Una classe lavorativa tradita dal progresso

Una classe lavorativa tradita dal progresso

Sfiducia nel futuro: capire dall’evoluzione storica perché il mondo moderno ci ha trasformando nei nuovi precari

Viviamo in un mondo in continua trasformazione e abbiamo grande difficoltà a trovare stabilità dove la stabilità con c’è. Per comprendere meglio il contesto contemporaneo e le sfide che le generazioni nate dopo il 1965 stanno affrontando, troveremo le risposte analizzando l’evoluzione dell’Italia decennio per decennio, a partire dal 1946 ad oggi.

L’evoluzione socio-economica e culturale ha giocato un ruolo cruciale. L’emancipazione femminile, i cambiamenti nei modelli familiari e l’aumento dell’aspettativa di vita hanno spostato i focus tradizionali dalla mera sopravvivenza a temi più ampi come la realizzazione personale, il benessere e l’attenzione alla qualità di vita.

COME È CAMBIATA LA GERARCHIA DEI BISOGNI

Questi cambiamenti hanno modificato la gerarchia dei bisogni, elevando quelli legati all’autorealizzazione e all’autoespressione nella piramide di Maslow, un modello che descrive i livelli di bisogni umani.

Non accorgersi di questi cambiamenti può effettivamente ostacolare la nostra capacità di rispondere in modo efficace alla pressione di un contesto sempre più pesante ed incisivo. La mancata consapevolezza delle dinamiche e delle evoluzioni che si sono succedute, impedisce di riconoscere, e di conseguenza indirizzare, le risorse e le nostre energie verso la creazione di soluzioni innovative che rispecchiano le nuove realtà.

Se non identifichiamo il bisogno realmente sentito, anche se in maniera inconsapevole, non possiamo sviluppare nuovi modi per soddisfarlo. Questo ritardo nella percezione può portare a soluzioni obsolete o inefficaci che non corrispondono più alle reali necessità delle persone.

Riconoscere questi cambiamenti in tempo reale richiede un impegno attivo nel monitorare e riflettere sulle tendenze emergenti e sulle dinamiche sociali. Solo così possiamo sperare di adattarci e innovare in modi che siano veramente allineati con i bisogni attuali e futuri.

IL CAMBIAMENTO SOCIO ECONOMICO COME HA IMPATTATO SUI BISOGNI

Negli ultimi ottanta anni, siamo passati da un’economia prevalentemente agricola a una industriale, successivamente a una terziaria e infine a una digitale. Questo cambiamento ha visto la scomparsa di alcuni mestieri e la creazione di nuove opportunità lavorative, sebbene abbia generato incertezze e disuguaglianze. La globalizzazione e la concorrenza internazionale hanno intensificato il ritmo dei cambiamenti, accelerando la cadenza delle trasformazioni economiche e richiedendo competenze sempre più nuove e una maggiore adattabilità.

L’affermazione di valori individualistici, l’emancipazione femminile, e l’emergere di nuovi modelli familiari, unitamente all’aumento dell’aspettativa di vita, hanno modificato profondamente i ruoli sociali e le dinamiche familiari.

La tecnologia ha amplificato questi cambiamenti, condizionando la comunicazione, le relazioni e i nostri modi di vivere. I bisogni individuali sono cambiati radicalmente, passando dai bisogni primari del dopoguerra alla ricerca contemporanea di benessere, qualità della vita e realizzazione personale, estendendosi fino alla necessità di nuove forme di sostenibilità.

Le esigenze delle persone si sono evolute e diversificate in modo significativo, senza lasciare una vera e propria demarcazione. Ci siamo trovati cambiati, spesso senza capire il perché. La tecnologia ha generato nuove aspettative e nuovi modi per soddisfare queste esigenze, ma ha anche portato grande instabilità e nuovi problemi.

Questi sono alcuni dei presupposti che hanno motivato il piano d’azione alla base dell’agenda 2030 dell’ONU.

Il cambiamento nei bisogni individuali e collettivi è spesso impercettibile nel quotidiano. Questi mutamenti si sono verificati così gradualmente che a molti sono sfuggiti, passando inosservati, ma non senza lasciare segni profondi e significativi nel lungo termine. Uno dei principali driver di cambiamento è stata e sarà l’innovazione tecnologica, trasformando, non solo come viviamo e lavoriamo, ma anche le nostre aspettative e i desideri più reconditi.

