Il Codice Autodisciplina dalla revisione 2002 e successive

Il Codice Autodisciplina dalla revisione 2002 e successive

Negli anni successivi alla sua nascita, le regole di governance dettate dal Codice di Autodisciplina acquisiscono una rilevanza sempre maggiore

Infatti, il legislatore, non solo ha accolto in diverse occasioni le soluzioni dettate in via autoregolamentare[1], ma ha anche compiuto, nella riforma del Codice civile del 2003 e del T.U.F. del 2005, numerosi riferimenti ai codici di comportamento redatti dalle associazioni di categoria o dalle società di gestione dei mercati regolamentati, per affermarne la legittimità e, implicitamente, suggerirne l’adozione.

Inoltre, la Direttiva 2006/46/CE[2], al fine di rendere più trasparente l’assetto e la composizione dell’organo di governo societario delle società quotate, obbliga l’emittente ad informare il mercato in merito all’adozione, su base obbligatoria o volontaria, di un codice di comportamento oppure in merito alle prassi di governo societario applicate incondizionatamente dagli obblighi previsti dal diritto nazionale.

Sembra pertanto chiara l’intenzione sia del legislatore nazionale che di quello europeo di implementare l’utilizzo di questi strumenti di soft law.

Il nuovo (e ultimo) Codice di Corporate Governance è stato approvato dal Comitato nel gennaio 2020 e rappresenta l’ottava revisione del codice stesso (come già spiegato nel paragrafo precedente la prima versione era stata pubblicata nell’ottobre 1999)[3].

Con il presente articolo si analizzeranno le modifiche intercorse in tema di “amministratori indipendenti”.

  • Per quanto concerne la prima revisione di luglio 2002, nella valutazione dell’indipendenza, in tema di relazioni economiche di rilevanza tale da condizionare l’autonomia di giudizio viene inserito “direttamente, indirettamente o per conto di terzi, né hanno di recente intrattenuto” (3.1 a) su base triennale e la titolarità viene ampliata anche “per conto di terzi” ed ampliando il controllo anche a coloro che esercitano “un’influenza notevole” (3.1 b). Quanto precedente anche se “stretti familiari di amministratori esecutivi” (il rapporto “indiretto” si allarga ad amministratori, familiari, studi professionali associati di cui l’amministratore sia socio).

Viene aggiunta anche una rilevazione periodica dell’indipendenza con un esito da comunicare al mercato, infatti, “L’indipendenza degli amministratori è periodicamente valutata dal consiglio di amministrazione tenendo conto delle informazioni fornite dai singoli interessati. L’esito delle valutazioni del consiglio è comunicato al mercato” (cfr. 3.2).

Il Comitato per quanto concerne l’adeguatezza del numero degli amministratori indipendenti amplia la definizione “anche funzione dell’eventuale appartenenza della società interessata ad un gruppo [] in conformità con la prassi internazionale” ed anche raccomanda “nel caso di una società controllata da altra società quotata, il numero di tali amministratori sia tale da consentire la costituzione di un comitato per il controllo interno composto esclusivamente da amministratori indipendenti”; inoltre, auspica altresì che, “qualora l’emittente sia controllato da una società, anche non quotata, operante, direttamente o attraverso altre società controllate, nello stesso settore di attività o in settori contigui, la composizione del consiglio di amministrazione dell’emittente sia idonea a garantire adeguate condizioni di autonomia gestionale e quindi la massimizzazione degli obiettivi economico-finanziari propri dell’emittente”

Nella revisione di marzo 2006 non vengono modificati i principi relativi agli amministratori indipendenti e nei criteri applicativi “più di tipo manualistico”.

Appare una fitta elencazione di ipotesi nelle quali si presume l’assenza di autonomia di giudizio, qualificandole come circostanze nelle quali un membro del C.d.A. “non appare di norma indipendente”: ciò sembra lasciare spazio al fatto che deve essere riservato al C.d.A. l’onere di compiere le valutazioni del caso.

L’unica regola specifica è quella di “avere riguardo più alla forma che alla sostanza”. Da rilevare come in questo caso viene lasciato ampio margine discrezionale allo stesso C.d.A. per soggetti sostanzialmente indipendenti ma che formalmente non lo sono (su membri che devono essere “controllori” degli esecutivi dello stesso C.d.A.).

