Microbeef un non-OGM che ci piace
L’evoluzione della carne coltivata: Microbeef un non-OGM che potrebbe essere utile.
Il maggior problema che presentano le colture cellulari utilizzate per far crescere le “bistecche sintetiche”/carne coltivata” è rappresentato dalla creazione di grandi impianti in cui i tessuti di origine animale devono crescere in un mezzo che deve vicariare in tutto e per tutto il principale fluido corporeo, il sangue.
In pratica si deve utilizzare non solo un ambiente a temperatura costante e abbastanza elevata (35/40 °C) ma anche un mezzo in grado di rifornire le cellule in coltura di proteine, grassi, zuccheri, aminoacidi, sali, ormoni e specialmente ossigeno.
Una domanda sorge spontanea: ma se abbiamo tali sostanze, che hanno un elevatissimo valore nutrizionale, perché mai dovremmo utilizzarle per far crescete tali cellule quando da sole sono un ottimo cibo?
Inoltre, in tale coltura la massa dei nutrienti ha un coefficiente di trasformazione in tessuto cellulare che potrebbe oscillare tra il 10% e, ottimisticamente, il 35% riducendo drasticamente il quantitativo di cibo prodotto rispetto alle sostanze nutritive di partenza.
Una prima soluzione è stata individuata nel cercare di “trapiantare” i geni delle proteine animali in cellule vegetali per consentire di produrre così proteine animali senza bisogno degli animali stessi.
La CNN ha recentemente dato una notizia che, stranamente, non pare abbia generato molto scalpore o interesse: è stata individuata una alternativa, abbastanza semplice, alle complicate tecniche di ibridizzazione genomica (la tecnica per creare i citati OGM) con cui dare origine ad un riso o ad un mais in grado di produrre anche proteine e grassi animali rendendoli degli alimenti nutrizionalmente “completi” senza dover intervenire sul patrimonio genetico dei due vegetali.
Il lavoro degli scienziati si è, infatti, concentrato sulla ricerca di soluzioni alternative che consentano di ridurre il costo energetico ed economico pur ottenendo una soluzione nutrizionalmente valida.
Nei giorni scorsi un articolo abbastanza originale redatto da una equipe di scienziati sud-coreani indica, per sommi capi, una nuova tecnica non-OGM attraverso la quale ottenere non del riso modificato geneticamente per produrre proteine animali, ma un suo uso come terreno di coltura per far crescere, su di esso, delle vere e proprie cellule muscolari e adipose animali.
Tale risultato viene ottenuto utilizzando una matrice di chicchi di riso trattati che parrebbero essere in grado di “ospitare” delle cellule animali diventando un supporto, anche fisico (Scaffold), che in tali condizioni sarebbero in grado di consentire alle cellule stesse di riprodursi.
In tale modo si creerebbe una importante fonte di proteine animali unita alla dieta essenzialmente a base di riso, tipica di popolazioni povere senza, pare, dover far di conto con le problematiche del mondo zootecnico come il consumo di mangimi, l’inquinamento, la costrizione degli animali, ecc..
La soluzione prospettata dal team sudcoreano è una ulteriore evoluzioni di precedenti tecniche, più elaborate e costose che eviterebbe, inoltre, i costi relativi alle complicata gestione delle colture cellulari finora prospettate per produrre la cosiddetta “carne coltivata”.
In pratica un riso reso “ospitale” con alcuni trattamenti enzimatici, farebbe da matrice di crescita, in abbinamento con della ge pertanto, in grado di far crescere sia delle cellule muscolari che adipose di bovino.
Il risultato sarebbe quello di ottenere un prodotto alimentare, misto animale e vegetale, in cui il riso, ricco di carboidrati viene arricchito anche di proteine e grassi animali mediante le cellule animali che crescerebbero a discapito di una parte del mezzo di coltura rappresentato dal riso stesso e dalla gelatina.
In pratica consumeremmo un po’ di amido e gelatina per ottenere delle proteine nobili (con i famosi aminoacidi essenziali).
Il cambio pare interessante, e le analisi condotte sui prodotti finiti paiono incoraggianti anche se il contenuto di proteine e grassi è di pochi punti percentuali.
Tali risultati rappresentano comunque un promettente inizio per avere un “novel food” tecnologico, nutrizionalmente idoneo a sostenere una dieta sufficientemente equilibrata che, parrebbe, non richiedere impianti ultra sofisticati e tecnologie costosissime per produrlo.
Rimangono, comunque, ancora aperti numerosi problemi.
Tra i principali troviamo la necessità di individuare delle linee cellulari che si possano moltiplicare indefinitamente (linee cellulari immortali) nelle condizioni descritte.
Una ulteriore valutazione potrebbe consistere nell’impiegare cellule animali in grado di crescere a bassa temperatura (pesci?) onde ridurre ulteriormente il fabbisogno energetico del processo.
No IA, No chatgpt
Articoli originali:
https://www.nature.com/articles/s43016-020-0053-6