IL RUOLO DELL’EVOLUZIONE TECNOLOGICA

Con l’avanzare delle tecnologie, come Internet e i dispositivi mobili, abbiamo assistito all’emergere di nuove esigenze come la connettività costante e l’accesso immediato alle informazioni, che sono diventati standard indispensabili nella vita quotidiana. Questi cambiamenti, un tempo inimmaginabili, sono ora una realtà consolidata, che ha influenzato profondamente sia il comportamento individuale che la struttura della società.

In un contesto simile, l’intelligenza artificiale (IA) rappresenta la prossima frontiera tecnologica destinata a ridefinire ulteriormente le nostre esigenze e aspettative. Con le sue capacità di apprendimento automatico e di elaborazione dei dati, promette di trasformare numerosi settori, dalla sanità alla produzione, dal commercio al governo. La attitudine della IA  ad ottimizzare i processi, la personalizzazione delle esperienze e l’automatizzare di mansioni laboriose e ripetitive renderà obsoleti certi mestieri. Di contro creerà anche nuove opportunità di lavoro e ulteriori settori d’impiego, proprio come è accaduto con le rivoluzioni tecnologiche precedenti.

È importante notare che, mentre alcuni business, professioni e mestieri diventeranno obsoleti, si creerà spazio per dei nuovi, facendo emergere nuove specializzazioni. E questo accadrà anche nel prossimo futuro.

Proprio come Internet ha rivoluzionato il modo in cui viviamo, lavoriamo e comunichiamo, l’intelligenza artificiale è destinata a plasmare nuovamente le nostre vite in modi che oggi possiamo solo immaginare parzialmente. Accogliere questi cambiamenti e prepararsi ad essi è essenziale per garantire che le trasformazioni guidate dall’IA non solo aumentino l’efficienza, ma promuovano anche un progresso equo e inclusivo.

LE ATTUALI SFIDE DEL MERCATO DEL LAVORO E DELLE PROFESSIONI

La crescente flessibilità del mercato del lavoro, caratteristica indiscussa dell’era contemporanea, sta comportando un duplice impatto. Se da un lato questa flessibilità ha offerto nuove opportunità di carriera e una maggiore libertà di scelta, dall’altro ha creato grandi incertezze e nuove difficoltà, rendendo più complicato per molti costruire un percorso professionale stabile e prevedibile.

Le generazioni X e Y, nate tra gli anni ’60 e gli anni ‘80, stanno sperimentando un ambiente in cui la stabilità economica e lavorativa era considerata la norma. Durante i loro anni formativi e nei primi anni della loro carriera, molti hanno vissuto in un contesto in cui era comune trovare e mantenere un lavoro per lunghi periodi, spesso anche per tutta la vita. Il ciclo lavorativo tradizionale, caratterizzato da apprendistato, maturazione lavorativa e pensionamento intorno ai 60 anni, rappresentava una struttura stabile e prevedibile che offriva certezze significative agli individui, favorendo carriere lineari e a lungo termine, all’interno di una stessa azienda o settore.

Un’indagine Doxa ha rilevato che nel 1989 solo il 33% dei lavoratori dipendenti cambiava al massimo tre lavori nell’arco di una vita lavorativa, il restante 66% al massimo ne cambiava due. La rilevazione di un’indagine Eurofound ha evidenziato che in Italia nel 2021 il 43% dei lavoratori ha cambiato datore di lavoro negli ultimi cinque anni, lasciando presumere che un individuo cambierà nell’arco di una vita lavorativa più di sei datori di lavoro.

LE TRE FASI DEL CICLO LAVORATIVO

Fino ai primi degli anni Novanta i cicli lavorativi erano scanditi da tre fasi.

La fase iniziale dedicata all’acquisizione di competenze specifiche, spesso sotto la guida di un maestro o attraverso scuole professionali. Era il tempo in cui un lavoratore imparava le competenze pratiche necessarie per il suo futuro ruolo, stabilendo le basi per la sua carriera.

Dopo l’apprendistato, i lavoratori entravano in una fase di maturazione lavorativa, durante la quale consolidavano le loro abilità, crescendo professionalmente. Durante questo periodo, era comune l’avanzamento di grado all’interno della stessa organizzazione, grazie all’accumulo di esperienza e responsabilità operativa. Questo era il cuore della carriera lavorativa, caratterizzato spesso da un incremento salariale e da una maggiore sicurezza lavorativa. Inoltre, è in questa fase che il legame con l’azienda tendeva a rafforzarsi, contribuendo a creare un senso di appartenenza e di fidelizzazione reciproca tra lavoratore e datore di lavoro.

