L’istruzione in Italia è un enigma di non facile soluzione.
Il nostro sistema formativo educativo italiano è oggettivamente in crisi.
Recenti analisi in tema di istruzione e di ricadute occupazionali sono estremamente preoccupanti:
“Italia all’ultimo posto in Europa per qualità di istruzione secondo i dati del Rapporto sui Sustainable Development Goals (SDGs) adottati con l’Agenda 2030 ……..Particolarmente gravi le carenze nei ragazzi che frequentano le superiori. Ben il 50% degli studenti ha competenza alfabetica e matematica insufficiente. Nello specifico il rilevamento effettuato in questo anno scolastico ha rilevato che la quota di ragazzi dell’ultimo anno della scuola secondaria di secondo grado che non hanno raggiunto un livello di competenza alfabetica sufficiente è stata del 48,5%.” (vedi link)
In Italia la dispersione scolastica registra una delle incidenze più elevate d’Europa (12,7%) dopo la Romania (15,3%) e la Spagna (13,3%).
Il tasso di abbandono scolastico in Italia è del 12,7% con picchi in Sicilia (21,1%), Puglia (17,6), Campania (16,4%) e Calabria (14%) (vedi link)
Nei giorni scorsi Radio 24 ha comunicato dati che lasciano senza parole : un diplomato su 3 non è in grado di comprendere e rielaborare un testo di media difficoltà.
Ovviamente nascono dei seri dubbi sull’evoluzione dell’istruzione a cui si risponde con la nascita dell’insulto neologistico “vedova di Gentili” per tutti coloro che criticano l’attuale situazione dell’ordinamento scolastico.
Probabilmente occorre ripensare anche al valore del titolo di studio in chiave occupazionale.
Infatti, emergono dati molto singolari come ad esempio che dopo i camionisti (!) la seconda professione più ricercata sono i diplomati tecnici, in primis i periti.
Erano e sono i quadri intermedi che in altri paesi, Germania in testa, rappresentano l’ossatura della produzione industriale.
Orbene a fronte di oltre 800.000 periti in Germania in Italia sono …….. 40.000 e ne servirebbero almeno dieci volte tanto!
Credo che tale dato, se diffuso e correttamene commentato, forse potrebbe orientare le scelte dei giovani che vorrebbe una maggior possibilità di trovare un impiego senza la prospettiva di lunghi studi, con buona pace dei genitori che vorrebbero poter chiamare (orgogliosamente) i propri figli “Dottore”.
Anche perché dalla riforma del 1969, (legge Codignola) emanata in un contesto di fermento dovuto ai movimenti studenteschi del 1968, si consentì l’accesso agli studi universitari a tutti i diplomati delle scuole superiori (fino ad allora, infatti, solo con il diploma di liceo classico si poteva accedere a tutte le facoltà), consentendo l’accesso al percorso universitario anche ai periti tecnici.
In tale modo e, oggi, anche con la creazione delle nuove lauree tecniche triennali, tale opzione rimane possibile senza snaturare il profilo professionale.
Comunque, non la sterile critica all’attuale situazione ma la ricerca di correttivi efficaci pare non solo lecita ma, credo, obbligatoria in quanto è evidente che il processo riverberi in tutto il nostro futuro tessuto socioeconomico.
Credo che un correttivo debba passare dalla rivalutazione del ruolo fondamentale della cultura e degli insegnanti, da sostantivare economicamente finanziando la prima e remunerando i secondi visto che il nostro Paese spende molto meno di Francia e Germania.
Credo sia anche ora di smettere di sminuire la cultura, la nostra cultura, in nome di una ricerca di titoli immediatamente spendibili nel mondo del lavoro, che tali non sono.
Tale concetto introdotto con la riforma introdotta dal decreto del MURST del 3 novembre 1999, n. 509, del ministro Ortensio Zecchino che, proprio dal punto di vista di reale spendibilità, ha rappresentato a posteriori un clamoroso autogol in quanto i laureati triennali non hanno pare abbiano alcun appeal nel mondo del lavoro e si sono solo allungati i tempi per giungere alla ex laurea “specialistica” oggi definita “ magistrale”.
È ora dell’ennesima riforma? Forse si, se sostanziale e orientata alle nuove professionalità!
In Europa tra le soluzioni di base sono stati introdotte iniziative che anticipano l’età scolare a 4 o addirittura a 3 anni per aumentare il periodo scolare e anticiparne la conclusione perché non pare neanche possibile che a fronte di un’età minima di sedici anni per entrare nel mondo del lavoro in Italia un laureato ci arrivi mediamente oltre i venticinque.