Ruolo Chiave del Consigliere Indipendente nella Buona Governance del Consiglio di Amministrazione
L’organo fondamentale di governo della società è il CdA e le regole che ne determinano il buon andamento sono presenti nel Codice civile.
In questo contesto, il C.d.A. deve essere composto da un certo numero di amministratori indipendenti e con un’adeguata rappresentanza di genere.
Al di là della doverosa applicazione delle norme e del più che raccomandabile rispetto delle best practices, si deve valutare anche il modo con cui ciò viene fatto. E a questo proposito, si ricorda anzitutto che è senz’altro opportuno (e per taluni tipi di società è necessario) che il Presidente del Consiglio e il CEO siano due figure distinte e mantengano una netta differenza nelle rispettive funzioni e nello svolgimento delle medesime, senza indebiti pericolosi sconfinamenti. Il Presidente deve convocare il C.d.A., dopo averne determinato l’ordine del giorno, scegliendone gli argomenti anche tenendo conto di quanto possa essergli segnalato dall’Amministratore delegato e/o dallo staff. L’ordine del giorno non dovrebbe essere troppo denso: nella pratica spesso si tende, sbagliando, a fare degli ordini del giorno inclusivi di troppi argomenti, con la conseguenza che il tempo da dedicare ad alcuni di essi viene troppo compresso e la concentrazione di tutti i consiglieri dopo un certo tempo rischia di affievolirsi. Sempre a proposito della convocazione del Consiglio, la buona governance suggerirebbe di stabilire la formazione di un calendario fisso delle riunioni (es. un giorno prestabilito per ogni mese) in modo da scaglionare il più possibile e nel modo più efficace le esigenze di incontro e quindi il frazionamento dell’ordine del giorno nelle singole riunioni, eliminando allo stesso tempo la fastidiosa esigenza di trovare date e orari confacenti per tutti. La buona governance esige anche che per l’adeguata preparazione delle riunioni del C.d.A. tutta la documentazione inerente alla discussione e alle decisioni all’ordine del giorno venga predisposta dagli uffici della Società nel modo più accurato, evidente e leggibile e venga distribuita con ragionevole anticipo a tutti i partecipanti alla riunione del Consiglio, così da assicurarne la necessaria preparazione. Quanto sopra, come detto, per adottare una governance buona: nella pratica, infatti, non è infrequente trovarsi di fronte ad ordini del giorno di dieci o quindici punti e ricevere la documentazione solo qualche ora (e in alcuni casi minuti) prima della riunione del Consiglio. A quanto sopra, come conseguenza della pandemia generata dalla diffusione del Covid 19, corre in soccorso dei componenti dei Cda la possibilità di effettuare valide riunioni in Video conferenza. Questa possibilità aumenta in modo esponenziale la facilità di convocazione dei rispettivi Consigli societari in quanto possono essere tenuti nella comodità del proprio studio professionale ad orari anche inconsueti per la precedente tradizione. Non solo, questa facilità di convocazione consente di gestire in modo dinamico l’obbligo temporale del preavviso di convocazione attraverso la cosiddetta “convocazione totalitaria” ovvero tutto il Cda e tutto il Collegio sindacale. L’elemento essenziale perché ci si avvicini il più possibile all’adozione di una buona governance è costituito dal fatto che tutti i partecipanti al suo viaggio comprendano correttamente che ogni atto in qualunque modo connesso con la navigazione della Società verso la sua meta deve essere coerente con la necessità di minimizzare i rischi, incluso tra gli altri quello di una violazione o di una compressione dei diritti delle minoranze: anche per questo è fondamentale la scelta degli amministratori indipendenti e di avere sempre molto bene presente la configurazione della meta e della strategia per raggiungerla[1].
La presenza di membri che non siano solo espressione della maggioranza consente che le riunioni del consiglio di amministrazione non diventino una semplice formalità, dove ratificare acriticamente le scelte compiute dai manager, ma che tali consessi rappresentino un’occasione dove è possibile dare luogo a discussioni aperte e assumere decisioni ponderate.
L‘incentivazione alla dialettica all’interno del C.d.A. si ritrova già a partire dalla riforma del Codice civile, che, con la modifica dell’art. 2381 da un lato determina la separazione tra chi delega e chi è delegato[2] ed imponendo, dall’altro, un elevato regime di informazione di tutti i componenti del consiglio, in modo che il gap informativo fra “executive e non executive” si colmi e che questi ultimi possano partecipare alla discussione e votare in modo autonomo ed equilibrato[3]. Siffatta lettura della disciplina è confermata, inoltre, dalla Relazione di accompagnamento della riforma, che chiarisce l’intenzione del legislatore di rendere partecipi tutti gli amministratori alla gestione.
In questo senso è determinante, ai fini dell’aumento della dialettica del C.d.A., il ruolo ricoperto dagli amministratori non esecutivi; infatti, lo stesso Codice di Autodisciplina affida a tale categoria il compito migliorare la qualità delle discussioni all’interno del consiglio, aspetto che verosimilmente si traduce in deliberazioni più equilibrate e attente, in special modo per quanto riguarda operazioni ad alto rischio di conflitto d’interesse[4]. Infatti, il Comitato di redazione del Codice ha considerato opportuno sottolineare proprio l’importanza che il consiglio, nello svolgimento dei suoi compiti di indirizzo strategico e di verifica, sia effettivamente in grado di esprimere giudizi autorevoli, frutto di autentiche discussioni tra persone professionalmente qualificate.
Il principio espresso dal Codice evidenzia i due principali doveri degli amministratori non esecutivi, vale a dire l’incentivazione della dialettica consiliare, al fine di migliorare la qualità delle scelte operative, e la verifica di un iter decisionale trasparente, al fine di evitare il prodursi di iniziative economiche in evidente conflitto di interessi.
Occorre però fare una precisazione una precisazione: il Codice sancisce codesta disciplina per tutti gli amministratori non esecutivi e non solo agli indipendenti.
Non solo, gli amministratori indipendenti, in quanto tali, nel loro operato devono rispondere sempre al prioritario quesito: questa decisione è presa per il bene primario della Società? Perché se la riposta non fosse positiva (ovvero favorisce gli azionisti di maggioranza o di minoranza o altre parti correlate) questa sminuirebbe o addirittura annullerebbe il concetto di indipendenza.
[1]F. MARENA, La comprensione del framework normativo in materia di corporate governance, in La buona governance vista dai Ned, pag. da 21 a 24.
[2] A. DE NICOLA, Sub art. 2381, in Commentario alla riforma delle società – Amministratori, a cura di GHEZZI, 106,
[3] Sul dovere di informazione nel Consiglio di amministrazione, v. ex multis, G.M. ZAMPERETTI, Il dovere di informazione degli amministratori nella governance delle società per azioni, Milano, Giuffrè, 2005, passim.
[4] V. art. 2.P.2. del Codice di Autodisciplina.