Dopo decenni di servizio, il passaggio alla pensione avveniva generalmente intorno ai 60 anni, segnando una fase di transizione ben definita verso il meritato riposo. La pensione era vista come un diritto acquisito dopo anni di contribuzione, offrendo una vera sicurezza economica per gli anni della vecchiaia.

Questo modello di vita offriva una stabilità finanziaria e una chiara progressione di carriera, un percorso preordinato che permetteva alle persone di pianificare il futuro con una certa sicurezza. La prevedibilità del percorso professionale permetteva di costruire relazioni durature sia all’interno che all’esterno del luogo di lavoro, rinforzando la coesione sociale e il supporto reciproco tra colleghi.

Questo tipo di stabilità era supportata da un tessuto sociale che forniva una rete di supporto stabile e affidabile, costituito da famiglia, amici, e figure di riferimento locali come il parroco, i carabinieri, il medico di famiglia e i commercianti di prossimità. Una condizione che ora non esiste più. L’individualismo e la globalizzazione hanno surclassato lasciando il posto all’indifferenza e all’indifferenziazione.

L’IMPATTO PSICOLOGICO SPIEGATO DALLE NEUROSCIENZE

Questo modello lavorativo ancorato alla tradizione degli schemi ricorrenti, si plasmava in modo coerente con le esigenze psicologiche e neurologiche del nostro cervello.

La chiarezza, la stabilità e la prevedibilità di questo modello fornivano una struttura e una routine che aiutavano ad avere maggiore fiducia nel futuro e a ridurre l’impatto negativo sulla salute mentale e fisica.

Le neuroscienze ci hanno mostrato come il nostro cervello prediliga prevedibilità e routine. La stabilità, strettamente legata all’attivazione dell’amigdala, la parte del cervello che gestisce le risposte alla paura e allo stress, contribuisce a mantenere un equilibrio psico-emotivo. Avere un percorso professionale chiaro e prevedibile può quindi contribuire a un senso di sicurezza, riducendo lo stress cronico da paura ed instabilità, migliorando conseguentemente il benessere generale.

La fase di maturazione lavorativa, caratterizzata da sviluppo e crescita, permetteva di consolidare competenze in un ambiente stabile. Questo non solo aumentava la fiducia in sé stessi, ma stimolava anche l’ippocampo, una regione cerebrale cruciale per l’apprendimento e la memoria. Il continuo sviluppo di abilità può aiutare a mantenere il cervello attivo e sano, riducendo il rischio di declino cognitivo.

NIENTE È PIÙ COME PRIMA

Tuttavia, oggi il panorama è profondamente cambiato.

La globalizzazione, l’avanzamento tecnologico e il passaggio a un’economia più orientata al servizio e alla conoscenza hanno portato a un mercato del lavoro più dinamico, meno prevedibile e conseguentemente.

Contratti a termine, lavori freelance, la gig economy e la necessità di costante aggiornamento delle competenze sono diventati comuni a qualunque ruolo o professione. Questi cambiamenti, se ha un parte permettono di conquistare una maggiore autonomia perseguendo una varietà di esperienze lavorative diverse, dall’altra la mancanza di certezze e di punti di riferimento, rendere difficile alle persone costruire una carriera lineare e prevedibile, come era possibile in passato.

IL “TRADIMENTO” E LA SFIDUCIA NEL FUTURO

Questa transizione ha creato una sensazione di insicurezza e di sfiducia nel futuro per molte persone, soprattutto per quelle generazioni che avevano maturato aspettative basandosi sui modelli lavorativi osservabili dei loro genitori.

La sfida per le politiche pubbliche e per le organizzazioni è quindi quella di trovare un equilibrio tra la promozione della flessibilità e dell’innovazione nel mercato del lavoro, con l’offerta di sufficienti misure di sicurezza e stabilità che possano aiutare i lavoratori a navigare in questo nuovo contesto senza sentirsi costantemente a rischio.

In realtà il mondo non cambierà al contrario e nulla tornerà come prima. Dobbiamo adattarci a questa mutata condizione dove l’instabilità, la precarietà e l’assenza di punti di riferimento è diventata la nuova normalità.

Ne deriva che ogni individuo per sopravvivere e prosperare deve allenare la propria autonomia decisionale e capacità di essere responsabile dei suoi risultati, a prescindere dal ruolo ricoperto e dal contesto in cui si opera. Bisogna imparare a diventare esperti capaci di produrre risultati straordinari in condizioni esasperate.