Più in generale, rispetto alla riforma del Codice del 2006, alcuni autori evidenziano come l’elemento più importante, tuttavia, è il suo principio ispiratore, vale a dire “la creazione di valore per gli azionisti”, obiettivo prioritario cui devono tendere gli amministratori della società.

Non che la massimizzazione del valore fosse assente nelle precedenti versioni, tutt’altro, ma nel 2006 viene ribadita con forza e in più punti.

Non credo che ciò sia un caso. Negli ultimi anni, invero, si è affermata la teoria degli stakeholder di cui la responsabilità sociale delle imprese è una logica conseguenza. In sintesi, i propugnatori di questa visione affermano che l’impresa non deve avere a cuore solo gli interessi dei suoi azionisti, ma di tutti quelli che hanno un rapporto con essa, creditori, lavoratori, consumatori, residenti delle aree limitrofe agli stabilimenti, comunità locali, eccetera.

La responsabilità sociale consiste dunque nell’integrazione “volontaria delle preoccupazioni sociali ed ecologiche delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate”, secondo la definizione della Commissione europea.

Senza dilungarsi troppo sul tema, il concetto mi è sempre apparso un po’ vuoto.

Se si vuol dire che non bisogna violare i diritti altrui, tale obbligo è già ricompreso nel principio del neminem laedere del diritto romano.

Se si vuole incoraggiare il rispetto dei contratti, c’è il diritto privato (e in ogni caso l’interesse primario di un’azienda è far felici i clienti e poter contare sui fornitori).

Qualora si voglia salvaguardare l’ambiente o l’onestà di comportamenti, c’è il diritto amministrativo o quello penale.

Se invece si hanno di mira iniziative benefiche o caritatevoli, sono gli azionisti che le possono decidere coi loro soldi, non i manager o gli azionisti di maggioranza col denaro dei soci, magari di minoranza, a meno che non si tratti di iniziative promozionali. I dirigenti che rispondono a troppe esigenze, alla fine diventano legibus soluti[4].

Nel mese di marzo 2010, il Comitato approva un ulteriore testo per il Codice di Autodisciplina ma solo relativo all’articolo 7 (remunerazione degli amministratori e dei dirigenti con responsabilità strategiche).

Anche le revisioni di luglio 2014 e luglio 2015 non hanno impatto relativamente alla sezione “amministratori indipendenti”. Lo stesso per la revisione di luglio 2018 che introduce ampi obiettivi concernenti la diversità di genere ma che non ha un impatto specifico sull’amministratore indipendente (quanto piuttosto sul Consiglio di amministrazione).

Il nuovo ed ultimo Codice di Corporate Governance è stato approvato dal Comitato nel gennaio 2020 senza presentare variazioni sostanziali rispetto alle ultime versioni in tema di amministratori indipendenti.

Il Nuovo Codice si muove in chiave strumentale verso “nuovi temi” quali Environmental Social and Governance (“ESG”), che verranno meglio analizzati successivamente, con l’introduzione di tecniche di tipo organizzativo e/o procedimentale e limitino le possibilità di obiettivi “di facciata”[5].

 

[1]  A. DE NICOLA, Il Codice da Borsa, 2006, cap. 1, § 2.

[2] La Direttiva 2006/46/CE modifica le direttive del Consiglio 78/660/CEE, relativa ai conti annuali di taluni tipi di società, 83/349/CEE, relativa ai conti consolidati, 86/635/CEE, relativa ai conti annuali e ai conti consolidati delle banche e degli altri istituti finanziari, e 91/674/CEE, relativa ai conti annuali e ai conti consolidati delle imprese di assicurazione, pubblicata in Gazz. uff. un. eur., 16 aprile 2006. Si fa riferimento all’art. 1.7.1.a. della direttiva. Alla lett. f) dello stesso articolo, la direttiva rende obbligatoria l’informazione del mercato anche in relazione alla “descrizione delle composizione e del funzionamento degli organi di amministrazione, gestione e controllo e dei loro comitati”

[3] È possibile avere evidenza di tutte le modifiche presso il seguente sito internet di Borsa Italiana https://www.borsaitaliana.it/comitato-corporate-governance/codice/versioniprecedenticodice.htm

[4] A. DE NICOLA, (nt. 32), cap. 1, § 2

[5] P. CUOMO, Il Consiglio di Amministrazione e la gestione dell’impresa nel codice di corporate governance, in Riv. Soc., 2021.

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