sulla nocività dei prodotti importati fatto che sta coinvolgendo i maggiori marchi di produttori cinesi e i loro clienti.

* La società o la civiltà consumistica si basa sull’acquisto di beni superflui che, molto spesso, soddisfano dei bisogni indotti dalla pressione della pubblicità e/o da fenomeni d’imitazione sociale diffusi tra ampi strati della popolazione.

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