IL CERVELLO È PROGRAMMATO PER ROUTINE E COMFORT

L’enfasi sulla flessibilità, la mobilità e l’innovazione continua, ha creato un disallineamento con le necessità neurobiologiche innate e connaturate nel nostro “essere umani”.

L’incertezza costante e la necessità di adattamento continuo possono aumentare la paura verso l’ignoto e alzare i conseguenti livelli di stress. Questo prolungato sovraccarico attiva l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA), che regola la risposta allo stress nel corpo e nel cervello.

L’attivazione cronica di questo sistema può portare a esiti negativi per la salute, come ansia, depressione e problemi di memoria. L’enorme quantità di informazioni disponibili e la necessità di rimanere continuamente aggiornati possono sovraccaricare il cervello, portando a fenomeni come l’affaticamento decisionale e la paralisi da analisi. Questo può ridurre l’efficacia nel prendere decisioni e nell’eseguire compiti.

Le neuroscienze spiegano come la coerenza e la routine siano cruciali per un funzionamento ottimale del cervello, mentre l’instabilità cronica può portare a disfunzioni cognitive e emotive.

Gli studi suggeriscono la costruzione di ambienti lavorativi che promuovano un sano clima aziendale che sappia contenere i conflitti e creare una percezione di stabilità e sicurezza autoreferenziale. La sfida per le società moderne sarà trovare un equilibrio tra le necessità di un’economia dinamica e la salute cerebrale dei lavoratori.

ALLENA IL TUO “MUSCOLO DECISIONALE”

Questo richiede un approccio personale e collettivo radicalmente differente rispetto al passato.

La necessità di sviluppare una sorta di “muscolo decisionale” è imprescindibile in un’epoca in cui le strutture di supporto tradizionali sono inaffidabili o assenti.

La capacità di sopravvivere al contesto e di navigare autonomamente in un mare di incertezze diventa una competenza chiave. Questo non solo per quanto riguarda la carriera professionale, ma anche per la gestione della vita personale e delle relazioni interpersonali.

L’autoconsapevolezza e l’autoregolazione sono risorse fondamentali in questo scenario.

È vitale riuscire ad essere consapevoli delle proprie emozioni, delle proprie reazioni alle “minacce esterne” o allo stress, nonché della propria capacità di prendere decisioni sotto pressione, spesso in condizioni esasperate.

Queste sono nuove competenze da imparare e dominare che permettono agli individui non solo di adattarsi ma anche di prosperare, trasformando le sfide in opportunità per differenziarsi rispetto agli altri.

Il contesto è più forte della forza di volontà condiziona potentemente le nostre scelte e il conseguente comportamento individuale, Questo fatto è ben documentato in psicologia. È una realtà che sottolinea l’importanza di sviluppare strategie personali che permettano di mitigare l’impatto dell’ambiente esterno.

Cambiare non è nella natura umana ma apprendere come “amministrarsi” efficacemente nel contesto attuale si e richiede più di un salto di paradigma e la costruzione di una nuova mentalità, passando da una condizione di reattività passiva ancorata alla stabilità ad una proattività fondata su resilienza e flessibile adattabilità.

SE LO STATO NON FA ABBASTANZA, TU PUOI FARE LA TUA PARTE

Se le politiche pubbliche non fanno abbastanza, sono le aziende e le strutture organizzative che oggi hanno la responsabilità di assumere un ruolo più cruciale in questo processo di adattamento.

Sono loro che hanno il dovere etico di educare i loro collaboratori, fornendo risorse, formazione e supporto per aiutarli a sviluppare le competenze necessarie per gestire e superare l’incertezza.

Allo stesso tempo, è essenziale che queste iniziative incoraggino e sostengano l’innovazione e la flessibilità non solo a livello di mercato ma anche a livello individuale.

L’adattabilità e la resilienza non sono più soltanto auspicabili ma urgenti e necessarie.

Ogni individuo deve diventare causativo di sé stesso, essere il regista della propria vita, e il capitano della sua anima, non solo attivandosi per reagire proattivamente ai cambiamenti ma anticiparli e modellarli a proprio vantaggio.

Questa è la nuova realtà del “Self Help”, sia nel contesto professionale che personale, dove ognuno di noi è chiamato a diventare un “artista” della propria esistenza.

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