I limiti impugnazione ruoli violano principi Costituzionali

I limiti impugnazione ruoli violano principi Costituzionali

        L’introduzione del divieto di impugnabilità dell’estratto di ruolo è stato previsto da un emendamento approvato dal Senato al D.L. fisco-lavoro n. 146\2021 aggiungendo per mezzo dell’art. 3bis, all’interno dell’art.12 il nuovo comma n. 5 al, D.P.R. n. 602/1973 (rubricato “Funzione e contenuto dei ruoli”) e si inserisce in un percorso di costante degrado del rapporto tra contribuente ed erario, in aperta antitesi rispetto allo Statuto dei diritti del contribuente e in aperta contraddizione con l’idea di un “Fisco amico”.

In effetti pone limiti irrazionali al diritto dei contribuenti di impugnare il ruolo e la cartella di pagamento impedendo agli stessi di contestare il ruolo e la cartella di pagamento che sia stata notificata in maniera non conforme al dettato normativo, con evidente pregiudizio del diritto di difesa e del principio di capacità contributiva.

In base al nuovo comma 5:

  • l’estratto di ruolo non è impugnabile;

  • il ruolo e la cartella di pagamento che si assume invalidamente notificata sono suscettibili di diretta impugnazione nei soli casi in cui il debitore che agisce in giudizio dimostri che dall’iscrizione a ruolo possa derivargli un pregiudizio per la partecipazione a una procedura di appalto ex art. 80, comma 4, D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50, oppure per la riscossione di somme allo stesso dovute dai soggetti pubblici di cui all’art. 1, comma 1, lettera a), D.M. 18 gennaio 2008, n. 40, per effetto delle verifiche di cui all’art. 48-bis, D.P.R. n. 602/1973 o, infine, per la perdita di un beneficio nei rapporti con una pubblica amministrazione.

Così si limita la possibilità di poter proporre il ricorso al buio contro quelle cartelle esattoriali o avvisi di accertamento esecutivi, i quali non sarebbero stati legittimamente o effettivamente notificati.

Oltre a voler limitare la tutela anticipata, la potenziale novella stabilisce le ipotesi di impugnazione rispetto a delle fattispecie tipizzate dall’emendamento, come la possibilità del ricorso al buio anche nei casi si vanti un credito nei confronti della pubblica amministrazione, anch’essa bloccata dal titolo esecutivo.

La ratio legis è evidente sfoltire il numero di ricorsi pendenti su questa materia. Infatti una delle tecniche utilizzate dai difensori tributari è quella di chiedere l’estratto di ruolo per poi impugnare il suo contenuto (e non l’estratto di ruolo per se stesso n.d.r. sostenendo che le cartelle tributarie non siano state effettivamente o legittimamente notificate al contribuente.

Se lo scopo del legislatore è quello di eliminare tali tipologie di impugnazioni e se da una parte si potrebbe sostenere la pretestuosità di tali ricorsi, dall’altra potremmo anche sostenere che ogni tipo di azione potrebbe rivelarsi infondata, financo un ricorso contro un avviso di accertamento.

Quindi non è chiaro come mai il bersaglio dell’emendamento sia tale tipologia di impugnazione.

Il problema che si pone è senza dubbio di elevata criticità.

Tale norma appare lesiva di alcuni ma fondamentali principi costituzionali.

E’ senza dubbio leso l’art.2 della Costituzione, che impone al legislatore, in via astratta, di adoperarsi affinché vi sia un dialogo tra gli attori nel nostro ordinamento: fisco e contribuente.

All’interno del c.d. statuto del contribuente, legge n. 212/2000, infatti è presente l’art.6 il quale dispone che l’amministrazione fiscale ponga in essere ogni iniziativa idonea a far conoscere le proprie pretese al contribuente.

E’ evidente in questo senso che la lesione costituzionale diverrebbe operativa in termini positivi. Non solo. Vi sarebbe anche il pregio dell’art.3 della Carta, infatti si consentirebbe di poter adoperare una disparità di trattamento non solo tra chi potrebbe ricevere un’ intimazione di pagamento, così da porre in atto l’impugnazione avverso gli atti prodromici, quindi non attendendo la minaccia di esecuzione, ma anche tra chi non abbia un interesse diretto all’impugnazione secondo quanto è disposto dall’emendamento.

Se è vero che il ruolo sottoscritto (art.12 del DPR 602/1973) è un titolo esecutivo non si comprenderebbe la mancanza di interesse all’impugnazione qualora questo non fosse stato legittimamente notificato. Tra l’altro le ipotesi di impugnabilità sono circoscritte a due ipotesi tassative.

E’ leso, anche, l’art.97 della Costituzione nella sua più ampia accezione, ricomprendente quella stabilita dall’art.1 dello Statuto dei diritti del contribuente e l’art.1 della Legge n. 241/1990 sul procedimento amministrativo.

Oltre alla lesione del diritto di difesa e alla curiosa introduzione delle potenziale norma all’interno del DPR 602/1973 e non nel D.lgs n. 546/1992, si deve discutere sulla natura della stessa.

Infatti se la si interpretasse alla stregua di norma di carattere processuale allora si introdurrebbe una pesante falcidia di ricorsi i quali diventerebbero immediatamente inammissibili in ogni stato e grado del processo; diversamente sarebbe valida solo per i procedimenti futuri.

La conclusione a queste prime superficiali considerazioni pongono l’accento alle criticità sulla norma che avrà certamente vita difficile in termini costituzionali. Invero il legislatore, al fine di sfoltire o di scoraggiare tale forma di impugnazione potrebbe positivizzare l’applicazione dell’art.96 del c.p.c. ogni volta che il giudice dovesse vedere la pretestuosità di una impugnazione, ma anche questa osservazione è già contemplata nel nostro ordinamento e in mano all’organo decidente.

Infine a parere di chi scrive si potrebbe ipotizzare, approvata la norma, che la tutela sarebbe spostata in termini di giurisdizione in quanto non sarebbe precluso il ricorso al giudice amministrativo.

Rimarrebbe infatti in piedi la violazione di legge sulle norme specifiche rispetto alla notifica dell’atto con la nullità dello stesso.

Ma è solo una ipotesi paradossale in quanto l’oggetto della contestazione è indubbiamente tributaria cui la giurisdizione delle Commissioni Tributarie.

L’obiettivo di ridurre il contenzioso pendente potrebbe essere astrattamente condivisibile, non vi è chi non veda l’irrazionale compressione del diritto di difesa a detrimento dei contribuenti le cui vicende processuali non potranno essere ricondotte alla nuova previsione, perché, ad esempio, non interessati da benefici di sorta nei rapporti con una pubblica amministrazione; altrettanto evidente è la lesione dei principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost..

Si pensi all’ipotesi tipica in cui il contribuente eccepisca l’intervenuta prescrizione del credito asseritamente vantato dall’Agente della riscossione. Secondo le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sono esperibili i rimedi oppositivi ordinari degli articoli 615 e 617 c.p.c., potendo dedurre con il primo tutti i fatti estintivi sopravvenuti come la prescrizione: in tale eventualità, “la deduzione dell’omessa od invalida notificazione [della cartella di pagamento] non è fatta come motivo […] a sé stante […], ma riguarda l’idoneità dell’atto notificato ad interrompere la prescrizione” (così Cass., SS.UU. civ., 22 settembre 2017, n. 22080).

Insomma, c’è molta carne al fuoco che rischia di non essere ben cotta.

Il dibattito è aperto e si spera che abbia vita breve per mezzo di un auspicato stralcio dell’emendamento che non sembra attinente ai principi di tutela del cittadino presenti in uno Stato di diritto.

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