E se i cinesi dell’Europa fossimo noi?

E se i cinesi dell’Europa fossimo noi?

I dati sull’import ed export pare che, rispetto all’Europa e alla Germania, i veri cinesi siamo noi, anche se non agiamo con la stessa furbizia

Esaminando i dati relativi all’export e import nei vari settori merceologici del nostro Paese emergono dei dati che ci dovrebbero far riflettere.

La percezione comune del nostro Paese, infatti, riguarda il nostro ruolo come grande produttore e esportatore del settore agroalimentare, cosa confermata dalle rilevazioni in quanto l’export agroalimentare è cresciuto del 6,6% rispetto al 2022, raggiungendo il record di 63,1 miliardi di euro (nel 2018 non superava i 42 miliardi di euro).

Purtroppo, però, l’import, che raggiunge attualmente i 64,7 miliardi di euro, ci posiziona anche come grande importatore di alimenti, con un aumento del 4,1% rispetto  al 2022* (vedi link).

L’analisi dei dati riguardanti l’import-export relativo alla Germania non indica una situazione differente, infatti l’export vale 6.167,46 ml di euro rispetto a un import di 6.186,57 miliardi.*

Con questi dati le nostre presunzioni e la nostra immagine di paese di “Supremazia agroalimentare” paiono dover essere molto ridimensionate anche se, alla faccia di due simpatici e illustrissimi docenti che affermano la nullezza della nostra tradizione enogastronomica**, a me pare proprio che ogni straniero che lascia il nostro Paese ha sempre una lacrimuccia e, forse, molto più di una, di “rimpianto gastronomico”.

Questo nulla toglie alla meritoria volontà politica espressa dal Ministro Lollobrigida che spero in futuro agisca più efficacemente difendendo strenuamente i nostri prodotti specialmente se DOP IGP DOC, ecc. come fanno i francesi (vedi link) colmando l’insipienza dei suo predecessori nel promuovere le caratteristiche uniche dei nostri prodotti gastronomici sui mercati stranieri.

Ma allora, per cosa siamo “cinesi”, ovvero in grado di realizzare manufatti a costi molto competitivi, anche nei loro confronti?

La risposta è semplice: la componentistica del settore automotive nella quale siamo indiscutibilmente i leader.

Infatti, l’export italiano di autoveicoli, nel 2023, vale 23,2 miliardi di Euro, in crescita del 26,7%, mentre l’import vale 36,6 miliardi di Euro (+41,1% rispetto al 2022), con un saldo negativo della bilancia commerciale di circa 13,4 miliardi di Euro (erano 7,7 miliardi nel 2022). Per la componentistica, quindi, tutto ciò si ribalta.

Le statistiche dicono che nel 2023, il valore dell’export della filiera dei componenti per autoveicoli si è mantenuto in crescita (+7%) e ammonta a 25,3 miliardi di Euro.

Nello stesso periodo, si registra anche un incremento delle importazioni della componentistica (+7,3%) per un valore di 19,7 miliardi di Euro, portando così la bilancia commerciale a confermare nuovamente un saldo positivo, pari a 5,7 miliardi di Euro, con un avanzo di 1,94 miliardi di Euro nel primo trimestre, 1 miliardo nel secondo, 1,27 miliardi nel terzo e 1,45 miliardi nel quarto.

In pratica produciamo e esportiamo componenti e importiamo, grazie anche alla débâcle di FIAT/Stellantis nel nostro Paese, le auto finite.

I cinesi avevano fatto la stessa cosa, ma solo per imparare a fare i vari componenti e poi …  guardate le auto BYD HAN e SEAL, e le loro prestazioni, posso scommettere che al buon Elon Musk qualche brutto pensiero possa essere venuto, anche perché anche le sue macchine sono fatte in Cina, cambia il marchio ma chi le costruisce non cambia !

E noi, come i tedeschi e lo stesso Musk, ci siamo fidati che i cinesi ci avrebbero dato, con un bel sorriso e a costi bassi e competitivi, motori elettrici, batterie al litio e tutta la componentistica automotive.

Tale illusione è oggi tramontata e Stellantis pare che si stia accodando a Massimo Di Risio (DR Motors) per commercializzare o, al limite, assemblare auto cinesi.

D’altra parte è chiaro che la Cina abbia realizzato una politica specifica con una visione strategica della cosiddetta “decarbonizzazione” (fittizia al momento attuale per ridurre il calore emesso nell’ambiente) realizzata mediante quelle auto elettriche che loro producono e vendono a prezzi che non possono aver pari nei nostri paesi.

Infatti, il rincaro del 102% (quadruplicazione del dazio!) da parte dell’amministrazione Biden, e provvedimenti simili dell’UE, dovrebbero mettere in ginocchio l’import portando i prezzi delle auto elettriche cinesi alle stelle.

La contromossa cinese non si è fatta attendere: assembleranno le batterie e le auto in Europa (vedi i citati casi DR Motors e Stellantis) ma con costi tali da essere paragonabili alle auto cinesi con dazi maggiorati, punto a capo e Pantalone paga l’illusoria “decarbonizzazione”, buttando nel cesso la soluzione delle validissime auto endotermiche a idrogeno (gassoso) e dei sistemi di accumulo dell’energia elettrica alternativi al litio (supercaps, batterie al sodio, ecc.) .

Tutte soluzioni che potrebbero rivitalizzare e qualificare il nostro comparto automobilistico, ma che anche un sognatore, forse un po’ all’antica, come il sottoscritto, sa essere probabilmente irrealizzabili in quanto il sistema industriale globale si è già impegnato troppo sul litio e ammennicoli connessi.

E, “in cauda venenum”, tutto ciò potrebbe significare, purtroppo, se non la fine almeno un forte ridimensionamento del comparto della componentistica italiana nell’automotive.

 

*(Elaborazioni Ambasciata d’Italia su dati Agenzia ICE di fonte ISTAT)

** “La cucina italiana non esiste. Bugie e falsi miti sui prodotti e i piatti cosiddetti tipici” Alberto Grandi, (professore di Storia del cibo e presidente del corso di laurea in Economia e Management all’Università di Parma), e Daniele Soffiati, suo sodale nel celeberrimo podcast DOI – Denominazione di Origine Inventata.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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